Le convulsioni/Scena III
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Francesco Albergati Capacelli - Le convulsioni (XVIII secolo)
Scena III
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Ruffino, poi Domenica.
- RUFFINO
- Che razza d’animale è colui! Durerà fatica a trovar casa dove fermarsi, se vuol trovarne ove non regni e predomini la moda dei cavalieri serventi. Povero sciocco, pretenderebbe che le donne dovessero invecchiare e finire con sempre ai fianchi il solo marito?
- DOMENICA
- (esce frettolosa) Lorenzo, Lorenzo; il brodo, il fuoco, presto, presto... Oh! sei qui, Ruffino? Addio, hai qualche cosa...
- RUFFINO
- Addio, cara Menghina; Lorenzo, sí, è andato a fare ciò che doveva. Io poi ho da dirti una cosa importantissima per la tua padrona.
- DOMENICA
- Dilla pure, ma presto.
- RUFFINO
- Lascia almeno che ti tocchi prima la mano...
- DOMENICA
- No, no, sta pur savio. Sai già che non ti accorderò mai nessuna confidenza che di parole.
- RUFFINO
- Ma non sono il tuo caro, il tuo galante, il tuo cavaliere servente?
- DOMENICA
- Oh sí? ci s’intende (freddamente).
- RUFFINO
- Dunque dobbiam far all’amore insieme.
- DOMENICA
- Quanto poi all’amore, io non ne ho e non ne avrò mai che per mio marito.
- RUFFINO
- A che ti serve dunque il galante?
- DOMENICA
- Il galante... il galante... Veggo che la mia padrona lo vuole; veggo che ciò s’usa fra tutte le persone nobili; cosí credo che sia cosa nobile e per conseguenza innocente; quindi anche a me piace d’averlo... Orsú, sbrigati; che hai da dirmi?
- RUFFINO
- Una pessima nuova. Ma dimmi tu prima: il signor Bernardino è in casa?
- DOMENICA
- No, è uscito allo spuntare del giorno per suoi affari.
- RUFFINO
- Eh! li so ben io i suoi affari di questa mattina.
- DOMENICA
- E quali sono?
- RUFFINO
- Ho saputo che ieri sera ha dato ordine che si mandi ad avvisare il dottor Carota che non s’incomodi piú di venir qua, ed egli stesso poi il signor Bernardino col mezzo di Don Alfonso padre di sua moglie vuol procurare che venga il dottore Francuccio. E di questo son corso ad avvisarti.
- DOMENICA
- Che cosa mai mi racconti! Il dottor Carota che da tanti e tanti anni serviva questa casa...
- RUFFINO
- Sí, è licenziato. E questo è un malanno per noi, perché sai che teco, colla padrona tua, e col mio padrone il dottor Carota andava perfettamente d’accordo, e diceva tutto quello che gli volevamo far dire. Ma il dottore Francuccio...
- DOMENICA
- È un satanasso; lo so benissimo, e che te la dice bella e lampante senza misericordia. Mi consola per altro ch’egli non vuole medicar donne e massime se sieno dame, onde non acconsentirà di venire...
- RUFFINO
- Oh! acconsentirà benissimo, sí. Egli è troppo amico di Don Alfonso e gli ha troppe obbligazioni. A lui certamente non potrà dire di no.
- DOMENICA
- Ed ecco il bell’effetto delle pazzie del tuo padrone.
- RUFFINO
- Brava. Cosí va bene. Direi, delle pazze convulsioni della padrona tua.
- DOMENICA
- E perché il marchese Aurelio tuo padrone la fa continuamente inquietare?
- RUFFINO
- E perché Donna Laura s’inviperisce per ogni piccola cosa?
- DOMENICA
- Eh! non sono poi sí piccole cose quelle per cui s’arrabbia. M’ha raccontato ch’anche iersera...
- RUFFINO
- Ma, cara Domenica, tu eri a casa, e io ero là, a quella festa di ballo, e benché stessi di fuori, pure mi riuscí di vedere e di capir tutto.
- DOMENICA
- Ebbene?
- RUFFINO
- Ebbene; Donna Laura e il marchese che parevano in una perfetta armonia cominciano a contrastare da disperati perché il marchese per sola civiltà s’era alzato ed aveva ceduta la sedia alla contessa Clorinda che stava in piedi.
- DOMENICA
- Oh! cosa mi dici mai! la contessa Clorinda? È sempre stata quella signora una spina agli occhi e al cuore della mia padrona.
- RUFFINO
- E subito uno svenimento.
- DOMENICA
- Me lo figuro.
- RUFFINO
- Portata di peso in carrozza...
- DOMENICA
- E subito condotta a casa...
- RUFFINO
- Sí, a briglia sciolta...
- DOMENICA
- E qui, poi, smanie, vaneggiamenti, strepiti e convulsioni.
- RUFFINO
- Ma già me l’aspettavo.
- DOMENICA
- Ora lasciami, che vada ad informarla del cangiamento di medico (e s’incammina).
- RUFFINO
- Vanne, vanne pure, mia cara, che parto anch’io; né molto tarderà a venire il mio padrone (s’accosta per pigliar la mano a Domenica).
- DOMENICA
- (con forza) Lasciami andare ti dico.
- RUFFINO
- (con insolenza) Oh! il bacio poi sulla mano non può negarsi.
- DOMENICA
- (sbarazzandosi) Se la mia mano ti piace tanto, impertinente, ricevila sulla faccia (gli dà una guanciata ed entra).