La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo XIV

Libro secondo
Capitolo XIV

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Fatto ch’io ebbi tutti gli acconci della casa e della bottega, accomodatissimi a poter servire, e onoratissimamente, per li mia servizii della casa, subito messi mano a far tre modelli, della grandezza appunto che gli avevano da essere d’argento: questi furno Giove e Vulgano e Marte. Gli feci di terra, benissimo armati di ferro, di poi me ne andai dal Re, il quale mi fece dare, se ben mi ricordo, trecento libbre d’argento, acciò che io cominciassi a lavorare. In mentre che io davo ordine a queste cose, si finiva il vasetto e il bacino ovato, i quali ne portorno parecchi mesi. Finiti che io gli ebbi, gli feci benissimo dorare. Questa parve la piú bell’opera che mai si fosse veduta in Francia. Subito lo portai al cardinal di Ferrara, il quale mi ringraziò assai; di poi sanza me lo portò al Re e gnene fece un presente. Il Re l’ebbe molto caro, e mi lodò piú smisuratamente che mai si lodassi uomo par mio; e per questo presente donò al cardinal di Ferrara una badia di sette mila scudi d’entrata; e a me volse far presente. Per la qual cosa il Cardinale lo inpedí, dicendo a Sua Maestà che quella faceva troppo presto, non gli avendo ancora dato opera nessuna. E il Re, che era liberalissimo, disse: - Però gli vo’ io dar coraggio che me ne possa dare -. Il Cardinale, a questo vergognatosi, disse: - Sire, io vi priego che voi lasciate fare a me; perché io gli farò una pensione di trecento scudi il manco, subito che io abbia preso il possesso della badia -. Io non gli ebbi mai, e troppo lungo sarebbe a voler dire la diavoleria di questo Cardinale; ma mi voglio riserbare a’ cose di maggiore importanza.