Le avventure di Saffo/Libro II/Capitolo I

Libro II - Capitolo I. Il sonno di Cleonice

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CAPITOLO PRIMO.


Il sonno di Cleonice.


Non sembrerà, io credo, meritevole di biasimo la ingenuità, colla quale ricusò Faone le offerte nozze, se non a chi fosse d’ingegno inclinato agli inganni amorosi. Ma Venere aveva concessi tanti pregj al suo diletto nocchiero, che inutili erano per lui gli stranieri soccorsi di artificiose lusinghe: e però gli era concesso di amare sinceramente, e di essere amato senza la mescolanza delle frodi, siccome ne’ tempi felici dell’aurea vita, tanto a noi dissimili, che sembrano favolosi. Mostrò invero la Dea la segnalata propensione verso di lui, essendochè volle [p. 127 modifica]ch’egli solo fra tutti gli amanti di quella età, gustasse limpida e pura la coppa d’imeneo, la quale a tutti, dopo fuggitiva nuzziale dolcezza, sembra amara e nauseosa. Che se Faone preferiva a tutte Cleonice, non era ingiusta la di lui scelta, perocchè sappiamo dalla fama a noi trasmessa, che nessuna poteva a lei paragonarsi, e in Lesbo, ed oltre il mare, sia per lo splendore della bellezza, sia per la soave integrità de’ costumi. Intorno al quale argomento è tradizione fra i cittadini di Mitilene, che un Pittore, in que’ tempi celebrato, spinto dalla fama della bellezza di Cleonice, impetrasse da lei di potere imitare il suo volto coll’artificio de’ colori, e da lei ottenuta la domanda si pose all’opera. E quantunque fosse egli assuefatto a contemplare le perfezioni della bellezza corporea, di modochè non altro senso in lui destassero tali oggetti, che il desiderio di emulare la natura; nondimeno quando gli si scoperse la eccellenza di quelle forme, il [p. 128 modifica]modesto e lento volgere degli occhi cerulei, le labbra sempre disposte ad ingenuo e leggiadro sorriso, la freschezza delle guance, la serenità del ciglio, i crini d’oro legati come quelli di Venere sulla candida fronte, in cui traspariva la calma della innocenza, provò l’artefice nel seno un turbamento improvviso. Perchè eran tutti quei pregj maravigliosamente accresciuti dalla naturale di lei modestia, (non di rado in altre artificiosa) per la quale ella, se medesima ignorando, non si accorgeva del dominio che aveva su i cuori. Costei è Venere, dicea fra se stesso il pittore, guardandola immobile; ma poi osservando la casta negligenza del vestire, e il non artificioso contegno, variando opinione, le pareva Diana. E mentre trattenuto da questi dubbiosi pensieri sedea innanzi la tavola disposta al lavoro col pennello sospeso nella mano, la fanciulla attediata dalle lunghe ammirazioni, declinò le [p. 129 modifica]palpebre al sonno, e quindi ancora il capo, onde alla fine appoggiando il destro gomito sul morbido sedile, ed alzandone il braccio, consegnò la guancia di rose alla eburnea mano, abbandonando la manca languidamente sul grembo. Un leggiero soffio di zefiro amico della bellezza ed autore delle piacevoli negligenze, spirando dall’atrio vicino sparse su di lei omeri, con disordine leggiadro i folti crini, e scompose i veli: in modochè ammirando l’artefice il favore del vento e del sonno, che avevano gareggiato nel comporre il soggetto con divina maestria, pregando Morfeo che per alcun tempo scuotesse su di lei le ali grondanti il sugo di papavero, cheto e tacito per non isvegliarla con rapido pennello, ne ritrasse la vaga situazione, e in parte non meno ne distese i colori. Stava appunto animando le labbra col colore dell’alba nascente, quand’ella aprì gli occhi, e si riscosse. Queste tradizioni ven[p. 130 modifica]gono confermate dal ritratto ancora serbato in Mitilene, dove appunto è la fanciulla abbandonata in quell’atto, e si vedono nelle labbra i principj dell’imperfetta pittura.