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IV
Il ministro all’aitar non doma ancora
trae la giovenca come neve bianca,
della pronuba diva il nume implora,
e il ferro immerge fra le coste e l’anca.
Parte dell’ostia il foco arde e divora,
parte all’ara ne appende, e con la manca
man vibra Uranio il fiel divelto fuora
dietro l’aitar, e per paura imbianca.
Candid ’agna a Ciprigna, ed a Cupido
due gemebonde tortorelle svena,
a un tempo còlte da un istesso nido:
del buon lieo la coronata e piena
tazza alfin versa, e con la dea di Guido
stringe in quel punto Amor l’aurea catena.
Esce del tempio tra ridente e mesta,
e il garzon dalla face innanzi vola;
seguono gli altri, a cui letizia desta
misto suono di cetra e di viola.
Chi gli aghi porta e chi l’eburnea spola,
chi picciol’urna d’ebano contesta
coi fili d’or, che con industre e presta
mano ella scioglie, e all’ozio vil s’invola.
Al magnanimo sposo altri fa segno
di qual alta beltá fu vincitore,
di qual cor generoso e chiaro ingegno.
Cosi all’albergo nelle tacit’ore
passano lieti si, ch’entro al suo regno
mai trionfo piú bel non vide Amore.