Le Laude (1915)/II. De la beata Vergine Maria
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II
De la beata Vergine Maria
O Vergine piú che femina — santa Maria beata.
Piú che femina, dico; — onom nasce nemico;
per la Scrittura splico, — nant’èi santa che nata.
Stando en ventre chiusa, — puoi l’alma ce fo enfusa,
potenza virtuusa — sí t’ha santificata.
La divina onzione — sí te santificòne,
d’omne contagione — remaneste illibata.
L’original peccato — ch’Adam ha semenato,
omn’om con quello è nato: — tu se’ da quel mondata.
Nullo peccato mortale — en tuo voler non sale,
e da lo veniale — tu sola emmaculata.
Secondo questa rima — tu se’ la vergen prima,
sopre l’altre soblima; — tu l’hai emprima votata
la tua vergenetate — sopr’omne umanetate
ch’en tanta puritate — mai fosse conservata.
L’umilità profonda — che nel tuo cor abonda,
lo cielo se sprofonda — d’esserne salutata.
Virgineo proposito — en sacramento ascondito,
marito piglia incognito — che non fosse enfamata.
L’alto messo onorato — da ciel te fo mandato;
lo cor fu paventato — de la sua annunziata:
— Conceperai tu figlio, — serà senza simiglio,
se tu assenti al consiglio — de questa mia ambasciata. —
O Vergen, non tardare — al suo detto assentare;
la gente sta chiamare — che per te sia aiutata.
Aiutane, Madonna, — ca ’l mondo se sperfonna
se tarde la responna — che non sia avivacciata.
Puoi che consentisti, — lo figliol concepisti.
Cristo amoroso desti — a la gente dannata.
Lo mondo n’è stupito — conceper per audito,
lo corpo star polito — a non essere toccata.
Sopr’omne uso e ragione — aver concezione,
senza corruzione — femena gravedata.
Sopre ragione ed arte — senza sementa latte,
tu sola n’hai le carte — e sènne fecundata.
O pregna senza semina, — non fu mai fatt’en femina,
tu sola sine crimina, — null’altra n’è trovata.
Lo verbo creans omnia — vestito è ’n te Virginia,
non lassando sua solia, — divinitá encarnata.
Maria porta Dio omo, — ciascun serva ’l suo como;
portando sí gran somo — e non essere gravata.
O parto enaudito, — lo figliol partorito
entro del ventre uscito — de matre segellata!
A non romper sogello — nato lo figliol bello,
lassando lo suo castello — con la porta serrata!
Non siría convegnenza — la divina potenza
facesse violenza — en sua cas’albergata.
O Maria, co facivi — quando tu lo vidivi?
or co non te morivi — de l’amore afocata?
Co non te consumavi — quando tu lo guardavi,
che Dio ce contemplavi — en quella carne velata?
Quand’esso te sugea, — l’amor co te facea,
la smesuranza sea — esser da te lattata?
Quand’esso te chiamava — e mate te vocava,
co non te consumava — mate di Dio vocata?
O Madonna, quigli atti — che tu avev’en quigl fatti,
quigl’enfocati tratti — la lengua m’han mozzata.
Quando ’l pensier me struge, — co fai quando te suge?
lo lacremar non fuge — d’amor che t’ha legata.
O cor salamandrato — de viver sí enfocato,
co non t’ha consumato — la piena enamorata?
Lo don della fortezza — t’ha data stabilezza
portar tanta dolcezza — ne l’anema enfocata!
L’umilitate sua — embastardío la tua,
ch’ogn’altra me par frua — se non la sua sguardata.
Che tu salist’en gloria, — esso sces’en miseria;
or quigna convenería — ha enseme sta vergata?
La sua umilitate — prender umanitate,
par superbietate — on’altra ch’è pensata.
Accurrite, accurrite, — gente; co non venite?
vita eterna vedite — con la fascia legata.
Venitel a pigliare, — che non ne può mucciare,
che deggi arcomperare — la gente desperata.