Le Laude (1915)/LXXX. De l'amore divino destinto in tre stati

LXXX. De l'amore divino destinto in tre stati

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LXXX. De l'amore divino destinto in tre stati
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LXXX

De l’amore divino destinto in tre stati

     — Sapete voi novelle de l’amore
che m’ha rapito ed assorbito el core,
e tiemme empregionato en suo dolzore,
e famme morire en amor penato?
     — De l’amore che hai demandato
molti amori trovamo en esto stato,
se tu non ne declar del tuo amato,
risponder noi non te ce saperimo.
     — L’amor ch’io ademando si è ’l primo,
unico, eterno e sta sublimo;
non par che ’l conoscati, como stimo,
da ch’en plurale avete la ’ntendenza.
     — Questo respondere giá non è fallenza,
de lo tuo amor non avem conoscenza;
se non t’encresce a dicerne sua valenza,
delettane l’audito d’ascoltare.
     — L’amor ch’io ademando è singulare;
cielo e terra empie col suo amare,
en cosa brutta non pò demorare,
tanto è purissimo.
     L’amor ch’io demando è umilissimo,
el cor, o’ se reposa, fa ’l ditissimo,
umilia l’affetto superbissimo
per sua bontade.
     Enfondeme nel cor fedelitate,
famme guardar da le cose vetate,
le cose concedute ed ordenate
fammele usar con temperanza.

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     Divide da la terra mia speranza,
conducelame en ciel la vicinanza,
famme citadin per longa usanza
de la gran citade.
     Loco si son le cose ordinate
la scola se cce tien de caritate,
tutte le gente de quelle contrate
ciascuno en amore è conventato.
     Distinguese l’amore en terzo stato:
bono, meglio, sommo, sublimato;
lo sommo si vole essere amato
senza compagnia.
     Parlar de tale amor faccio follia,
diota me conosco en teologia,
l’amor me constregne en sua pazia
e famme bannire.
     Prorompe l’abundanza en voler dire,
modo non gli trovo a proferire,
la veritá m’empone lo tacere,
che non lo so fare.
     L’abundanza non se pò occultare,
loco sí se forma el iubilare,
prorompe en canto che è sibilare,
che vidde Elia.
     Partámone ormai da questa via,
a le doi distinzion che so empria,
e logo si figam la diceria
che si convene.
     Sempre lo meglio sta sopra lo bene;
se tu non ami el prossimo co tene,
e te non ami como si convene,
tu, cieco, el cieco meni a tralipare.
     Emprima t’è opo con Dio ordinare,
e da lui prender regola d’amare,
amor saggio e forte en adurare
e mai non smaglia.

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     Fame, sete e morte nol travaglia,
sempre lo trovi forte a la battaglia,
a patir pena ed onne ria travaglia
e star quiito.
     Lo corpo si ha redutto al suo servito,
li sensi regolati ad obedito,
gli eccessi sottoposti so a punito
ed a ragione.
     Tutta sta quieta la magione,
gli officia distinte per ragione;
se nulla ce nascesse questione,
ston al iudicio.
     Lo iudice che sede al malefizio
ser Conscio è vocato per offizio,
non perdona mai per pregarizio
né per timore.
     Non perdona al grande né al minore,
nulla cosa occulta gli sta en core,
tutta la corte vive con tremore
ad obedenza.
     Poi che l’alma vive a conscienza,
contien amar lo prossimo en piacenza,
amor verace par senza fallenza
de caritate.
     Trasfórmate l’amor en veritate
nelle persone che son tribulate,
e, compatendo, magior pena pate
che ’l penato.
     Quel per alcun tempo ha reposato,
lo compatente ce sta cruciato,
notte e giorno con lui tormentato
e mai non posa.
     Non pò l’om sapere questa cosa
se non la caritate chi l’ha enfusa,
cormo nel penato sta retrusa
a parturire.

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     Partámone ormai dal nostro dire,
e ritornimo a Cristo nostro sire,
che ne perdoni lo nostro fallire
e diene pace.
     — Lo vostro ditto, frate, sí ne piace,
però che vostro dicer è verace;
de sequir voi tal via sí n’aiace,
che ne salvimo. Amen. —