Ladin! 2011/5
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Enzo Croatto
Spigolature lessicali cadorine (Prima parte)
Se esaminiamo la pubblicistica di
argomento linguistico, specie lessicografico,
di questo primo decennio
del nuovo secolo sulle aree ladine bellunesi,
pensiamo di poter tracciare, pur con
doverosa prudenza, un bilancio piuttosto
positivo.
Riteniamo altresì che la forte spinta lessicografica che si è evidenziata nel secolo scorso con la pubblicazione di decine di dizionari dialettali, per impulso soprattutto dei nostri maestri Carlo Tagliavini (1903-1982), Giovan Battista Pellegrini (1921-2007) e dei loro allievi e amici Vito Pallabazzer (1928-2009), Giovanni Battista Rossi (1922-2010) e altri, non si sia certo esaurita.
È sufficiente scorrere un breve elenco dei più recenti lessici per averne conferma: Luigi Nicolai (Selva di Cadore, etimologico, 2000), Enzo Croatto (Zoldo, 2004), Elio Del Favero (Lozzo di Cadore, 2004), Sergio Masarei (Livinallongo, 2005), Dino e Gino Zandonella Sarinuto (Comelico Superiore, 2008), Irlino Doriguzzi Bozzo (Danta di Comelico, 2008), Giancarlo Soravia (Venas di Cadore, 2009 e 2011). È in stampa inoltre un corposo vocabolario cadorino dell’Oltrepiave (Lorenzago) ad opera di Gianpietro De Donà e Lina De Donà Fabbro; nel 2012 uscirà anche il vocabolario cadorino di Zoppè, opera postuma di Ermanno Livan. Sempre in area cadorina è al lavoro da oltre un lustro un gruppo di anziani che intendono ampliare e approfondire il dialetto d’Oltrechiusa (S. Vito, Borca e Vodo di Cadore), già documentato da Vincenzo Menegus Tamburìn (1959 e 1978).
È evidente che oggi il lavoro dialettologico di scavo, con accurate ricerche sul campo, presenta notevoli difficoltà per ovvi motivi: le mutate condizioni economiche con la conseguente scomparsa della cultura locale (agro-silvo-pastorale) e il conseguente spopolamento e impoverimento linguistico, tanto che taluni studiosi, con una punta di mesta ironia, parlano di “archeologia dialettologica”. Talvolta tuttavia la pazienza e l’ostinazione del ricercatore viene premiata.
Abbiamo rivisto alcune nostre annotazioni e chiose che a suo tempo avevamo fatto sul Dizionario della gente di Lozzo - Dialetto ladino di Lozzo di Cadore, dalle note del prof. Elio Del Favero del 2004. Per far ciò ci siamo avvalsi, oltre che della nostra personale esperienza dei dialetti ladini dolomitici e quelli cadorini in particolare, della tesi di laurea inedita di Pietro Bruno Bragato (Il dialetto di Lozzo di Cadore, tesi di glottologia, relatore Prof. Carlo Tagliavini, a.a. 1944-45, Università di Padova) che abbiamo potuto consultare. <poem> afìto “affitto”, pl. (afìte), ha anche il senso di “interessi del denaro”. agaśón più che “acquazzone”, nonostante l’apparenza, significa “piena, alluvione” come in ampezzano (agajón), comelicano (agađón), livinall. agajón e perfino fassano (egajón) e friulano, dove però agaciòn ha il senso di “rugiada copiosa”; sinon. di brentàna; acquazzone è piuttosto spiovàz, spiovazàda. L’etimo è comunque lo stesso:< lat. aquatiōne. aghèi significa anche “pungiglione di vespe e altri insetti” come in quasi tutti i dialetti cadorini (oltrech., cib.; comel. ađèi, ampez. ajéi) e in friulano (aśéi). albìna “apiario, tettoia per gli alveari”, presente in tutti i dialetti cadorini, manca al vocabolario. alèr “alare”, la voce schietta è bràndol, ma qui non c’è nessun rimando. In nessun atlante linguistico (AIS, ALI, ASLEF, ALD) compare alcunché di simile. È un evidente italianismo, probabilmente un adattamento scherzoso di “alare”, nemmeno classificabile come idioletto; nell’insieme appare come uno scherzo. Analogo caso di italianismo è arèr “aratro”, che si contrappone all’autentico e schietto arsuói. auđói “capretto”, forse non è singolare, ma plurale di auđól (cfr. audòla); v. per es. lo zold. giòl e giòla, < lat. haediol(a). bàila “balia” pare un banale recente italianismo con metatesi, noto anche nel Comelico e a Venas; Bragato ha néna. Bàila