Le cento novelle antiche/Novella III

Novella III

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D’un savio greco, ch’uno re teneva in pregione,
come giudicò d’uno destriere.


NOVELLA III.


Nelle parti di Grecia ebbe un signore che portava corona di re, et avea grande reame, et avea nome Filippo, e per alcuno misfatto tenea un savio greco in pregione. Il quale era di tanta sapienzia, che nello ’ntelletto suo passava oltra le stelle. Avvenne un giorno che a questo signore fu appresentato delle parti di Spagna un nobile destriere di gran podere e di bella guisa. Addomandò lo signore mariscalchi, per sapere la bontà del destriere: fulli detto che in sua prigione avea lo sovrano maestro intendente di tutte le cose. Fece menare il destriere al campo, e fece trarre il greco di prigione, e disseli: maestro, avvisa questo destriere, che mi è fatto conto che tu se’ molto saputo. Il greco avvisò il cavallo, e disse: messere, lo cavallo è di bella guisa, ma cotanto vi dico, che ’l cavallo è nutricato a latte d’asino. Lo re mandò in Ispagna ad invenire come fu nodrito, et invennero che la destriera era morta, et il puledro fu notricato a latte d’asina. Ciò tenne il re a grande maraviglia, et ordinò che li fosse dato un mezzo pane il dì alle spese della corte. Un giorno avvenne che lo re adunoe sue pietre preziose, e rimandoe per questo prigione greco, e disse: maestro, tu se’ di grande savere, e credo che di tutte le cose [p. 11 modifica]t’intendi. Dimmi, se t’intendi delle virtù delle pietre, qual ti sembra di più ricca valuta? Il greco avvisò, e disse: messere, voi quale avete più cara? Lo re prese una pietra intra l’altre molto bella, e disse: maestro, questa mi sembra più bella e di maggior valuta. Il greco la prese, e miselasi in pugno, e strinse, e puoselasi all’orecchie, e poi disse: messere, qui ha un vermine. Lo re mandò per maestri, e fecela spezzare, e trovaro nella detta pietra un vermine. Allora lodò il greco d’oltremirabile senno, ed istabilio che uno pane intero li fosse dato per giorno alle spese di sua corte. Poi dopo molti giorni lo re si pensò di non essere legittimo re. Mandò per questo greco, et ebbelo in loco sacreto, e cominciò a parlare, e disse: maestro, di grande scienzia ti credo, e manifestamente l’hoe veduto nelle cose, in ch’io t’ho domandato. Io voglio che tu mi dichi, cui figliuolo io fui. Il greco rispose: messere, che domanda mi fate voi? Voi sapete bene che foste figliuolo del cotale padre. E lo re rispose: non mi rispondere a grado1, dimmi sicuramente il vero, e se nol mi dirai, io ti farò di mala morte morire. Allora il greco rispose: messere, io vi dico, che voi foste figliuolo d’uno pistore. E lo re disse: vogliolo sapere da mia madre; e mandò per la madre, e constrinsela con minaccie feroci. La madre confessò la veritade. Allora [p. 12 modifica] il re si chiuse in una camera con questo greco, e disse: maestro mio, grande prova ho veduto della tua sapienzia; priegoti, che tu mi dichi, come queste cose tu le sai. Allora il greco rispose: messere, io lo vi dirò. Il cavallo conobbi a latte d’asino esser nodrito per proprio senno naturale, acciocch’io vidi che avea li orecchi chinati, e ciò non è propia natura di cavallo. Il verme nella pietra conobbi, però che le pietre naturalmente sono fredde, et io la trovai calda. Calda non puote essere naturalmente, se non per animale lo quale abbia vita. E me, come conoscesti essere figliuolo di pistore? Il greco rispose: messere, quando io vi dissi del cavallo, cosa così maravigliosa, voi mi stabiliste dono d’un mezzo pane per dì; e poi quando della pietra vi dissi, voi mi stabiliste un pane intero; pensate, ch’allora m’avvidi cui figliuolo voi foste: che se voi foste suto2 figliuolo di re, vi sarebbe paruto poco di donarmi una nobile città: onde a vostra natura parve assai di meritarmi di pane, siccome vostro padre facea. Allora il re riconobbe la viltà sua, e trasselo di prigione, e donolli molto nobilemente.

Note

  1. non mi rispondere a grado. Locazione elegante. Non istare a grattarmi gli orecchi, diremmo noi.
  2. suto è il vero participio del verbo essere; e sarebbe adoperato più regolarmente che stato (participio del verbo stare) se l’uso, arbitro delle Lingue, non l’avesse proscritto.