Le mie prigioni/Cap XXI
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Capo XXI.
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D’un altro indegno rispetto umano bisogna ch’io m’accusi. Il mio vicino non era ateo, ed anzi parlava talvolta dei sentimenti religiosi come uomo che li apprezza e non v’è straniero; ma serbava tuttavia molte prevenzioni irragionevoli contro il Cristianesimo, il quale ei guardava meno nella sua vera essenza, che nei suoi abusi. La superficiale filosofia che in Francia precedette e seguì la rivoluzione, l’aveva abbagliato. Gli pareva che si potesse adorar Dio con maggior purezza, che secondo la religione del Vangelo. Senza aver gran cognizione di Condillac e di Tracy, li venerava come sommi pensatori, e s’immaginava che quest’ultimo avesse dato il compimento a tutte le possibili indagini metafisiche.
Io che aveva spinto più oltre i miei studi filosofici, che sentiva la debolezza della dottrina sperimentale, che conosceva i grossolani errori di critica con cui il secolo di Voltaire aveva preso a voler diffamare il Cristianesimo; io che avea letto Guénée ed altri valenti smascheratori di quella falsa critica; io ch’era persuaso non potersi con rigore di logica ammettere Dio e ricusare il Vangelo; io che trovava tanto volgar cosa il seguire la corrente delle opinioni anticristiane e non sapersi elevare a conoscere quanto il cattolicismo, non veduto in caricatura, sia semplice e sublime; io ebbi la viltà di sacrificare al rispetto umano. Le facezie del mio vicino mi confondevano, sebbene non potesse sfuggirmi la loro leggerezza. Dissimulai la mia credenza, esitai, riflettei se fosse o no tempestivo il contraddire, mi dissi ch’era inutile, e volli persuadermi d’essere giustificato.
Viltà! viltà! Che importa il baldanzoso vigore d’opinioni accreditate, ma senza fondamento? È vero che uno zelo intempestivo è indiscrezione, e può maggiormente irritare chi non crede. Ma il confessare con franchezza, e modestia ad un tempo, ciò che fermamente si tiene per importante verità, il confessarlo anche laddove non è presumibile d’essere approvato, nè d’evitare un poco di scherno, egli è preciso dovere. E siffatta nobile confessione può sempre adempirsi, senza prendere inopportunamente il carattere di missionario.
Egli è dovere di confessare un’importante verità in ogni tempo, perocchè se non è sperabile che venga subito riconosciuta, può pure dare tal preparamento all’anima altrui, il quale produca un giorno maggiore imparzialità di giudizi ed il conseguente trionfo della luce.