La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo XLIII

Libro secondo
Capitolo XLIII

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In quel mentre io m’attendevo a mettere insieme la mia bella porta, con tutte le infrascritte cose. E perché io non mi voglio curare di scrivere in questa mia Vita cose che s’appartengono a quelli che scrivono le cronache, però ho lasciato indietro la venuta dello Imperadore con il suo grande esercito, e il Re con tutto il suo sforzo armato. E in questi tempi cercò del mio consiglio, per affortificare prestamente Parigi: venne a posta per me a casa, e menommi intorno a tutta la città di Parigi; e sentito con che buona ragione io prestamente gli affortificavo Parigi, mi dette ispressa commessione, che quanto io avevo detto subitamente facessi; e comandò al suo Amiraglio che comandassi a quei populi che mi ubbidissino, sotto ’l poter della disgrazia sua. L’Amiraglio, che era fatto tale per il favore di Madama di Tampes e non per le sue buone opere, per essere uomo di poco ingegno e per essere il nome suo monsignore d’Anguebò, se bene in nostra lingua e’ vol dire monsignor d’Aniballe, in quella loro lingua e’ suona in modo, che quei populi i piú lo chiamavano monsignore Asino Bue; questa bestia, conferito il tutto a Madama di Tampes, lei gli comandò che prestamente egli facessi venire Girolimo Bellarmato. Questo era uno ingegnere sanese ed era a Diepa, poco piú d’una giornata discosto da Parigi. Venne subito, e messo in opera la piú lunga via da forzificare, io mi ritirai da tale impresa; e se lo Imperadore spigneva innanzi, con gran facilità si pigliava Parigi. Ben si disse che in quello accordo fatto da poi, Madama di Tampes, che piú che altra persona vi s’era intermessa, aveva tradito il Re. Altro non mi occorre dire di questo, perché non fa al mio proposito. Mi missi con gran sollecitudine a mettere insieme la mia porta di bronzo, e a finire quel gran vaso, e du’ altri mezzani fatti di mio argento. Dipoi queste tribulazioni venne il buon Re a riposarsi alquanto a Parigi. Essendo nata questa maledetta donna quasi per la rovina del mondo, mi par pure esser da qualcosa, da poi che l’ebbe me per suo nimico capitale. Caduta in proposito con quel buon Re de’ casi mia, gli disse tanto mal di me, che quel buono uomo per compiacerle, si misse a giurare che mai piú terrebbe un conto di me al mondo, come se cognosciuto mai non mi avessi. Queste parole me le venne a dir subito un paggio del cardinal di Ferrara, che si chiamava il Villa, e mi disse lui medesimo averle udite della bocca del Re. Questa cosa mi messe in tanta còllora, che gittato a traverso tutti i miei ferri, e tutte l’opera ancora, mi missi in ordine per andarmi con Dio, e subito andai a trovare il Re. Dipoi il suo desinare, entrai in una camera dove era Sua Maestà con pochissime persone; e quando e’ mi vidde entrare, fattogli io quella debita reverenza che s’appartiene a un Re, subito con lieta faccia m’inchinò il capo. Per la qual cosa presi isperanza, e a poco a poco accostatomi a Sua Maestà, perché si mostrava alcune cose della mia professione, quando si fu ragionato un pezzetto sopra le ditte cose, Sua Maestà mi domandò se io avevo da mostrargli a casa mia qualche cosa di bello, di poi disse quando io volevo che venissi a vederle. Allora io dissi che io stavo in ordine da mostrargli qualcosa, se gli avessi ben voluto, allora. Subito disse che io mi avviassi a casa, e che allora voleva venire.