Le convulsioni/Scena XVI
Questo testo è completo. |
Francesco Albergati Capacelli - Le convulsioni (XVIII secolo)
Scena XVI
◄ | Scena XV | Scena XVII | ► |
Laura che languidamente s’appoggia a Domenica, e che languidamente s’asside sul sofà. Domenica sempre vicina. Bernardino si mette a sedere in faccia sopra una poltrona. Lorenzo dalla porta di mezzo in osservazione.
- LAURA
- Addio caro marito.
- BERNARDINO
- (con freddezza) Vi saluto.
- LAURA
- Siete di mal umore?
- BERNARDINO
- Ho nessun motivo di esserlo?
- LAURA
- No, ch’io sappia.
- BERNARDINO
- Dunque non lo sono.
- LAURA
- Siete tornato a casa senza venirmi a trovare.
- BERNARDINO
- Non ci è quest’obbligo.
- LAURA
- Non parlo d’obbligo; parlo d’una finezza che è solita.
- BERNARDINO
- Appunto perché è solita, può divenire noiosa.
- LAURA
- Per me non sarà noiosa giammai, che v’amo sí teneramente.
- BERNARDINO
- Bene, ci ho gusto.
- LAURA
- (a Domenica) (Che diavolo ha?)
- DOMENICA
- (a Laura) (Mi fa tremare quel dottore).
- LAURA
- M’avete favorito di pagare per me alla marchesa Angelica li cento zecchini che perdetti ieri mattina in casa sua?
- BERNARDINO
- No (bruscamente).
- LAURA
- No. Perché?
- BERNARDINO
- Perché non voglio spender nulla pei vizi di mia moglie.
- LAURA
- (con qualche calore) Oh! questa è bella. Vizio, o non vizio; se gli ho perduti, come ho da pagarli?
- BERNARDINO
- (sempre freddamente) E come pensavate di pagarli nel tempo che li perdevate?
- LAURA
- (Comincia qualche smania e contorsione) Voi già mi volete far disperare.
- BERNARDINO
- Oh! in questo poi siete assoluta padrona.
- LAURA
- (con rabbia) Come sono assoluta padrona!
- BERNARDINO
- E chi può togliere ad alcuno la libertà di disperarsi?
- LAURA
- (a Domenica) (Che nuova maniera è mai questa?)
- DOMENICA
- (a Laura) (Ah! Francuccio, Francuccio).
- LAURA
- (con tenerezza) Vi ringrazio, vi ringrazio. Quest’è il grand’amor che mi avete!
- BERNARDINO
- Vi amo, e vi amo tenerissimamente; ma non voglio andar in malora, poiché questo sarebbe un non amare né voi, né me.
- LAURA
- Anche il mercante...
- BERNARDINO
- Che ha da avere cinquanta zecchini spesi in blonde ed in penne...
- LAURA
- (rabbiosa) Viene da me per esser pagato...
- BERNARDINO
- Guardate che indiscretezza!
- LAURA
- Ed io l’ho mandato da voi.
- BERNARDINO
- Aspettate (si tocca il vestito e la testa). Io non ho blonde, io non ho penne. Dunque a voi toccherà pagare ciò che compraste e ciò che portate. Mancano i vostri assegnamenti? Son io puntuale?
- LAURA
- Sí, lo siete; veramente gran cosa. Essi non bastano.
- BERNARDINO
- Bisognava ch’io prima lo avessi saputo. O ve li avrei destinati maggiori, o non vi avrei presa in moglie.
- LAURA
- (con furore) O non mi avreste presa; o non mi avreste presa! Mi dite queste insolenze? Oh! povera, povera me! (e ricade illanguidita).
- DOMENICA
- (con premura subito le accosta la solita boccettina al naso) Non s’inquieti, no, non s’inquieti. Il padroncino l’ama di cuore e pagherà tutto.
- BERNARDINO
- Sí, dici bene, l’amo di cuore; ma non pagherò niente. (Or viene il buono).
- LAURA
- (in fortissima convulsione) Dove sono? Chi mi soccorre? Non ho un marito; ho un cane, una tigre, un carnefice, un vero carnefice... sí... sí... sí...
- DOMENICA
- Non ho forza che basti. Margarita, Francesca, aiutatemi, aiutatemi... (vengono le due donne, le quali si accingono per tener Laura).
- BERNARDINO
- (si alza in piedi e dice con risolutezza) Scostatevi tutte tre voi altre femmine e lasciate che possa liberamente sfogarsi (si scostano intimorite).
