La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo CVII

Libro secondo
Capitolo CVII

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Essendo di già passato l’anno che io avevo il podere della Fonte dallo Sbietta, e oltra tutti i dispiaceri fattimi e di veleni e d’altre loro ruberie, veduto che ’l detto podere non mi fruttava alla metà di quello che loro me lo avevano offerto, e ne avevo, oltre a i contratti, una scritta di mano dello Sbietta, il quale mi si ubbrigava con testimoni a mantenermi le dette entrate, io me n’andai a’ signor Consiglieri; ché in quel tempo viveva messer Alfonso Quistello ed era fiscale, e si ragunava con i signori Consiglieri; e de’ Consiglieri si era Averardo Serristori e Federigo de’ Ricci: io non mi ricordo del nome di tutti: ancora n’era uno degli Alessandri: basta che gli era una sorte di uomini di gran conto. Ora avendo conte le mie ragioni al magistrato, tutti a una voce volevano che ’l detto Sbietta mi rendessi li mia dinari, salvo che Federigo de’ Ricci, il quale si serviva in quel tempo del detto Sbietta; di sorte che tutti si condolsono meco che Federigo de’ Ricci teneva che loro non me la spedivan; e infra gli altri Averardo Serristori con tutti gli altri; ben che lui faceva un rimore strasordinario, e ’l simile quello degli Alessandri: che avendo il detto Federigo tanto trattenuto la cosa che ’l magistrato aveva finito l’uffizio, mi trovò il detto gentiluomo una mattina, di poi che gli erano usciti in su la piazza della Nunziata, e senza un rispetto al mondo con alta voce disse: - Federigo de’ Ricci ha tanto potuto piú di tutti noi altri, che tu se’ stato assassinato contro la voglia nostra -. Io non voglio dire altro sopra di questo, perché troppo si offenderebbe chi ha la suprema potestà del governo; basta che io fui assassinato a posta di un cittadino ricco, solo perché e’ si serviva di quel pecoraio.