Le notti degli emigrati a Londra/La Polonia e la Russia/I
Questo testo è completo. |
◄ | La Polonia e la Russia | La Polonia e la Russia - II | ► |
I.
Noi dividiamo le idee del marchese Wielopolski1.
I polacchi, e coloro che considerano la quistione al punto di vista esclusivamente della Polonia, respingono la teoria della disperazione proclamata da questo patriotta. Ma noi dobbiamo esaminare la questione al punto di vista dell’Europa e degl’interessi generali dell’umanità. Non dobbiamo quindi preoccuparci dei lamenti, e, se volete, neppure dei dritti di un popolo che ci ha abbarbagliati delle sue imprese cavalleresche, commossi dei suoi infortuni. Esso espia le colpe della sua aristocrazia — cui non troviamo giammai nella storia al servizio della libertà, della giustizia per tutti, avendo pietà del popolo, risparmiando il debole.
L’Italia ha espiati i delitti delle due Rome — l’imperiale e la cattolica.
I filantropi da congressi, i democrati da parata, attestano le loro simpatie ai vinti. Noi offriamo loro, di più, ciò che ci sembra la verità. Perocchè noi scriviamo con coscienza, noi che eravamo ieri ancora nei ranghi dei vinti e che siamo ancora oggidì nella posizione di minacciati.
L’esercito francese guarda a Roma, l’austriaco campa a Trento.
L’attitudine dell’Europa verso la Polonia sarebbe oltraggiante se la fosse volontaria. La stampa, che s’interessa alla vittoria di Gladiatore e si entusiasma ai gargarismi della Patti, registra con indifferenza l’annichilamento della Polonia. E noi vediamo passare in mezzo a noi, senza provare il minimo turbamento, il minimo rimorso, l’esiliato polacco, che porta, d’ordinario, così degnamente il peso della sua sventura. Non pertanto, malgrado questa indifferenza, si sente che la coscienza pubblica ha nel fondo un’inquietudine dolorosa, e che vi restano ancora delle anime generose le quali sclamano: «No: la non può durare così! Gli è impossibile, non si può lasciar distruggere la Polonia dalla Russia, come si lasciano gli americani terminare la distruzione dei Pelle-rossi!» E si cerca all’orizzonte se vi è una nuvola dal lato dell’Oriente che si oscuri, e cui si possa considerare come il precursore della tempesta. Eppure non bisogna dissimularlo: questa tempesta che taluni invocano, l’immensissima maggioranza la paventa.
La faccia dell’Europa è cangiata. L’Inghilterra si è ritirata sotto la tenda, non come Achille il quale tiene il broncio ad Agamennone, che digerisce nelle braccia di Briseide, ma come il Nestore della politica europea, per preoccuparsi degl’interessi seri della comunità e lavorare. L’Austria, smozzata, cura le sue lividure e le sue piaghe al regime dell’acqua di Jouvence della libertà. La Francia si prepara alla riscossa pel ricupero delle provincie e dell’onore militare perduto. L’Alemagna, costituita, termina lentamente la sua opera — pronta, un dì, a lasciare andare, se occorre, Posen e la Galizia onde annettersi l’arci-ducato di Austria. Le idee economiche e sociali hanno preso il posto delle idee politiche nel regime internazionale. Il sistema delle alleanze, divenuto barbogio, ha ceduto il posto ai trattati di commercio. La riconoscenza del fatto compiuto è inserita come un principio nel dritto pubblico europeo. La ricostruzione delle nazionalità è considerata come una misura di ordine pubblico; ma unicamente quando ciò si compie senza turbare la pace generale e contro nazioni di razza diversa, non mica quando trattasi di nazioni consanguinee, tra le quali ei sarebbe pericoloso intervenire, fazioso pronunziarsi.
Questi cangiamenti dell’idiosincrasia dei popoli e dei governi pesano singolarmente sulla quistione polacca e sulla politica generale, al punto, che se la quistione italiana fosse ancora da risolvere, egli è più che probabile che la non sarebbe neppur sollevata. E nondimeno, e’ trattasi della razza teutona e della razza latina, l’una incontro all’altra, e non di due rami della razza slava, come nella quistione polacca!
Io so che quest’ultima asserzione — la consanguineità della razza — è contestata. Perocchè la scienza ethnologica sopratutto non poteva sottrarsi all’idrofobia della politica ed alle allucinazioni dei partiti. Ma, l’ho detto, io non mi colloco nè al punto di vista della Russia, nè a quello della Polonia, ma al punto di vista europeo, e quindi sul terreno dell’imparzialità — se fuvvi mai storia imparziale! Imperciocchè, ove la coscienza è sincera, vi è il sistema scientifico, cui ogni istorico si è formulato, che può essere iniquo.
Io quindi non proverò neppure di ricostruire la razza slava. Ciò mi condurrebbe inoltre troppo lontano ed escirebbe dalle proporzioni delle conclusioni di un racconto romanzesco. Però ei mi sembra indispensabile toccarne qualche motto, onde giustificare su quale base e per quali ragioni io ho creduto arringarmi ai consigli che il marchese Wielopolski dà ai suoi compatriotti.
Note
- ↑ Qui è l’autore che parla e non più Giovanni Lowanowicz.