ha dato tuttavia origine al verbo bailà “cullare, accarezzare, vezzeggiare un bambino”. boàza “sterco di vacca”, è una voce del tutto veneta penetrata anche in Comelico e ad Auronzo, ma anche in Friuli (buiàce); è tuttavia considerata perlopiù estranea al cadorino, che usa quasi ovunque invece la voce schietta bòrba. A Cortina, come nel resto dei dialetti ladini, è diffusa la voce zòrda. bòśema secondo Bragato non è un cibo (vocabol.: “cibo a base di farina e crusca”), ma è l’ital. “bozzima, mescolanza di acqua e farina (+ crusca) adoperata dai tessitori per ammorbidire i fili”; è voce assai diffusa in tutta l’area dolomitica. brazuós “linguetta degli zoccoli”, o meglio “fascia di cuoio che fa da tomaia”, perfettamente sinon. di lazuó (voce presente anche nel cadorino di Cibiana), a cui però non si rimanda. È il pl. di brazuó, come si evince dalla fraseologia i brazuós e come è attestato da Bragato; corrisponde al comel. bazó, bazé, bazùa. Questa voce potrebbe essere connessa con lo zold. bauzùol, agord. balzól, baozól, balzuól id. < lat. balteolus. cabiòto del cian “canile”, manca al vocabolario; forma nota in tutto il Cadore. Nel vocabolario si trova solo gabiòto “stanza piccola e angusta, ripostiglio, legnaia”. calamàr “calamaio”, tipo pancadorino e friulano, assente nel vocabolario. calz “calcio del fucile”, manca al vocabolario, in area cadorina si trovano le forme: (s)calze, calz(o). carì più che “elemosinare, estorcere” significa, come segnala giustamente Bragato, “cercare”, come in Comelico (carì, cri), a Lorenzago e a Domegge; è voce nota anche al ladino del Sella (livin. cherì) e al friulano, cirì. Nel vocabolario, per “cercare”, troviamo invece solo zercà, anche se semanticamente i significati non sono lontani tra loro, < lat. quaerere. cartón non è solo “cartone” ma anche “copertina di libro o quaderno”. ciàpa “chiappa, natica” e “ferro per gli zoccoli della mucca” andavano divise e ovviamente poste in due lemmi diversi. ciàśa “casa”, non si segnala anche il significato di “cucina”, che viene indicato solo sotto la voce cosìna di pag. 268.
cođìn (òs -) “osso sacro”, non crosèra, che significa “regione lombare, parte bassa della spina dorsale”; òs codìn è voce pancadorina assente nel vocabolario. coladói grossa tela, che veniva usata un tempo per il bucato con la cenere e in italiano si chiama “ceneraccio(lo)”, non è certo un “setaccio” (tamés, crivèl). colàina non è il “giogo per i buoi”, che si dice dòu, ma la “giogaia, la pelle pendula dal collo dei bovini”, e lo si può intuire chiaramente anche dalla fraseologia: netà la colàina dei bòs. Voce ben nota in Cadore (Oltrechiusa colagna, colàina, Auronzo e Pozzale colàina, Comelico culàina), ma anche a Erto e Claut (colàgna, golàgna). È chiaramente un uso metaforico della voce “collana”.
conzà non significa solo “condire” ma anche “conciare pelli”; infatti Bragato segnala la voce conzapèl “conciatore, conciapelli”, presente anche a Cibiana e Cortina (conzapèles). còsta non è il “costato”, che in it. si definisce “parete toracica”, ma una semplice “costola”, come è chiaro dalla fraseologia: èi mal nte le còste. crépa “teschio, cranio”, manca al vocabolario, ed è una voce diffusissima. cuèrte f. pl. sono tecnicamente i “quarti della ruota, i quattro o più pezzi arcuati di legno che formano la circonferenza della ruota”; voce presente nel vocabolario, ma che qui si è voluto chiarire ulteriormente. In Cadore sono definiti anche con altre voci: Oltrechiusa iavèi, Comelico gavèi, Cortina javèi. danè “denaro”, è chiaramente una voce scherzosa di origine milanese. darecòu “ancora”, è evidentemente un refuso per dareciòu, ampezz. id. dontùra “giuntura, articolazione”: era consigliabile un rimando allo schietto leśùra. duóie “doglie del parto”, manca al vocabolario; è tipo noto anche ad Auronzo, Comelico e con plurale sigmatico in Oltrechiusa, Cortina e Cibiana (duóies), ma anche in Friuli (dòis). đurà “giurare”, ma nel vocabolario si segnala solo il recente giurà.
