IV - La luce ed il calore futuro

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III V


La luce ed il calore futuro.


Il dottor Holker aveva detto la verità. Il brodo era squisitissimo, ma nessuna pietanza era di carne di bue, di maiale e di montone. Solo dei pesci: tutti gli altri piatti si componevano di vegetali, fra cui molti che erano assolutamente sconosciuti a Toby ed a Brandok.

In compenso il vino era così eccellente che nè l’uno nè l’altro mai ne avevano gustato di simile.

— Signor Holker, — disse Brandok, che mangiava con un appetito invidiabile, come se si fosse svegliato solo da dieci o dodici ore — siete vegetariano voi?

— Perchè mi fate questa domanda? — chiese il lontano pronipote del dottore.

— Ai nostri tempi si parlava molto di vegetarianismo, specialmente in Germania ed in Inghilterra. Si vede che quella cucina ha fatto dei progressi.

— Perchè non trovate delle bistecche?

— Sì, e mi stupisce come i moderni americani abbiano rinunciato alle succose bistecche ed ai sanguinanti roast beef.

— Sono piatti diventati un po’ rari, oggi, mio caro, e pel semplice motivo che i buoi ed i montoni sono quasi scomparsi.

— Ah!

— Ve ne stupite?

— Molto.

— Mio caro signore, la popolazione del globo in questi cento anni è enormemente cresciuta, e non esistono più praterie per nutrire le grandi mandrie che esistevano ai vostri tempi.

Tutti i terreni disponibili sono ora coltivati intensivamente per chiedere al suolo tutto quello che può dare. Se così non si fosse fatto, a quest’ora la popolazione del globo sarebbe alle prese colla fame. I grandi pascoli dell’Argentina e i nostri del Far-West non esistono più, ed i buoi ed i montoni a poco a poco sono quasi scomparsi, non rendendo le praterie in proporzione all’estensione. D’altronde non abbiamo più bisogno di carne al giorno d’oggi. I nostri chimici, in una semplice pillola dal peso di qualche grammo, fanno concentrare tutti gli elementi che prima si potevano ricavare da una buona libbra di ottimo bue.

— E l’agricoltura come va senza buoi?

— Anticaglie — disse Holker. — I nostri campagnoli non fanno uso che di macchine mosse dall’elettricità.

— Sicchè non vi sono più neanche cavalli?

— A che cosa potrebbero servire? Ce ne sono ancora alcuni, conservati più per curiosità che per altro.

— E gli eserciti non ne fanno più uso? — chiese il dottor Toby. — Ai nostri tempi tutte le nazioni ne avevano dei reggimenti.

— E che cosa ne facevano? — chiese Holker, con aria ironica.

— Se ne servivano nelle guerre.

— Eserciti! Cavalleria! Chi se ne ricorda ora?

— Non vi sono più eserciti? — chiesero ad una voce Toby e Brandok.

— Da sessant’anni sono scomparsi, dopo che la guerra ha ucciso la guerra, l’ultima battaglia combattuta per mare e per terra fra le nazioni americane ed europee è stata terribile, spaventevole, ed è costata milioni di vite umane, senza vantaggio nè per le une nè per le altre potenze. Il massacro è stato tale da decidere le diverse nazioni del mondo ad abolire per sempre le guerre. E poi non sarebbero più possibili. Oggi noi possediamo degli esplosivi capaci di far saltare una città di qualche milione di abitanti; delle macchine che sollevano delle montagne; possiamo sprigionare, colla semplice pressione del dito, una scintilla elettrica trasmissibile a centinaia di miglia di distanza e far scoppiare qualsiasi deposito di polvere. Una guerra, al giorno d’oggi, segnerebbe la fine dell’umanità. La scienza ha vinto ormai su tutto e su tutti.

— Eppure quest’oggi, appena svegliato, mi fu comunicata dal vostro giornale una notizia che smentirebbe quello che avete detto ora, mio caro nipote — disse Toby.

— Ah sì! La distruzione di Cadice da parte degli anarchici. Bazzecole! Ormai questi bricconi irrequieti saranno stati completamente distrutti dai pompieri di Malaga e di Alicante.

— Dai pompieri?

— Non abbiamo altre truppe al giorno d’oggi, e vi assicuro che sanno mantenere l’ordine in tutte le città e sedare qualunque tumulto. Mettono in batteria alcune pompe e rovesciano sui sediziosi torrenti d’acqua elettrizzata al massimo grado. Ogni goccia fulmina, e l’affare è sbrigato presto.

