Le Ricordanze (Rapisardi 1894)/Parte terza/Alla martire di Delaroche
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ALLA MARTIRE DI DELAROCHE
Chi sei, bianca ed aerea
Giovinetta serena,
Che galleggiando vagoli,
Come la tenebrosa onda ti mena?
Lievi su l’acque ondeggiano
Le chiome auree; le bianche
Vesti le forme assentono;
Ti posano sul sen le braccia stanche.
Vinta di ferri i nivei
Polsi, in oblio mortale
Giaci, e pur sento all’anima,
Che leggera sei tu come avessi ale.
A te dintorno palpita
Gelosa e riverente
La cupa onda, dal nitido
Nimbo di tua beltà fatta lucente:
E tu da un sogno mistico
Cullata oltre la vita,
Cinta di rose e d’iridi
Corri d’eternità l’onda infinita.
Oh, chi sei tu? Qual vivido
Lume il tuo crin circonda?
Chi la tua morte in florido
Sogno trasforma, o mia martire bionda?
Qual nell’ingenuo spirito
Raggiante èden vagheggi?
A che lontane e vergini
Rive, a che fiori, ape amorosa, aleggi?
Ah, dunque è ver? Principio
Di nuove albe è l’oscura
Morte? Quest’aura trepida,
Che sente e pensa, oltre la tomba dura?
È nostro il ciel? La candida
Fede, che al ciel ne chiama,
Fola non è? Fra’ lucidi
Regni degli astri ancor si sogna, e s’ama?
S’ama nel cielo? O pallida
Peregrina dell’onda,
Lascia ch’io sorga, e il libero
Volo del mio pensiero al tuo confonda.
Vedi? Quaggiù fra gl’idoli
Che mi cadon nel fango,
Io, doloroso incredulo,
Viva tomba di me, solo rimango.
Lascia che teco i limpidi
Orti degli astri e il flutto
Del vasto essere io penetri
E l’amorosa eternità del tutto!
Teco volar! Pe’ fulgidi
Campi del vasto empiro
L’ali e il desio confondere,
Sentir presso al mio labbro il tuo respiro!
Oh, che voli, che musiche
Strane, che primavera
Di fior, di luce e d’anime,
Che meriggio d’amor senza mai sera!