La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo CX

Libro secondo
Capitolo CX

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Volendo entrare innaltro ragionamento, e lasciare per un pezzo il favellar di questa smisurata ribalderia, sono necessitato in prima dire ’l seguito dei cinque anni dell’affitto, passato il quale, non volendo quei dua ribaldi mantenermi nessuna delle promesse fattemi, anzi mi volevano rendere il mio podere e nollo volevano piú tenere affitto. Per la qual cosa io mi cominciai a dolere, e loro mi squadernavano addosso il contratto; di modo che per via della loro mala fede io non mi potevo aiutare. Veduto questo, io dissi loro come il Duca e ’l Principe di Firenze non sopporterebbono che nelle lor città e’ si assassinassi gli uomini cosí bruttamente. Or questo spavento fu di tanto valore che e’ mi rimissono addosso quel medesimo Raffaello Scheggia che fece quel primo accordo; e loro dicevano che no me ne volevano dare li scudi d’oro innoro, come ei mi avevano dato de’ cinque anni passati: a’ quali io rispondevo che io non ne volevo niente manco. Il detto Raffaello mi venne a trovare, e mi disse: - Benvenuto mio, voi sapete che io sono per la parte vostra: ora loro l’hanno tutto rimisso in me - e me lo mostrò scritto di lor mano. Io, che non sapevo che il detto fussi lor parente istretto, me ne parve star benissimo, e cosí io mi rimissi innel detto in tutto e per tutto. Questo galante uomo ne venne una sera a mezza ora di notte, ed era del mese d’agosto, e con tante suo’ parole egli mi sforzò a far rogare il contratto, solo perché egli conosceva che se e’ si fussi indugiato alla mattina, quello inganno che lui mi voleva fare non gli sarebbe riuscito. Cosí e’ si fece il contratto, che e’ mi dovessi dare sessantacinque scudi di moneta l’anno di fitto, in dua paghe ogni anno, durante tutta la mia vita naturale. E con tutto che io mi scotessi, e per nulla non volevo star paziente, il detto mostrava lo scritto di mia mano, con il quale moveva ognuno a darmi ’l torto; e il detto diceva che l’aveva fatto tutto per il mio bene e che era per la parte mia; e non sapendo né il notaio né gli altri come gli era lor parente, tutti mi davano il torto: per la qual cosa io cedetti in buon’ora, e mi ingegnerò di vivere il piú che mi sia possibile. Appresso a questo io feci un altro errore del mese di dicembre 1566 seguente. Comperai mezzo il podere del Poggio da loro, cioè dallo Sbietta, per dugento scudi di moneta, il quale confina con quel primo mio della Fonte, con riservo di tre anni, e lo detti loro affitto. Feci per far bene. Troppo bisognerebbe che lungamente io mi dilungassi con lo scrivere, volendo dire le gran crudelità che e’ m’hanno fatto; la voglio rimettere in tutto e per tutto in Dio, qual m’ha sempre difeso da quegli che mi hanno voluto far male.