— Un mezzo un po’ brutale, signor Holker, e anche inumano.

— Se non si facesse così, le nazioni si vedrebbero costrette ad avere delle truppe per mantenere l’ordine. E del resto siamo in troppi in questo mondo, e se non troviamo il mezzo d’invadere qualche pianeta, non so come se la caveranno i nostri pronipoti fra altri cent’anni, a meno che non tornino, come i nostri antenati, all’antropofagia. La produzione della terra e dei mari non basterebbe a nutrire tutti, e questo è il grave problema che turba e preoccupa gli scienziati. Ah! se si potesse dar la scalata a Marte che ha invece una popolazione così scarsa e tante terre ancora incolte!

— Come lo sapete voi? — chiese Toby, facendo un gesto di stupore.

— Dagli stessi martiani — rispose Holker.

— Dagli abitanti di quel pianeta! — esclamò Brandok.

— Ah, dimenticavo che ai vostri tempi non si era trovato ancora un mezzo per mettersi in relazione con quei bravi martiani.

— Scherzate?

— Ve lo dico sul serio, mio caro signor Brandok.

— Voi comunicate con loro?

— Ho anzi un carissimo amico lassù che mi dà spesso sue notizie.

— Come avete fatto a mettervi in relazione coi martiani?

— Ve lo dirò più tardi, quando avrete visitato la stazione elettrica di Brooklyn. Eh! Sono già quarant’anni che siamo in relazione coi martiani.

— È incredibile! — esclamò il dottor Toby. — Quali meravigliose scoperte avete fatto voi in questi cent’anni!

— Molte che vi faranno assai stupire, zio. Appena vi sarete completamente rimessi, vi proporrò di fare una corsa attraverso il mondo. In sette giorni saremo nuovamente a casa.

— Il giro del mondo in una settimana!...

— È naturale che ciò vi stupisca. Ai vostri tempi s’impiegavano quarantacinque o cinquanta giorni, se non m’inganno.

— E ci sembrava d’aver raggiunto la massima velocità.

— Delle tartarughe — disse Holker, ridendo. — Poi faremo anche una corsa al polo nord a visitare quella colonia.

— Si va anche al polo, ora?

— Bah!... è una semplice passeggiata.

— Avete trovato il mezzo di distruggere i ghiacci che lo circondano?...

— Niente affatto, anzi io credo che le calotte di ghiaccio che avvolgono i due confini della terra siano diventate più enormi di quello che erano cent’anni fa; eppure noi abbiamo trovato egualmente il mezzo di andare a visitarli e anche a popolarli. Vi abbiamo relegati là...

Un sibilo acuto che sfuggì da un foro aperto sopra una mensola che si trovava in un angolo della stanza, gl’interruppe la frase.

— Ah, ecco la mia corrispondenza che arriva — disse Holker, alzandosi.

— Un’altra meraviglia! — esclamarono Toby e Brandok alzandosi.

— Una cosa semplicissima — rispose Holker. — Guardate, amici miei.

Premette un bottone al disotto d’un quadro che rappresentava una battaglia navale. La figura scomparve, innalzandosi entro due scanalature, e lasciando un vano d’un mezzo metro quadrato. Dentro v’era un cilindro di metallo coperto di numeri segnati in nero, lungo sessanta o settanta centimetri, con una circonferenza di trenta o quaranta.

— Il mio numero d’abbonamento postale è il 1987 — disse Holker. — Eccolo qui, e in un piccolo scompartimento sono state collocate le mie lettere.

Mise un dito sul numero, s’aprì uno sportellino e trasse la sua corrispondenza, poi fece ridiscendere il quadro e premette un altro bottone.

— Ecco il cilindro ripartito — disse. — Va a distribuire la corrispondenza agli inquilini della casa.

— Come è giunto qui quel cilindro? — chiese Brandok.

— Per mezzo d’un tubo comunicante coll’ufficio postale più vicino, e rimorchiato da una piccola macchina elettrica.

— E come si ferma?

— Dietro il quadro vi è uno strumento destinato ad interrompere la corrente elettrica.

Appena il cilindro vi passa sopra, si ferma e non riparte se io prima non riattivo la corrente premendo quel bottone.

— Vi è un cilindro per ogni casa?

