La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo CIX

Libro secondo
Capitolo CIX

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Subito che io fui a Firenze, e’ mi venne a trovare un certo uomo chiamato Raffaellone Scheggia, tessitore di drappi d’oro, il quale mi disse cosí: - Benvenuto mio, io vi voglio mettere d’accordo con Piermaria Sbietta -: al quale io dissi che e’ non ci poteva mettere d’accordo altri che li signori Consiglieri, e che in questa mana di Consiglieri lo Sbietta non v’arà un Federigo de’ Ricci, che per un presente di dua cavretti grassi, sanza curarsi di Dio né de l’onor suo, voglia tenere una cosí scellerata pugna e fare un tanto brutto torto alla santa ragione. Avendo detto queste parole, insieme con molte altre, questo Raffaello sempre amorevolmente mi diceva che gli era molto meglio un tordo, il poterselo mangiare in pace, che nonnera un grassissimo cappone, se bene un sia certo d’averlo, e averlo in tanta guerra: e mi diceva che il modo delle liti alcune volte se ne vanno tanto in lunga, che in quel tempo io arei fatto meglio a spenderlo in qualche bella opera, per la quale io ne acquisterei molto maggiore onore e molto maggiore utile. Io, che conoscevo che lui diceva il vero, cominciai a prestare orecchi alle sue parole; di modo che in breve egli ci accordò in questo modo: che lo Sbietta pigliassi il detto podere da me affitto per settanta scudi d’oro innoro l’anno, per tutto ’l tempo durante la vita mia naturale. Quando noi fummo affarne il contratto, il quale ne fu rogato ser Giovanni di ser Matteo da Falgano, lo Sbietta disse che in quel modo che noi avevamo ragionato, importava la maggior gabella; e che egli non mancherebbe - e però gli è bene che noi facciamo questo affitto di cinque anni in cinque anni - e che mi manterrebbe la sua fede, senza rinovare mai piú altre lite. E cosí mi promesse quel ribaldo di quel suo fratello prete; e in quel modo detto, de’ cinque anni, se ne fece contratto.