Le convulsioni/Scena X
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Francesco Albergati Capacelli - Le convulsioni (XVIII secolo)
Scena X
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Lorenzo in fretta, e detti.
- LORENZO
- (da sé) (Quest’è un’ambasciata convulsa. Riderò) Signora.
- LAURA
- Che cosa vuoi?
- LORENZO
- Quel mercante di ieri mattina è ritornato, e dice...
- LAURA
- (con rabbia che poi và crescendo) E dice, e dice, e che diavolo dice?
- LORENZO
- Dice che viene per riscuotere...
- LAURA
- Viene anch’egli per farmi inquietare. Pare che tutti s’uniscano per mandarmi presto in sepoltura... Oh Cielo! Oh me infelice!... non posso piú... sento che non posso piú.
- DOMENICA
- (a Lorenzo) Sei un balordo. Perché vieni ad inquietar la padrona?
- LORENZO
- Ma bisogna pur che eseguisca...
- LAURA
- Non mi tormentare per carità; non mi tormentare. Lasciami in pace, se pure potrò aver pace giammai (illanguidendosi).
- LORENZO
- Il mercante non vuole già toglierle la pace, gli basta d’avere i cinquanta zecchini che Vostra Eccellenza gli deve.
- FRANCUCCIO
- (Ohimè! quest’è peggio del tanfo di spezieria).
- LAURA
- (balza in piedi) E perché non va da mio marito? Non ci è mio marito? Ho pur fatto dire a colui che vada da mio marito. A mio marito e non a me si fanno queste ambasciate.
- LORENZO
- Ma il mercante dice che andò già ieri mattina dal padrone ancora, il quale lo mandò via colle brusche dicendogli che non voleva piú pagar altri debiti per la moglie.
- LAURA
- (in grandi smanie) Che indiscretezza! che asinità! Marito crudele, barbaro, senza compassion, senza amore (fa grandissimi sforzi; Domenica la tiene, Francuccio non si muove).
- DOMENICA
- (a Lorenzo) Su presto, presto; non parlar piú del mercante, e corri a prender un bicchier d’acqua.
- LORENZO
- Corro subito.
- (E farò bevere un bicchier d’acqua fresca ancora al creditore) (e via; poi tornerà); (in tanto Laura seguita a smaniarsi e a contorcersi).
- DOMENICA
- Ed ella, signor dottore, non favorisce, non degnasi d’aiutarmi a tener questa dama?
- FRANCUCCIO
- Non ho né buona maniera, né pratica di tale uffizio; e poi temo che torni ad offenderla il tanfo di spezieria.
- DOMENICA
- (Che galeotto è costui!) Lorenzo, Lorenzo, vieni, o non vieni?
- LORENZO
- Eccomi, eccomi (col bicchiere).
- DOMENICA
- Prenda, signora, un po’ d’acqua. Questa le suol giovare.
- LAURA
- (le accosta languidamente le labbra, e ne beve pochi sorsi) Basta, basta cosí; via, via.
- DOMENICA
- Porta via, su porta via (a Lorenzo).
- LORENZO
- La porto via, sí, la porto via. Credi di comandare a un can barbino?
- LAURA
- (con voce bassa, ma rabbiosa) Quel birbante è partito?
- LORENZO
- Vuol dire quel creditore?
- LAURA
- Sí, colui se ne è andato?
- LORENZO
- Gli ho detto che il padrone è fuori, e ch’ella sta poco bene. È partito, e ha detto che tornerà domani. (Che bel comodo sarebbe di pagare i suoi debiti con quattro convulsioni!)
- FRANCUCCIO
- Si sente meglio?
- LAURA
- Non, Signore; mai bene, mai meglio; sempre e sempre poi male.
- FRANCUCCIO
- (alzandosi in piedi) (Oh! la finirò io) Ella ora ha bisogno di quiete. Ho già conosciuto abbastanza il suo temperamento, il suo male, e qual rimedio le occorra. La servirò come suggerire mi possono le mie cognizioni.
- LAURA
- (con rabbia soppressa) E che penserebbe di fare? Che penserebbe ella d’ordinarmi? Lo ha da sapere ancor’io.
- FRANCUCCIO
- Non v’ha dubbio. Nulla può farsi senza di lei. Parlerò prima col signor Don Alfonso suo padre, poscia col signor Bernardino che non ho l’onor di conoscere, e spero che allora...