- DOMENICA
- (tremante) S’accopperà, Signore, s’accopperà. Almeno un bicchier d’acqua. Lorenzo... (Lorenzo che sta per eseguire).
- BERNARDINO
- (a Lorenzo) Non ti muovere. Qui non ci vuol né acqua, né vino. Donna Laura, è tempo di mutar lo stile: io con voi, voi con me.
- LAURA
- (che non essendo piú tenuta, ha moderati subito gli sforzi, balza in piedi anch’essa, ma furente) Come sarebbe a dire?
- BERNARDINO
- Capitemi, se volete. So che potete capirmi.
- LAURA
- (sempre furibonda) Capisco che tu vuoi la mia morte. Dov’è un’arma, un coltello, un coltello...
- BERNARDINO
- (mentre Laura gira per la scena, tira fuori un coltello da frutti, e sguainatolo, cortesemente gliel’offre) Eccola servita, signora; se questo le comodasse...
- LAURA
- (dando un urto al braccio di Bernardino glielo fa cadere, ed egli freddamente lo raccoglie, e se lo rimette in saccoccia) Cosí mi tratti, uomo senza pietà? Cosí si tratta una dama?
- BERNARDINO
- Mi pare anzi di trattarla da dama: la servo in tutto. (Che pena soffro a non cedere!)
- LAURA
- Non ho bisogno che nessun m’aiuti a togliermi da questo mondo. Una muraglia, sí una muraglia mi romperà questa testa... (prende impetuosa corsa verso il fondo del teatro. Le donne vorrebbero trattenerla. Bernardino l’impedisce: Lorenzo ansioso osserva. Quando Laura è vicina colla testa al muro fa una voltata improvvisa, e si lascia cadere seduta sopra una sedia come in isvenimento).
- BERNARDINO
- (Bravo Dottor Francuccio, bravissimo. Cosí appunto m’aveva egli pronosticato: non ci sarà né morte, né sangue).
- LAURA
- (languidamente) In fine poi... ricorrerò... da mio padre. Mi accoglierà... mi ascolterà. In tre anni che son maritata non l’ho importunato giammai.
- BERNARDINO
- E la consiglio a non importunarlo neppure.
- LAURA
- Ah! ella ne ha soggezione, signorino. Vede d’aver torto. Conosce i mali trattamenti che in questa casa ricevo. Tanto meglio, tanto meglio per me.
- BERNARDINO
- Tanto peggio, tanto peggio per lei, se si arrischierà di ricorrere al padre. Non ho soggezion di nessuno, quando la ragione m’assiste.
- LAURA
- (con forza) Egli è che non voglio uscir sola, ma quando tornerà il marchese Aurelio che mi accompagni...
- BERNARDINO
- Il Marchese Aurelio non metterà piú piede in questa casa.
- LAURA
- Come! E chi lo comanda?
- BERNARDINO
- Chi può a voi comandare.
- LAURA
- E chi è che possa comandare a lui?
- BERNARDINO
- Io medesimo, quando si tratti di venire in casa mia. Colui non ci verrà più.
- LAURA
- (con somma furia) Anche questo di piú! Non potrò aver un amico a mio modo?
- BERNARDINO
- Quegli non si chiama un amico. Gli amici non sono di quella tempera.
- LAURA
- (con precipitosi passi scorre la scena) Non so chi mi tenga... Sento che la rabbia mi affoga... Son ridotta all’estrema disperazione... Giuro al cielo giú da una finestra mi getterò... Sí, sí.
- BERNARDINO
- (subito va ad aprirle tutte due) Eccone due ai suoi comandi; scelga, e risolva. Or che siamo avvezzi ai palloni che volano all’insú, diamo un po’ lo spettacolo d’una donna che vuol volare all’ingiú.
- LAURA
- (che aveva presa la corsa veno le finestre rimane immobile e sbalordita) È un sogno questo, o è pur vero ciò che ora veggio? Tanta decision, tanto scherno; disprezzata cosí da un marito che mostrò sempre d’amarmi!
- BERNARDINO
- E che v’ama pur tuttavia con la piú fervida svisceratezza.
- LAURA
- (furente) No, che non mi ami, né mi amasti mai. Son tradita, son vilipesa. Benché nessuno mi segua, benché nessun m’accompagni, volerò io sola da mio padre, mi getterò nelle sue braccia; gli narrerò i miei affanni, i miei guai. Da mio padre, sí, da mio padre... (s’incammina velocemente).