Le Laude (1915)/XXIX. De la ipocrisia
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XXIX
De la ipocrisia
Molto me so delongato — de la via che i santi on calcato.
Delongato me so da la via — e storto me so en ipocrisia;
e mostro a la gente che sia — lo spirito illuminato.
Illuminato me mostro de fore — ch’aia umilitate nel core;
ma se l’omo non me fa grande onore, — encontenente me so corrocciato.
Corocciato me so per usanza — qual om en mio onore ha mancanza;
ma quel che ci ha fede e speranza, — con lui me so delettato.
Delettato me so en mostra fare, — perché altri me deia laudare;
odendo ’l mio fatto blasmare, — da tal compagnia so mucciato.
El mucciare aio fatto ad engegno, — perché altri me tenga de meglio;
ma molto m’apiccio e destregno — ché paia ch’el mondo ho lassato.
Lassato sí l’ho nel vestire, — de pieco me voglio coprire;
ma dentro so, al mio parire, — lupo crudele ed affamato.
Affamato sí so en mostra fare — perché altri me deia laudare;
odendo l’altrui fatto pregiare, — corrocciome se è com’io laudato.
Laudato l’altrui fatto, m’endegno, — e dal canto de for sí m’enfegno
che me piaccia; ma poi docce un segno — che non è cusi pulicato.
Pulicato me mostro a la gente, — per le case me metto pezente;
ma molto me parto dolente — se del suo guidardon non m’è dato.
Guidardone adimando per Dio, — acconciando ce vo el ditto mio;
ma molto me par che sia rio — colui che me dá comiato.
Comiatato sì mostro l’anvito — che so scalzo e mal vestito;
el corpo mostro afrigolito — perché del suo me sia dato.
A quello che covelle me dona, — mostroglie lieta persona;
ma molto m’agrondo se sona — la voce che sia allecerato.