Le convulsioni/Scena XII
Questo testo è completo. |
Francesco Albergati Capacelli - Le convulsioni (XVIII secolo)
Scena XII
◄ | Scena XI | Scena XIII | ► |
Laura, Domenica, Aurelio.
- AURELIO
- Che razza di bestia è quel dottore! (si mette a sedere sul sofà). Ebbene Donna Laura, come va? come vi sentite? Come passaste la notte?
- LAURA
- (lo guarda, e non risponde).
- AURELIO
- Via, siate buona, rispondetemi. Sapete la mia premura... (le vuole baciar la mano).
- LAURA
- (ritira la mano, e volgesi ad altra parte).
- AURELIO
- E non vorrete perdonarmi un fallo che non ho commesso? (dà in qualche smania).
- DOMENICA
- (che la trattiene) Si calmi, Signora padrona, si arrenda. Ella sa pure che questo cavaliere è pieno di stima per lei, e che non è capace...
- LAURA
- (con rabbia e voce alta) Mi vuoi disgustare tu ancora? Tu pur mi tradisci? Tutti, tutti contro di me! Oh! quest’è poi troppo, è poi troppo.
- DOMENICA
- No, perdoni; siamo anzi tutti tutti per lei; e nessuno la vuol tradir certamente.
- AURELIO
- Lo sa il cielo s’io mai...
- LAURA
- (balza in piedi con impeto e dice con moltissima forza) E che cosa sa il Cielo? Il Cielo che cosa sa in questo che non lo sappia ancor io? siete un finto, un ingannatore; e fareste meglio a non piú comparirmi dinanzi.
- AURELIO
- Questo sarebbe lo stesso che togliermi la vita.
- LAURA
- Eh! andate dalla contessa Clorinda, andate da lei, andate a vagheggiarla, a servirla. Quella vita ch’io potessi togliervi, ella ve la ridonerà a mille doppi.
- AURELIO
- Ma s’io penso a Clorinda, come se non l’avessi mai né conosciuta, né veduta (si è alzato in piedi anch’egli, e va seguitando Laura che passeggia con qualche impeto. Domenica li va seguitando tutti due, ma stando vicinissima a Laura).
- LAURA
- Io non so se vi pensiate, o non vi pensiate che non veggo i vostri pensieri. Veggo le vostre azioni, veggo gli sgarbi vostri, veggo i vostri perfidi tradimenti. Perciò torno a ripetervi, non mi comparite piú innanzi.
- AURELIO
- (si butta in ginocchioni, e la va per un poco seguitando in tale positura) Piuttosto che privarmi della vostra preziosa amicizia, imponetemi qualunque cosa, e prontamente l’eseguirò; a costo di sacrificar tutto, e civiltà e convenienza, e interamente me stesso.
- LAURA
- (con ironia) Eh! Signor Marchese Aurelio, non esibisca di troppo. Rifletta che la pulitezza del tratto deve superare ogni altro riguardo. Si alzi; non istia in cosí umile positura. Potrebbe arrivar qua la signora contessa Clorinda e ritrovarla in tale atto. E che direbbe la dama? Si alzi e vegga se qui ci sia alcuna seggiola, o poltrona, o sofà degno di esserle offerto, e lo scelga, e lo prepari, e poi gliel offra quando verrà...
- AURELIO
- (balza in piedi) Eh via quietatevi, Donna Laura carissima. Che deve mai venire a far qua la contessa Clorinda?...
- LAURA
- (infuriatissima) Oh! corpo di mille diavoli che portino e voi e lei. Lo so ancor io che quella strega non verrà qua. Mancherebbe anche questa che avessi a soffrirla in casa mia. Colei non c’è mai venuta. Voi non ci verrete più; no, no, no. Ohimè! ohimè! ohimè! (smaniosa e mezza svenuta cade nelle braccia di Domenica).
- DOMENICA
- Oh! guardate come mai s’inquieta per poco! (le fa odorare una boccettina di spirito) Animo, animo, signora, si faccia coraggio; non è niente.
- LAURA
- (rinvenuta) Mi si spezza propriamente la testa.
- AURELIO
- Ma vedete ciò che vi fanno le vostre collere?
- LAURA
- E perché mi fate voi incollerire?
- AURELIO
- Io sono innocente, scusatemi; a torto voi vi lamentate di me.
- LAURA
- Negherete il fatto di ieri sera?
- AURELIO
- Ma che fatto? Che fatto? In che cosa ho mancato? La creanza...
- LAURA
- E ancora persistete nella vostra malvagia opinione.
