Le convulsioni/Scena XVII
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Francesco Albergati Capacelli - Le convulsioni (XVIII secolo)
Scena XVII
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Don Alfonso che comparisce in fondo alla scena e detti.
- LAURA
- (gli corre incontro) Ah! padre mio, siete qui!
- ALFONSO
- (con sostenutezza) E che pretendi tu da tuo padre?
- LAURA
- (con sommessione) Il vostro amore...
- ALFONSO
- Questo non può mancarti, purché tu ti mantenga, o racquisti l’amore di lui (accennando Bernardino).
- LAURA
- Ah! se mi amate davvero, la vostra autorità...
- ALFONSO
- La mia autorità passò tutta nelle mani di tuo marito. T’inganni se credi di trovare in me contro lui un appoggio, una difesa, un ricovero, mentre ogni ragion ti condanna.
- LAURA
- Ma voi non sapete le angustie mie; non sapete come schernita, derisa...
- ALFONSO
- Sí, tutto so, figlia incauta, figlia ingrata a quel bene ch’io ti procurai collocandoti in questa casa, a quel tenero costante affetto che da un egregio marito ti viene evidentemente mostrato.
- LAURA
- Ma, signore, che tenerezza, che affetto, se di continuo mi fa inquietare?...
- ALFONSO
- Tu sei che alle tue nuove follie, ai nuovi insorti capricci sacrifichi la propria pace e quella di tuo marito. Egli ha l’obbligo di non darti giusta cagion d’inquietudini, ma non già di rinunziar per tua quiete né all’economia, né al decoro, né ai quei sacri diritti che gli competono. Se qui mi vedi comparir oggi, se qua venni informato de’ tuoi andamenti, se ho scelto il punto di giungere che fra voi due son le contese piú ardenti, sappi che venni tuo giudice, e non tuo padre. Tuo giudice, ma senza bisogno che tu mi narri alcun fatto; tuo giudice, ma senza timore che tu m’acciechi, o mi nasconda la verità; tuo giudice, ma inesorabile, determinato e valevole a farti cangiar condotta, o a renderti donna misera ed infelice per tutto il tempo della tua vita. E che vorresti dal padre tuo, forsennata? Vorresti ch’io ti lodassi perché dispergi il tempo e il denaro nei scialacquamenti del gioco, e d’un teatrale vestiario? Dovrei biasimare tuo marito se ricusa di piú compiacerti nell’abuso che fai della sua condiscendenza? Lo biasimo, lo condanno per la troppa condiscendenza ch’ebbe finora. Tu pensa a vincere in te medesima il mal costume, e non a pretendere ch’egli ti secondi, e si lasci teco strascinare ad una irreparabil rovina.
- LAURA
- (tremante) Dunque non potrò giocar come l’altre; non potrò vestirmi come l’altre giovani fanno?...
- ALFONSO
- Sí, gioca come l’altre giovani tue pari. Vestiti pure come il comportano la tua età, la tua condizione, e la moda. Ma gioca come le giovani savie, e segui la moda piú contegnosa e decente. Son poche, ma pur vi sono le savie giovani, nobili come tu sei. E appunto perché son poche rendonsi esse modelli ognor piú degni d’essere imitati.
- LAURA
- (sempre tremante) Mi viene anche tolto ed escluso un amico...
- ALFONSO
- (con molto sdegno) E che mi parli d’amico? Che dici tu mai d’amicizia? Male troppo conosci questo bel nome, questo soave vincolo di società, questo dolce conforto del viver nostro. Ad un adulatore, ad un balordo damerino, ad un seduttore, ad un cavaliere servente darai tu il sublime titolo d’amico? Chiudi quel labbro che lo profana nel pronunziarlo. Voi, femmine, che in preda vi date ai corteggi, no, non ne avete degli amici, e non ne avrete giammai. Non m’obbligare a farti arrossire col dichiararti alla presenza di chi ci ascolta l’immenso divario che passa fra gli adoratori e gli amici.
- LAURA
- (con qualche calore) Signore, perdonatemi; la mia onestà poi certamente...
- ALFONSO
- La tua onestà io la giudico perfetta ed illesa. Sí, figlia, non t’adulo in ciò, né m’inganno. Ma qui appunto io t’aspettava. Per la tua onestà ti riscaldi? Tutto per essere e mantenerti onesta faresti, e nulla far vorrai per parerlo? Se tanto ti cale della riputazione, dell’onore, perché non sei gelosa a serbarne ancor le sembianze? Uno screditato giovinastro dovrà con assiduo corteggio starti vicino, e potrai sperare che mentre sei virtuosa, il mondo ancora ti creda tale? Potrai sperare che il corteggiatore deluso dalla tua illibata virtú non vorrà per proprio vanto con tronchi detti, con equivoche frasi, con maligni sorrisi renderla sospetta almeno, se non macchiata agli occhi del pubblico? Scuotiti una volta dall’inganno fatale; e giacché son pochi mesi ch’hai cominciato a traviare, ritorna intrepida sul buon sentiero. Qualch’altro padre forse in altra guisa aprirebbe le braccia ad una figlia traviata, e con lei s’unirebbe per muover guerra al marito. Peran coloro, e ben di cuore lo dico, i quali dopo aver pessimamente educate le figlie, e date in mogli a quegli sventurati che si presentano, ad ogn’incontro di contrasti domestici ripiglian di nuovo la perduta autorità paterna, quasi a solo fine di compiere la primiera pessima educazione. (Bernardino, durante il discorso si è mostrato commosso. Laura si è andata commovendo ancor essa; e messosi il fazzoletto agli occhi, cade ginocchioni tutta piangente ai piedi di suo padre).
