Le convulsioni/Scena XV
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Francesco Albergati Capacelli - Le convulsioni (XVIII secolo)
Scena XV
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Lorenzo e detto.
- BERNARDINO
- (a Lorenzo che passa, inchinandolo per uscire) Lorenzo, ascoltami.
- LORENZO
- Eccomi pronto a servirla.
- BERNARDINO
- Tu vedi, e sai i disordini, gli sconvolgimenti della mia casa.
- LORENZO
- (abbassa il capo mostrando rammarico).
- BERNARDINO
- Tu sai che, mesi sono, qui tutto era tranquillità, buon ordine, perfetta allegria, e che nessun male turbava né la mia quiete, né la salute di mia moglie.
- LORENZO
- (come sopra).
- BERNARDINO
- No, no, puoi parlare liberamente. Te lo permetto, anzi te lo comando.
- LORENZO
- Che vuol che le dica? Veggo, purtroppo, e ne ho dolore grandissimo. Venni da giovinetto a servire in questa casa. Sono vent’anni e piú che ci servo, e sempre contento, e sempre sviscerato pei miei padroni. Ma...
- BERNARDINO
- Ma da cinque o sei mesi in qua il cangiamento si è reso insoffribile. Son pochi mesi ancora che tu hai preso moglie, ed io ben volentieri ho ricevuta al mio servigio anche la moglie tua...
- LORENZO
- La quale corrisponde malissimo, lo veggo, a tanta carità e beneficenza. Ella forse ha sviata e guastata la testa della padroncina...
- BERNARDINO
- Eh via, caro Lorenzo, non dare a tua moglie piú colpa di quella che ha. Non tocca ai servitori e alle serve d’educare e regolare i padroni. Dipendono essi da noi, e non già noi altri da loro. La famiglia servente è sempre buona nella casa dei veramente buoni padroni. Orsú alle corte. Oggi succeder deve la gran mutazione e nella moglie mia e nella tua.
- LORENZO
- (con trasporto) Oh! il ciel lo volesse, lo volesse pur il cielo; poiché troppo mi spiacerebbe di dover abbandonar questa casa; ed io sicuramente cosí non ci duro.
- BERNARDINO
- (accennando la carta che ha in mano) Il dottore Francuccio...
- LORENZO
- Benedetto mille volte quell’uomo. Lo so, lo so che è un uom grande. Egli senz’altro le ha data una ricetta che non potrà andar in fallo. Signor padrone dia, dia a me. Corro subito dallo speziale a provvedere ciò che abbisogna.
- BERNARDINO
- (con sorriso) Non serve, no, l’incomodarsi neppur tanto. Le necessarie droghe le abbiamo in casa. Basta che tu ed io abbiamo il necessario coraggio per adoprarle. Le nostre mogli guariran subito.
- LORENZO
- Oh che consolazione per tutti due! Permetta caro padrone, ch’io di giubilo gliene baci anticipatamente la mano. Ma favorisca; ella dice che guariranno, e guariranno colla ricetta d’un medico. Dunque, poverette, non era né falso, né finto il loro male; e quelle sciagurate convulsioni...
- BERNARDINO
- (recandogli la carta) Osserva, leggi la ricetta medesima, essa ti servirà di risposta. So che sai leggere.
- LORENZO
- Sí, signore, so leggere; ma del latino non ne intendo neppur un acca.
- BERNARDINO
- Eh! non è scritta in latino. Il dottore Francuccio non è sí stolido di voler scrivere le ricette in cifre e in latino. Leggi, leggi. Son due versetti soli.
- LORENZO
- (avendo subito letto piano si mette a saltare per allegria) Evviva, evviva. Ho letto, sí, ho inteso. Farò quello che debbo fare. Ella, signor padrone, non si perda d’animo. È deciso che eravamo ingannati, e ch’eravamo, mi perdoni, condotti pel naso tutti due. Non è cosí?
- BERNARDINO
- Ma non si può piú dubitarne. Io ne aveva concepito molto sospetto; la soverchia mia tenerezza m’impediva di formarlo interamente. Due uomini savi ed illuminati m’hanno convinto... Ecco mia moglie, e Domenica.
- LORENZO
- Brave, brave. Vengono a farsi medicare.
- BERNARDINO
- Bada a quel che fo io; e tu a suo tempo...
- LORENZO
- Non tema, no, non tema. Per mia moglie ho già scelta la dose piú caricata.