Le Ricordanze (Rapisardi 1894)/Parte prima/A gentile operaja
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A GENTILE OPERAJA
Al sottil refe intenta,
Passi, ingegnosa giovinetta, i giorni
Della tua nova vita,
Nè april coi fior t’invita,
Nè il brumoso dicembre ti sgomenta;
Pari ad industre formichetta, a cui
Dall’ardente stagion non vien paura,
Tu provvida e contenta
Dell’avvenir hai cura.
Assisa al limitare
Del polito tugurio, a cui giammai
Non volse aurea fortuna i passi infidi,
Canti, lavori e ridi,
E tua bellezza e il mondo e altrui non sai.
Io, quando al tuo pudico
Sguardo lo sguardo mio pensoso intendo,
A te mi volgo, e dico:
Tienti, fanciulla, i giorni
Della tua lieta poverezza onesta,
Tienti l’ago veloce e il tenue filo
E la povera saja e la modesta
Casa, ov’han pace ed innocenza albergo:
Chè ben provvide il ciel, s’altro tesoro,
Fuor che di gemme e d’oro,
Non diede a cui felici il volgo appella,
E la soave e bella
Serenità del cor diede al lavoro.
A me, più che le folte
D’eletta gioventù sale festanti,
Ove sacre al piacere ardon le danze,
Cara è la pace del tuo tetto umìle;
Più che tazze spumanti
Di splendidi banchetti,
M’è dolce il pan che su povero desco
Divide in su la sera
Il pio lavoratore ai figlioletti;
Più che beltade altera
Di cocchj aurati e d’opulente vesti,
M’è sacra al cor l’intera
Laboriosa tua vita gentile;
Più che gemma orgogliosa
Amo l’ingenua rosa.
Al par di te son’io
Operajo, o fanciulla: a me le fila
Dell’incorrotta cetra,
Come a te l’ago e il fil, permise Iddio.
Sovr’essa io l’ingegnosa
Tela distendo degli affetti miei,
E il sottile dei carmi arduo lavoro
Alle sue corde affido;
Ma come l’onda che si rompe al lido,
S’agita nel mio cor l’anima inqueta,
Chè di serena e lieta
Tranquillità non diemmi il ciel tesoro,
E fo molle di pianto il mio lavoro.
O gentile operaja, a te di pure
Albe si vesta il cielo,
E a lunga giovinezza Iddio ti serbi!
Negl’ignorati, acerbi
Casi, onde afflitta è ognor la vita mia,
Te chiamerò soventi
A rallegrare miei vedovi giorni;
Nè di pallide guance o di languente
Viso o di piè leggero
A’ vorticosi balli
Ti loderò, ma d’almo e di sincero
Volto e di core allegro,
D’umile stato e di solerzia onesta,
Onde la madre e il genitor cadenti
Paga di tue modeste opre sostenti.