érta “strada ripida” e “stipite di una porta”: era opportuno creare due lemmi, anche se l’origine è la stessa < lat. *ērctus “ciò che sta ritto” <erēctus p.p. di erigere. fèr da dimàn è in realtà un fèr da doi man un “coltello a petto con due impugnature usato per sgrossare il legno”, che pare fosse molto usato dai seggiolai. fiùba “fibbia”, manca al vocabolario, ove si trova solo il recente fìbia. Voce assai nota nelle Dolomiti e altrove (es. Cibiana, Cortina, ma in Comelico fiùga). fógola “lucciola”, manca al vocabolario; voce nota a Lorenzago, Oltrechiusa e Cortina, ma anche a Erto (fùagola) e nell'Agordino Meridionale (fógola). fontàna non è la “fontana”, che si dice invece brénte, ma una “sorgente” come si arguisce da fontanèla “piccola sorgente” (sinonimo di agaròla, alla quale non viene rimandato) e dalla toponomastica. fośinàl “forgia, focolare del fabbro”, manca al vocabolario; ampez. fujinà, zold. e oltrechius. fuśinàl. fredolènte “freddoloso”, come in oltrechius., manca al vocabolario. fulìme “fuliggine”, manca al vocabolario, che registra solo cialìme id. Bragato invece registra ambedue le voci. Citiamo il comel. folìme, fulìmi, fulimu, Cortina forime, ma la voce fulìme è presente anche ad Auronzo e Lorenzago. A Venas troviamo calìđin e fulìme, in Friuli cjalìn e fruśìn. giataòrba “moscacieca”, manca al vocabolario; a pag. 828 si inserisce solo la recente forma italianizzante moscacéca; giataòrba è presente in oltrechius., Auronzo e Comelico, zold. gataòrba, ma a Cortina mariaòrba, Friuli gjateuàrbe. giavión “erba d’alta montagna dura e difficile da falciare” non definita, è il “cervino, fieno di monte (Nardus stricta L.)”, comel. ciavión, S.Vito e Borca ciaveón, Zoppè di Cadore caveón, < lat. capillus + -ōne. golóśa “leccarda, ghiotta, vaschetta che raccoglie il grasso che cola dallo spiedo”, manca al vocabolario. È voce nota a Cibiana, Auronzo, Oltrechiusa e Zoldo, ma anche in Friuli (golóśe). grìpia “mangiatoia, greppia”, manca il rimando alla voce schietta cianà. gùa “arrotino”, come a Domegge; manca al vocabolario, che registra solo il sinonimo moléta; esiste tuttavia il verbo guà “arrotare”. làzo corènte “nodo scorsoio”, manca al vocabolario; voce pancadorina, presente anche nello zoldano e a Livinallongo. màrco “romano, contrappeso della stadera”; manca al vocabolario, la voce è presente ad Auronzo, Lorenzago, Oltrechiusa e Cortina. màre “placenta”: si sarebbe dovuto fare un rimando alla voce caratteristica curàcia id. mòla “molla dell’orologio”: perché non citare lo schietto sùsta ? moròide f.pl. “emorroidi”, Oltrechiusa moròides, Cortina maròides. mosìgol “topolino”: si tratta del “toporagno”, noto in Cadore come mosìgo (Oltrechiusa), musìgu (Comelico), mosìgol (Auronzo), morsigol (Domegge), moscìgo (Cortina), ma la voce è diffusa anche negli altri dialetti ladini dolomitici e a Claut ed Erto (muśigón). mul non è il “recipiente per dare la forma al formaggio” che invece è detto scàtol in tutto il Cadore, ma una “sorta di piccolo mastello di legno con fori per far sgocciolare la ricotta”; infatti a pag. 578, alla voce scòlo “siero”, troviamo: scòlo de mul “il siero da cui si ottiene la ricotta”. È una tipica voce cadorina assai diffusa. mùla (ciàura - ) non è una “capra femmina”, ma una “capra senza corna” e la voce ha una vasta diffusione dolomitica, ma anche in Friuli; a Clauzetto: mùle. oréśe “orefice”, voce pancadorina, Cortina oréje, Friuli oréśin; manca al vocabolario. órse: era più corretto inserire due lemmi:“orso” < ursus e “bruciore all’ano”, quest’ultimo infatti è di probabile origine tirolese (Arsch). òs de la schéna “scapola”, manca al vocabolario; analoga voce a Cibiana. palpiéra “palpebra”, voce nota anche a Domegge e Venas, Oltrechiusa palpéra, Cortina palpària, ma anche in Friuli palpiére; manca al vocabolario. palù “palude”, m. in tutte le varietà cadorine e in buona parte dei dialetti dolomitici, contrariamente all’italiano; qui lo si arguisce anche dalla toponomastica: Palù Zoldàn. pàrtol “parto”, è questa la forma più schietta, pancadorina, in contrasto con la voce riportata nel vocabolario (pàrto). petùme è “calcestruzzo”, v. fraseologia, < francese béton. poiàta è semplicemente una “carbonaia”, enza ulteriori spiegazioni. ponàro “pollaio” = pulinèi, recente venetismo,
cherzoso.