— Sì, signor Brandok; devo avvertirvi che le abitazioni moderne hanno venti o venticinque piani e che contengono dalle cinquecento alle mille famiglie.

— La popolazione d’uno dei nostri antichi sobborghi — disse il dottore. — Non ci sono dunque più case piccole?

— Il terreno è troppo prezioso oggidì, e quel lusso è stato bandito. Non si può sottrarre spazio all’agricoltura. Ma comincia a far buio; sarebbe tempo d’illuminare il mio salotto. Ai vostri tempi che cosa si accendeva alla sera?

— Gas, petrolio, luce elettrica — disse Brandok.

— Povera gente — disse Holker. — E come doveva costar cara allora l’illuminazione!

— Certo, signor Holker — disse Brandok. — Ora invece?

— Abbiamo quasi gratis la luce ed il calore.

Dal soffitto pendeva un’asta di ferro che finiva in una palla, composta d’un metallo azzurro.

Il signor Holker l’aprì facendola scorrere sopra l’asta e tosto una luce brillante, simile a quella che mandavano un tempo le lampade elettriche, si sprigionò, inondando il salotto.

Ciò che la produceva era una pallottolina appena visibile che si trovava infissa sotto la sfera, e la luce che tramandava, espandeva un dolce calore assai superiore a quello del gas.

— Che cos’è? — chiesero ad una voce Brandok e Toby.

— Un semplice pezzetto di radium — rispose Holker.

— Il radium! — esclamarono i due risuscitati.

— Si conosceva ai vostri tempi?

— L’avevano già scoperto — rispose Toby. — Ma non si usava ancora a causa dell’enorme suo costo. Un grammo non si poteva avere a meno di tre o quattromila lire. E poi non s’era potuto trovare ancora il modo di applicarlo, come avete fatto ora voi. Tutti però gli predicevano un grande avvenire.

— Quello che non hanno potuto fare i chimici del 1900 l’hanno fatto quelli del Duemila — disse Holker. — Quel pezzetto lì non vale che un dollaro e brucia sempre, senza mai consumarsi. È il fuoco eterno.

— Meraviglioso metallo!...

— Sì, meraviglioso, perchè oltre a darci la luce, ci dà anche il calore. Ha detronizzato il carbon fossile, la luce elettrica, il gas, il petrolio, le stufe ed i camini.

— Sicchè anche le vie sono illuminate con lampade a radium? — chiese Toby.

— E anche gli stabilimenti, le officine e così via.

— E nelle miniere di carbone non si lavora più?

— A che cosa servirebbe il carbone? Poi cominciavano già ad esaurirsi.

— La forza necessaria per far agire le macchine degli stabilimenti, chi ve la dà ora?

— L’elettricità trasportata ormai a distanze enormi. Le nostre cascate del Niagara, per esempio, fanno lavorare delle macchine che si trovano a mille miglia di distanza. Se noi volessimo, potremmo dare di quelle forze anche all’Europa, mandandole attraverso l’Atlantico. Ma anche laggiù hanno costruito delle cascate sui loro fiumi e non hanno più bisogno di noi.

— Amico James, — disse Toby — ti penti d’aver dormito cent’anni per poter vedere le meraviglie del Duemila?

— Oh no! — esclamò vivamente il giovane.

— Credevi di veder il mondo così progredito?

— Non mi aspettavo tanto.

— E il tuo spleen?

— Non lo provo più, tuttavia... non senti nulla tu?

— Sì, un’agitazione strana, un’irritazione inesplicabile del sistema nervoso — disse Toby. — Mi sembra che i muscoli ballino sotto la mia pelle.

— Anche a me — disse Brandok.

— Sapete da che cosa deriva? — chiese Holker.

— Non saprei indovinarlo — rispose Toby.

— Dall’immensa tensione elettrica che regna ormai in tutte le città del mondo ed a cui voi non siete ancora abituati. Cent’anni fa l’elettricità non aveva ancora raggiunto un grande sviluppo, mentre ora l’atmosfera ed il suolo ne sono saturi. Ma vi abituerete, ne son certo.

E per oggi basta. Andate a riposare e domani mattina faremo una corsa attraverso Nuova York sul mio Condor.

— È un’automobile? — chiese Brandok.

— Sì, ma di nuovo genere — rispose Holker, con un sorriso. — Cominceremo così il nostro viaggio attraverso il mondo.