La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LII

Libro secondo
Capitolo LII

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Torna’mene all’osteria e trovai che il sopra detto Duca m’aveva mandato abbundantissimamente presenti da mangiare e da bere, molto onorati: presi di buona voglia il mio cibo; da poi, montato a cavallo, me ne venni alla volta di Fiorenze; dove giunto che io fui, trovai la mia sorella carnale con sei figliolette, che una ve n’era da marito e una ancora a balia: trovai il marito suo, il quale per vari accidenti della città non lavorava piú dell’arte sua. Avevo mandato piú d’uno anno innanzi gioie e dorure franzese per il valore di piú di dumila ducati, e meco ne avevo portate per li valore di circa mille scudi. Trovai che, se bene io davo loro continuamente quattro scudi d’oro il mese, ancora continuamente pigliavano di gran danari di quelle mie dorure che alla giornata loro vendevano. Quel mio cognato era tanto uomo da bene che, per paura che io non mi avessi a sdegnar seco, non gli bastando i dinari che io gli mandavo per le sue provvisione, dandogliene per limosina, aveva inpegnato quasi ciò che gli aveva al mondo, lasciandosi mangiare dagli interessi, solo per non toccare di quelli dinari che non erano ordinati per lui. A questo io cognobbi che gli era molto uomo da bene e mi crebbe voglia di fargli piú limosina: e prima che io partissi di Firenze volevo dare ordine a tutte le sue figlioline.