porzèl “maiale”: anche qui era doveroso un rimando a cùcio id. prònte (a - ) “in contanti”; manca nel vocabolario, locuzione presente in Oltrechiusa e a Cortina. pùlis “pulce”, non è f. come in italiano, ma m., come si deduce dalla fraseologia: coi pùlis, betù n pùlis. remenàto non è un “modesto architrave di porte e finestre”, ma tecnicamente un “arco di scarico, un arco morto sopra l’architrave, fatto di mattoni”. Voce assai diffusa in Oltrechiusa, Cibiana e Cortina, ma anche ad Agordo e Zoldo. róto (sonà da - ) “mandare un suono fesso”; manca al vocabolario. sandolàse “slittare, scivolare per gioco sulla neve”; non c’è nessun rimando alla variante saudelàse, peraltro assai vicina alle voci di Oltrechiusa, Cibiana e Lorenzago e nemmeno sotto quest’ultima forma si ritrova un rimando a sandolàse. Vengono citate invece altre voci: audetàse (da audéta “slittino”) e slisàse “lisciare”. schéna de la giànba “tibia”, come a Cibiana e in Oltrechiusa, in Friuli schenìli de gjambe; manca al vocabolario. sfère de l’arlòio “lancette dell’orologio”, manca al vocabolario. Oltrechiusa e Cibiana sféres, Cortina špéres, Friuli spèris, sfèris. sofrès “poplite, incavo posteriore del ginocchio”, manca al vocabolario; è una voce che va accostata al comel. sufrègn; presente anche a Lorenzago (sofrèi) e a Domegge (sofrài). spànda “spanna”; il vocabolario registra solo cuàrta, ma le due voci coesistono in Cadore. spèrge “aspersorio” (Oltrechiusa: aspèries, spèrie, aspèrges, Comelico: spèrśi), Friuli: aspèrges; manca al vocabolario. spietancóra “zitella”, curiosa voce registrata da Bragato, con significato trasparente e ironico: ‘aspetta ancora’; pare del tutto isolata in Cadore, nel vocabolario si cita solo artelùza. spolèr non è il “focolare”, ma la “cucina economica”, che nel vocabolario è definita invece fornèla; “focolare” si dice invece foghèr e indica il locale. Larìn, che si definisce pure “focolare”, è in realtà la “pietra del focolare”. È voce è assai diffusa nel Veneto e in Cadore, noi l’abbiamo rilevata (per ora) solo a Cibiana, Venas e Domegge, ma era certamente più presente, cfr. friulano spolèr(t). È un noto tedeschismo < Sparherd. spoléta “bastoncino forato, sorta di astuccio di legno per uno dei ferri da calze che le donne portavano infilato alla cintola”; voce nota ad Auronzo e Lorenzago ma anche in Zoldo, in Comelico spòla. stizà “attizzare il fuoco”; sotto questo lemma non si trova questo significato, occorre andare alla voce fuóu per trovare stizà su l fuóu; voce diffusissima. tàbio “spersola, tavolo inclinato e scanalato ove si lavora il formaggio”. È una voce assai diffusa nel Bellunese, in Cadore e Friuli. vis non è “viso, faccia”, che si dice invece mostàz(o), ma “fronte” come in quasi tutti i dialetti dolomitici. Nel vocabolario si trova il recente frónte, e vis per “viso” è dunque un italianismo. vuovèra “ovaia di gallina”, da vuóu “uovo”; manca al vocabolario. zèrza più che una “ritorta” si tratta del “chiovolo, corda o cinghia usata per fissare il giogo al timone del carro”, voce notissima in Cadore, ma anche altrove: Agordo, Zoldo e Livinallongo (cërcia) e Friuli (cèrce).