La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo XIII

Libro secondo
Capitolo XIII

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Per questi grandi insulti io ritornai al Re, pregando Sua Maestà che mi accomodassi altrove: alle qual parole mi disse il Re: - Chi siate voi, e come avete voi nome? - Io restai molto ismarrito e non sapevo quello che il Re si volessi dire; e standomi cosí cheto, il Re replicò un’altra volta le medesime parole quasi adirato. Allora io risposi che aveva nome Benvenuto. Disse il Re: - Addunche se voi siete quel Benvenuto che io ho inteso, fate sicondo il costume vostro, che io ve ne dò piena licenza -. Dissi a Sua Maestà che mi bastava solo mantenermi nella grazia sua, del resto io non conoscevo cosa nessuna che mi potessi nuocere. Il Re, ghignato un pochetto, disse: - Andate addunche, e la grazia mia non vi mancherà mai -. Subito mi ordinò un suo primo segretario, il quale si domandava monsignor di Villurois, che dessi ordine a farmi provvedere e acconciare per tutti i miei bisogni. Questo Villurois era molto grande amico di quel gentiluomo chiamato il provosto, di chi era il ditto luogo di Nello. Questo luogo era in forma triangulare, ed era appiccato con le mura della città ed era castello antico, ma non si teneva guardie: era di buona grandezza. Questo detto Monsignor di Villurois mi consigliava che io cercassi di qualche altra cosa, e che io lo lasciassi a ogni modo; perché quello di che gli era, era uomo di grandissima possanza, e che certissimo lui mi arebbe fatto ammazzare. Al quale io risposi, che ero andato di Italia in Francia solo per servire quel maraviglioso Re, e quanto al morire, io sapevo certo che a morire avevo; che un poco prima o un poco dappoi non mi dava una noia al mondo. Questo Villurois era uomo di grandissimo ispirito, e mirabile in ogni cosa sua, grandissimamente ricco: non è al mondo cosa che lui non avessi fatto per farmi dispiacere, ma non lo dimostrava niente; era persona grave, di bello aspetto, parlava adagio. Commesse a un altro gentiluomo, che si domandava Monsignor di Marmagnia, quale era tesauriere di Lingua d’oca. Questo uomo, la prima cosa che e’ fece, cercato le migliore stanze di quel luogo, le faceva acconciare per sé: al quale io dissi che quel luogo me lo aveva dato il Re perché io lo servissi, e che quivi non volevo che abitassi altri che me e li mia servitori. Questo uomo era superbo, aldace, animoso; e mi disse che voleva fare quanto gli piaceva, e che io davo della testa nel muro a voler contrastare contro a di lui; e che tutto quel che lui faceva, ne aveva aùto commessione da Villurois di poter farlo. Allora io dissi che io avevo aùto commessione dal Re, che né lui né Villurois tal cosa non potrebbe fare. Quando io dissi questa parola, questo superbo uomo mi disse in sua lingua franzese molte brutte parole, alle quali io risposi in lingua mia, che lui mentiva. Mosso dall’ira, fece segni di metter mano a una sua daghetta; per la qual cosa io messi la mano in sun una mia daga grande, che continuamente io portavo accanto per mia difesa, e li dissi: - Se tu sei tanto ardito di sfoderar quell’arme, io subito ti ammazzerò -. Gli aveva seco dua servitori, e io avevo li mia dua giovani: e in mentre che il ditto Marmagnia stava cosí sopra di sé, non sapendo che farsi, piú presto vòlto al male, e’ diceva borbottando: - Già mai non comporterò tal cosa -. Io vedevo la cosa andar per la mala via; subito mi risolsi e dissi a Pagolo e Ascanio: - Come voi vedete che io sfodero la mia daga, gittatevi addosso ai dua servitori e ammazzategli, se voi potete: perché costui io lo ammazzerò al primo; poi ci andren con Dio d’accordo subito -. Sentito Marmagnia questa resoluzione, gli parve fare assai a uscir di quel luogo vivo. Tutte queste cose, alquanto un poco piú modeste, io le scrissi al cardinale di Ferrara, il quale subito le disse al Re. Il Re crucciato mi dette in custode a un altro di quei suoi ribaldi, il quale si domandava monsignor lo iscontro d’Orbech. Questo uomo con tanta piacevolezza, quanto inmaginar si possa, mi provvedde di tutti li mia bisogni.