La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LI

Libro secondo
Capitolo LI

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Di poi che noi fummo una giornata in Italia, ci raggiunse il conte Galeotto della Mirandola, il quale passava in poste, e fermatosi con esso noi, mi disse che io avevo fatto errore a partirmi, e che io dovessi non andare piú innanzi, perché le cose mie, tornando subito, passerebbono meglio che mai; ma se io andavo innanzi, che io davo campo ai mia nimici e comodità di potermi far male; dove che, se io tornavo subito, arei loro impedita la via a quello che avevano ordinato contro a di me; e quelli tali, in chi io avevo piú fede, erano quelli che m’ingannavano. Non mi volse dire altro, che lui benissimo lo sapeva: e ’l cardinal di Ferrara era accordato con quei dua mia ribaldi che io avevo lasciato in guardia d’ogni cosa mia. Il ditto contino mi repricò piú volte che io dovessi tornare a ogni modo. Montato in su le poste passò innanzi, e io, per la compagnia sopra ditta, ancora mi risolsi a passare innanzi. Avevo uno istruggimento al cuore, ora di arrivare prestissimo a Firenze, e ora di ritornarmene in Francia. Istavo in tanta passione, a quel modo inresoluto, che io per utimo mi risolsi voler montare in poste per arrivare presto a Firenze. Non fu’ d’accordo con la prima posta; per questo fermai il mio proposito assoluto di venire a tribulare in Firenze. Avendo lasciato la compagnia del signore Ipolito Gonzaga, il quale aveva preso la via per andare alla Mirandola e io quella di Parma e Piacenza, arrivato che io fui a Piacenza iscontrai per una strada il duca Pierluigi, il quale mi squadrò e mi cognobbe. E io che sapevo che tutto il male che io avevo aùto nel Castel Sant’Agnolo di Roma, n’era stato lui la intera causa, mi dette passione assai il vederlo; e non conoscendo nessun rimedio a uscirgli delle mane, mi risolsi di andarlo a visitare; e giunsi appunto che s’era levata la vivanda, ed era seco quelli uomini della casata de’ Landi, qual da poi furno quelli che lo ammazzorno. Giunto a Sua Eccellenzia, questo uomo mi fece le piú smisurate carezze che mai immaginar si possa: e infra esse carezze da sé cadde in proposito, dicendo a quelli ch’erano alla presenza, che io era il primo uomo del mondo della mia professione e che io ero stato gran tempo in carcere in Roma. E voltosi a me disse: - Benvenuto mio, quel che voi avesti, a me ne ’ncrebbe assai; e sapevo che voi eri innocente, e non vi potetti aiutare altrimenti, perché mio padre per soddisfare a certi vostri nimici, i quali gli avevano ancora dato addintendere che voi avevi sparlato di lui: la qual cosa io so certissima che non fu mai vera; e a me ne increbbe assai del vostro - e con queste parole egli multipricò in tante altre simile, che pareva quasi che mi chiedessi perdonanza. Appresso mi domandò di tutte l’opere che io aveva fatte al Re Cristianissimo; e dicendogliele io, istava attento, dandomi la piú grata audienza che sia possibile al mondo. Di poi mi ricercò se io lo volevo servire: a questo io risposi che con mio onore io non lo potevo fare; che se io avessi lasciato finite quelle tante grand’opere che io avevo cominciate per quel gran Re, io lascerei ogni gran signore, solo per servire Sua Eccellenzia. Or qui si cognosce quanto la gran virtú de Dio non lascia mai impunito di qualsivoglia sorta di uomini, che fanno torti e ingiustizie agli innocenti. Questo uomo come perdonanza mi chiese alla presenza di quelli, che poco da poi feciono le mie vendette, insieme con quelle di molti altri ch’erano istati assassinati da lui; però nessun Signore, per grande che e’ sia, non si faccia beffe della giustizia de Dio, sí come fanno alcuni di quei che io cognosco, che sí bruttamente m’hanno assassinato, dove al suo luogo io lo dirò. E queste mie cose io non le scrivo per boria mondana, ma solo per ringraziare Idio, che m’ha campato da tanti gran travagli. Ancora di quelli che mi s’appresentano innanzi alla giornata, di tutti allui mi querelo, e per mio propio difensore chiamo e mi raccomando. E sempre, oltra che io m’aiuti quanto io posso, da poi avvilitomi dove le debile forze mie non arrivano, subito mi si mostra quella gran bravuria de Dio, la quale viene inaspettata a quelli che altrui offendono a torto, e a quelli che hanno poco cura della grande e onorata carica, che Idio ha dato loro.