- AURELIO
- Ma lo stesso marito vostro mostra pur anch’egli tutto il rispetto per quella dama.
- LAURA
- Eh! che mi venite voi ora a dire di mio marito? Mi romperete il capo su questo ancora? Egli è una cosa, e voi siete un’altra. Abbia egli la sua libertà com’io ho la mia. Egli non dipende da nessun, da nessuna. Ma voi, voi, non conoscete il vostro dovere. Quando si serve una dama non se ne abbandona il fianco giammai né alle conversazioni, né ai teatri, né alle feste di ballo. Quando se le dà di braccio ai passeggi non si guarda in faccia a nessun’altra donna, non se ne saluta nessuna, anzi non si salutano, e non si conoscono allora né pure gli amici. Avete capito? Ma voi siete, e sarete sempre un somaro, e non capirete mai nulla.
- AURELIO
- (con collera) Oh! questo strappazzare poi m’ha seccato e v’ho detto altre volte che non lo voglio soffrire.
- LAURA
- (con rabbia che va crescendo) Benissimo; e voi andate a cercare una donna che v’accarezzi.
- AURELIO
- Non cercherò donna che m’accarezzi, ma non ne soffrirò che mi strapazzi.
- LAURA
- Eh! che l’avete trovata già la donna carezzatrice.
- AURELIO
- Mi fate torto; non è vero.
- LAURA
- La contessa Clorinda (con riso amaro).
- AURELIO
- Vi dico che non è vero, e che penso a voi sola.
- LAURA
- Ma dopo la contessa Clorinda.
- AURELIO
- Per carità non mi fate uscire dai gangheri.
- LAURA
- Vi rimetterà in gangheri la contessa Clorinda.
- AURELIO
- (con impetuosissima rabbia) Che siate tutte due maledette. Saria tempo ormai di finirla.
- LAURA
- Maledetto tu mille volte, mostro, demonio, furia di casa del diavolo.
- AURELIO
- Abbiatemi compassione, son fuori di me; non so quel ch’io mi dica.
- LAURA
- (rabbiosissima) Impertinente, temerario, briccone... Ohimè! ohimè! ohimè (Domenica la tiene con forza. Laura prosegue) M’accopperò contro un muro. Mi getterò dal balcone per renderti contento e per lasciarti tutto a Clo... a Clo... a Clo...
- DOMENICA
- (che non può piú tenerla) Lorenzo, Lorenzo. Un bicchier d’acqua, un bicchier d’acqua.
- LAURA
- (sempre furente) A Clo... a Clo...
- DOMENICA
- Lorenzo, Margarita, Francesca.
- LAURA
- (sempre come fuori di sé) Rinda, rinda, tutto a Clorinda (e resta svenuta. Sono già venuti Lorenzo col bicchier d’acqua, e due donne che trattengono Laura).
- AURELIO
- (agitato) No, no, tutto ai comandi vostri, tutto disposto a servire la sola mia Donna Laura.
- LORENZO
- (con in mano l’acqua) (Eh! se tu fossi mia moglie) Vuol l’acqua, o non la vuole?
- DOMENICA
- Ti pare che possa neppur accostarsela alla bocca in questo stato? Sei orbo?
- LORENZO
- Non sono orbo, no, non son orbo; e t’accorgerai ben tu se ci vedo. (È meglio che per poco ancora usi prudenza. Debiti, amori, gelosie, contrasti, queste sono le convulsion delle mogli, e la rovina dei troppo buoni mariti) (e parte, in tanto le tre cameriere sono intorno a Laura per farla rinvenire. Aurelio mostrasi agitatissimo).
- DOMENICA
- Bisogna trasportarla sul letto. Aiutatemi voi altre (si mettono in atto di trasportarla, quando improvvisa e furibonda Laura respinge da se le tre donne, e dice)
- LAURA
- Scostatevi tutte, femmine sciagurate. Voglio esser io padrona della mia vita; e voglio piuttosto perderla che sopportarla in mezzo a tanti che mi tradiscono, e mi odiano (e corre alle sue stanze. Margarita, e Francesca le corrono dietro).
- DOMENICA
- (anch’essa correndole dietro dice ad Aurelio) Povera padroncina, voi, voi siete che me la fate crepare (e corre via).
- AURELIO
- (sempre agitato) No, non son io, non ne ho colpa. Ella vuol tormentarsi, e tormentarmi senza ragione. Ma non resisto, e voglio pur veder di placarla. (S’incammina in fretta alle camere di Laura. Poi tutt’ad un tratto s’arresta) Ma giunge alcuno. È il marito. Sarà meglio che lo saluti, e men vada.