- ALFONSO
- Sei rabbiosa, convulsa, o pentita?
- LAURA
- (piglia la mano a suo padre, gliela stringe e bacia con trasporto senza parlare).
- ALFONSO
- T’hanno persuasa le mie parole?
- LAURA
- (rinnova l’atto di baciargli la mano, e fa conoscere pentimento).
- ALFONSO
- Se ti hanno persuasa, come credo, quest’è un nuovo indizio sicuro di tua virtú. Sí, figlia, sí amatissima figlia mia, era già nell’animo tuo la persuasione d’avere il torto, e la disposizione a pentirti; io colle mie parole non ho fatto che dartene l’ultimo eccitamento. Ritorna quale già fosti al tuo diletto marito, ch’io a lui ti ridono con reiterate benedizioni. (Laura senza parlare sarà balzata in piedi correndo a braccia aperte al marito che le è anch’egli corso incontro piangendo).
- ALFONSO
- Mi figuro che ti disfarai di que’ libri perversi, ai quali ne sottentreranno degli altri ad istruirti e piacerti, senza che ti avvelenino il cuore e la mente. Sarai discreta in ogni tua inchiesta al marito, il quale non nega di riparare i tuoi passati falli. E del marchese Aurelio in questa casa non se ne parli piú.
- LAURA
- Sí, ancor io cosí voglio; e prometto che sarò in avvenire e moglie e figlia e dama; tre titoli i quali impongono sacri doveri da molte femmine non conosciuti, e ch’io pur troppo aveva fatalmente dimenticati.
- BERNARDINO
- La consolazione improvvisa tolto m’aveva le parole. Cara sposa, saremo lieti e felici.
- ALFONSO
- Sí, entriamo, o figlia, nelle tue stanze a ricomporti e a cancellare ogni memoria di ciò che è stato.
- BERNARDINO
- Dò prima un ordine e vengo. Ehi! Lorenzo, Alessio, Agostino. Sieno quei libri portati al signor Don Alfonso mio suocero; e qualunque volta venisse il marchese Aurelio, per lui siam tutti e sempre fuori di casa (i servitori già son venuti, eseguiscono, e accennano di eseguire).
- LORENZO
- Non dubiti; sarà servita. Se poi verrà Ruffino, lo caccieremo giú dalle scale.
- DOMENICA
- (cade svenuta e convulsa sopra il sofà) Mi si oscura la vista... Ahi!... ahi!... ohimè!...
- LORENZO
- Al rimedio, al rimedio; subito, subito, (correndo alla porta di mezzo, e tornando subito con in mano un grosso bastone; e tenendolo alzato corre contro la moglie, la quale ne’ suoi sforzi è tenuta dall’altre donne) Largo, largo, voi altre pettegole, date luogo alla medicatura (le donne si scostano, e lascian Domenica).
- DOMENICA
- (balza velocemente dal sofà, trattiene il braccio del marito, e se gli butta in ginocchioni) No, no, marito mio, no per carità. La paura mi basta, e ti giuro che non avrò piú convulsioni.
- LORENZO
- Ah! uh! sei guarita eh? Abbi giudizio pur sempre. Ti perdono, e t’abbraccio. O ricetta eccellente del dottore Francuccio.
- LAURA
- Deh! appagate la mia curiosità. Che cos’è questa ricetta?
- BERNARDINO
- Volete saperla? Ora ve la leggerò.
Col disprezzo e lo scherno, o col bastone, Si sana ogni donnesca convulsione. Che ne dite?
- LAURA
- (abbassa il capo, e sorride).
- DOMENICA
- (abbassa il capo anch’essa, e resta mortificata, l’altre due donne si guardano e ridono fra di loro).
- ALFONSO
- Diventerai una nemica del dottore Francuccio per tale ricetta?
- LAURA
- No, perdonatemi, tutto al contrario. Egli deve anzi essere il medico di casa nostra, e sarà il migliore de’ miei amici. Lo stimo, e lo ammiro. Non basta ad un medico l’esser pratico e dotto, conviene che sia ancora onorato, franco, e sincero.