Le nozze secondo i riti degli antichi pagani
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PELLEGRINO SALANDRI
LE NOZZE SECONDO I RITI DEGLI ANTICHI PAGANI
PER LE NOZZE DEL MARCHESE ONORATO CASTIGLIONI
CON LA CONTESSA TERESA CRISTIANI
Il Mincio idalii fior coglie dal lido,
nuovo ornamento alla canuta testa,
ed i flutti incalzando in seno al fido
lago, le ninfe sonnacchiose desta.
Non turbine importun, non rauco strido
d’augel notturno l’aere funesta;
sola si aggira intorno, e al casto nido
l’augure voi la cuturnice arresta.
Ah! questo è il di che in compagnia d’Amore
stringa Imeneo l’illustre nodo, e formi
dei duo leggiadri cori un solo core.
E in petto ancor Febo mi languí e dormi?
Speri indarno piú farmi in terra onore,
s’oggi in cigno divin non mi trasformi.
Questo bosco e quest’ara a te consacro,
santa madre d’Amor, Venere bella:
ecco intorno al pietoso simulacro
Tamaraco, la persa e la mortella;
ecco il sai puro, ecco il lustrai lavacro,
la candida odorifera facella,
e il coltel che, compiuto il rito sacro,
la bianca sveni ed innocente agnella.
Or cinta il crine dell’ idalie rose,
vieni, e del nume tuo spargi l’altare,
bella unitrice delle belle cose;
che coppia non vedrai d’alme piú chiare,
se non riede il garzon che in duol ti pose,
se non torni tu stessa a uscir del mare.
Ili
Cinge il ceruleo manto, il capo infiora,
riveste il breve pie, vela le ciglia
Licori; e il piede e il velo a lei colora
la diletta a Giunon vaga giunchiglia:
e al tempio della dea cui Giove onora,
pensosa e taciturna il cammin piglia,
e ovunque move, la ridente Aurora
ch’esca dal balzo orientai, somiglia:
al sacro limitar ferma le piante,
e il pio ministro, che per man la prende,
la riconforta e guida all’ara avante.
Lá le supplici palme al cielo tende,
e mostra agli atti e alle parole sante,
che di lá solo ogni soccorso attende.
IV
Il ministro all’aitar non doma ancora
trae la giovenca come neve bianca,
della pronuba diva il nume implora,
e il ferro immerge fra le coste e l’anca.
Parte dell’ostia il foco arde e divora,
parte all’ara ne appende, e con la manca
man vibra Uranio il fiel divelto fuora
dietro l’aitar, e per paura imbianca.
Candid ’agna a Ciprigna, ed a Cupido
due gemebonde tortorelle svena,
a un tempo còlte da un istesso nido:
del buon lieo la coronata e piena
tazza alfin versa, e con la dea di Guido
stringe in quel punto Amor l’aurea catena.
Esce del tempio tra ridente e mesta,
e il garzon dalla face innanzi vola;
seguono gli altri, a cui letizia desta
misto suono di cetra e di viola.
Chi gli aghi porta e chi l’eburnea spola,
chi picciol’urna d’ebano contesta
coi fili d’or, che con industre e presta
mano ella scioglie, e all’ozio vil s’invola.
Al magnanimo sposo altri fa segno
di qual alta beltá fu vincitore,
di qual cor generoso e chiaro ingegno.
Cosi all’albergo nelle tacit’ore
passano lieti si, ch’entro al suo regno
mai trionfo piú bel non vide Amore.
VI
— Chi sei? — Caia son io. — Vieni, e seguace
gaudio in questo ti sia nuovo soggiorno: —
dice il custode; ella risponde, e pace
spira dagli occhi e dal bel viso adorno.
Fregia l’uscio di bende, e con sagace
man l’olio versa a’ cardini d’intorno;
pronto è il fanciullo per ghermir la face,
che, non rapita, le saria di scorno.
— Entra, donna immortai, ma deh! che il saggio
virginal piede il limitar non tocchi:
sai qual alto n’avresti un giorno oltraggio. —
Ma giá, in meno che strai d’arco si scocchi,
lanciossi entro la soglia, e al suo passaggio
i cardini si alzar, benché non tócchi.
VII
Non piú dimore: alla famiglia antica
de’ domestici iddii, donna, conversa,
di’ che tengano lungi ogni nemica
cura, o vicenda di fortuna avversa:
ai vaghi simulacri avvolgi e implica
le ghirlandette di viole e persa,
e il foco spargi per la stanza amica,
e il vetusto falerno a terra versa.
Non vil timor, né meste ombre inquiete
verran, confuse colla notte oscura,
le placide a turbarti ore scerete;
e se oseranno intorno a queste mura
le folgori strisciar, fien vòlte in Lete
dall’amorosa lor vigile cura.
Vili
Quando a Teti la man porse Peleo,
e chiamò gli altri numi al sacro rito,
fremè sull’onta del conteso invito
Discordia, che vendetta aspra ne feo;
poiché pensosa sul garzone ideo,
il pomo d’or per la piú bella ordito
gittò furtiva al nuzial convito,
onde in cener converso Ilio cadeo.
Dea del Mincio novella, a sciór tua pace
indamo in finto vel colei si ascose,
accese invano la viperea face;
che Amor scoprirá l’arti insidiose;
anzi a scacciar, s’osa venir, l’audace,
Amore istesso al limitar si pose.