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Canti, lavori e ridi,
E tua bellezza e il mondo e altrui non sai.
Io, quando al tuo pudico
Sguardo lo sguardo mio pensoso intendo,
A te mi volgo, e dico:
Tienti, fanciulla, i giorni
Della tua lieta poverezza onesta,
Tienti l’ago veloce e il tenue filo
E la povera saja e la modesta
Casa, ov’han pace ed innocenza albergo:
Chè ben provvide il ciel, s’altro tesoro,
Fuor che di gemme e d’oro,
Non diede a cui felici il volgo appella,
E la soave e bella
Serenità del cor diede al lavoro.
A me, più che le folte
D’eletta gioventù sale festanti,
Ove sacre al piacere ardon le danze,
Cara è la pace del tuo tetto umìle;
Più che tazze spumanti
Di splendidi banchetti,
M’è dolce il pan che su povero desco
Divide in su la sera
Il pio lavoratore ai figlioletti;
Più che beltade altera
Di cocchj aurati e d’opulente vesti,