La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo XL

Libro secondo
Capitolo XL

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Madama di Tampes, saputo queste mie faccende, piú grandemente inverso di me inveleniva, dicendo da per sé: - Io governo oggi il mondo, e un piccolo uomo, simile a questo, nulla mi stima! - Si messe in tutto e per tutto a bottega per fare contra di me. E capitandogli uno certo uomo alle mani, il quale era grande istillatore - questo gli dette alcune acque odorifere e mirabile, le quali gli facevan tirare la pelle, cosa per l’addietro non mai usata in Francia - lei lo misse innanzi al Re: il quale uomo propose alcune di queste istillazione, le quali molto dilettorno al Re; e in questi piaceri fece, che lui domandò a Sua Maestà un giuoco di palla che io avevo nel mio castello, con certe piccole istanzette, le quale lui diceva che io non me ne servivo. Quel buon Re, che cognosceva la cosa onde la veniva, non dava risposta alcuna. Madama di Tampes si messe a sollecitare per quelle vie che possono le donne innegli uomini, tanto che facilmente gli riuscí questo suo disegno, che trovando il Re in una amorosa tempera, alla quale lui era molto sottoposto, conpiacque a Madama tanto quanto lei desiderava. Venne questo ditto uomo insieme con il tesauriere Grolier, grandissimo gentiluomo di Francia; e perché questo tesauriere parlava benissimo italiano, venne al mio castello, e entrò in esso alla presenza mia parlando meco in italiano, in modo di motteggiare. Quando e’ vidde il bello, disse: - Io metto in tenuta da parte del Re questo uomo qui di quel giuoco di palla insieme con quelle casette che a il detto giuoco appartengono -. A questo io dissi: - Del sacro Re è ogni cosa; però piú liberamente voi potevi entrare qua drento; perché in questo modo, fatto per via di notai e della corte, mostra piú essere una via d’inganno, che una istietta commessione di un sí gran Re; e vi protesto che prima che io mi vadia a dolere al Re, io mi difenderò in quel modo che Sua Maestà l’altr’ieri mi commisse che io facessi; e vi sbalzerò quest’uomo, che voi m’avete messo qui, per le finestre, se altra spressa commessione io non veggo per la propia mana del Re -. A queste mie parole il detto tesauriere se n’andò minacciando e borbottando, e io faccendo il simile mi restai, né volsi per allora fare altra dimostrazione: di poi me n’andai a trovare quelli notari, che avevano messo colui in possessione. Questi erano molto mia conoscenti, e mi dissono che quella era una cerimonia fatta bene con commessione del Re, ma che la non importava molto; e che se io gli avessi fatto qualche poco di resistenza, lui non arebbe preso la possessione, come egli fece; e che quelli erano atti e costumi della corte, i quali non toccavano punto l’ubbidienza del Re; di modo che, quando a me venissi bene il cavarlo di possessione in quel modo che v’era entrato, saria ben fatto, e non ne saria altro. A me bastò essere accennato, che l’altro giorno cominciai a mettere mano all’arme; e se bene io ebbi qualche diflicultà, me l’avevo presa per piacere. Ogni dí un tratto facevo uno assalto con sassi, con picche, con archibusi, pure sparando sanza palla; ma mettevo loro tanto ispavento, che nissuno non voleva piú venire a ’iutarlo. Per la qual cosa, trovando un giorno la sua battaglia debole, entrai per forza in casa, e lui ne cacciai, gittandogli fuori tutto tutto quello che lui v’aveva portato. Di poi ricorsi al Re, e li dissi che io avevo fatto tutto tutto che Sua Maestà m’aveva commisso, difendendomi da tutti quelli che mi volevano inpedire il servizio di Sua Maestà. A questo il Re se ne rise, e mi spedí nuove lettere, per le quale io non avessi piú da esser molestato.