La villeggiatura/Nota storica
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NOTA STORICA
«Chi volesse discorrere su quel che succede in villa, vi sarebbero da far de’ tomi. Si vanno a struggere i poeti per far commedie. Vengano qui se vogliono fare delle commedie». Per farne al Goldoni non era bisognato questo consiglio d’un suo personaggio (Avventure della villeggiatura, a. I, sc. III). Aveva menato seco già più volte il docile suo pubblico in campagna (Prodigo, Cameriera brillante) e della villeggiatura analizzato le smanie (Malcontenti). Questa volta la critica sua s’esercita intorno a molte cose: giuoco; relazioni tra dame e cicisbei, tra cavalieri e forosette; parasitismo; nuove idee recate d’oltr’alpe da chi viaggiava. Punti sul vivo erano gli agiati, i patrizi; i quali, avverte il Nostro, gradivano bensì la satira a teatro, non però se fatta a loro spese:
Gode la nobiltà, più che sentir
Certe cossete al so piaser contrarie.
Per esempio, qualcossa ho inteso a dir
Della Villeggiatura, perchè in quela
Qualche soggeto s’ha sentio a ferir.
No i ha dito: l’è bruta, o la xe bela;
I ha dito: no sta ben de publicar
Certi costumi a son de campariela
(Componimenti diversi, vol. II, p. 131). Con tutto ciò il Goldoni osò e scrisse senza attenuare o tacere nulla. Così anche questo lavoro serve a sfatare «uno dei più ingiusti rimproveri mossi da alcuni critici suoi contemporanei, e ripetuto lino ai giorni nostri,... quello del non aver osato di portar su la scena i vizi e i difetti della nobiltà e di non essersi arrischiato, egli che pur con tanta verità ha ritratto il popolo e la borghesia di San Marco!, a smascherare la corrotta aristocrazia veneta» (Targioni -Tozzetti, Prefazione alle Commedie sulla Villeggiatura. Firenze, L. Rasi, 1909, p. LVII).
Al complesso e arduo compito non fu sempre pan questa volta l’arte del poeta. Sceneggiatura e dialogo (scena d’insieme magistrale subito la prima!) si lasciano un po’ addietro studio di caratteri e d’ambiente. L’episodio della dama che, fedele all’amante o cicisbeo durante una lunga assenza, cerca indarno di riconquistarlo, voleva più finezza di tocco. Bene ispirato nel metter in scena (come già nel Feudatario) gente della campagna, non mostra però il Goldoni d’averne vera esperienza. E se mai, il linguaggio artificioso che doveano parlare toglie alle villanelle verità e spontaneità. Anche al realismo «tipo volgarissimo di scroccone» (Molmenti, La villeggiatura dei veneziani al tempo del Goldoni. Ediz. Rasi cit., p. XLV) un pennello più delicato poteva conferire maggior comicità.
Rarissimi i richiami della critica a questa commedia che andò confusa con le sorelle più avvenenti (Trilogia) o ne fu completamente oscurata. Il Nocchi, giudice piuttosto arcigno, a cui piace condannare, senza benefizio d’inventano, interi gruppi di lavori goldoniani, mette la Villeggiatura tra «le commedie fiacche» (Commedie scelle di C. G., Firenze, 1875, p. XV); il Targioni -Tozzetti, con esame meno sommario, vi trova del buono assai (op. cit., p. LXXVII). Più fatale che il silenzio della critica fu alla Villeggiatura la scarsa simpatia dei comici. «La Piece - dice l’A. (Mém., P. II, cap. XXIII) - quoique en prose, eut plus de succes que je ne l’aurois imagine». Dalla Premessa risulta invece che fortuna non ebbe o poca. Altri vegga se la ragione sia da cercarne solo nelle innovazioni proposte da Don Paoluccio ai rapporti galanti tra dama e cavaliere. Quanto sia vissuta questa Villeggiatura sotto l’egida dell’autore, non si sa. Riappare l’anno 1792 a Reggio Emilia (Modena C. G., 1907, p. 348), l’autunno del 1796 al S. Cassiano di Venezia (Rasi, I comici, vol. I, p. 1063), e più tardi, nel 1821 nel repertorio della Reale Sarda (Costetti, op. cit., p. 13).
La Villeggiatura e intitolata al modenese Giovanbattista Vicini, Poeta primario della Corte, Pastor Arcade, Accademico Dissonante, Storiografo di Corregio, nato al Finale di Modena nel 1709 e colà morto nel 1782. Alle sue molte poesie dà lode il Tiraboschi avvertendo che con più cura dello stile e maggior freno alla fantasia «avrebbe potuto ottener luogo tra’ più illustri Poeti» (Biblioteca Modenese, 1781, voi. V, p. 384), giudizio che il Lombardi, probabilmente senza cercare i versi del piccolo abate, accolse nella sua Storia (Modena, 1829, vol. III, p. 309) quasi con le stesse parole. Le lodi iperboliche del Goldoni perdono, si capisce, ogni valore contenute come sono in una lettera di dedica. All’iperbole ricorse più tardi anche il Baretti, ma per dire al Vicini: «non v’è chi v’agguagli nel comporre degl’insulsi sonetti e delle canzoni ridicole» (Frusta, n. XXIV). Pare fosse più giusto il biasimo che la lode: se oggi la notorietà del Vicini, limitata agli eruditi, è frutto esclusivo delle sue relazioni col Goldoni. Fanno a queste testimonianza eloquente, nei carteggi noti finora, sei lettere del commediografo al poeta (9 e 24 dic. 1757) [Masi], 11 febbr. 1758 [Bratti, C. G. e l'ab. V., Fanf. d. dom., 27 giugno 1908], 5 luglio 1758 [Rivista di Roma, 10 febbr. 1907, p. 65], 7 febbr. 1761 [Masi], 18 apr. 1761 [Spinelli, Fogli], più un bigliettino s. d. [Urbani, p. 103], scritto, se autentico, verisimilmente a Modena).
Menando un fiero colpo alla malfida cronologia delle Memorie, A. G. Spinelli, dietro una traccia del Löhner (a p. 147 dei Mém. di sua ediz.) con inesausta attività di ricerche (Modena a C. G., pp. 309, 312, 427; La Provincia di Modena, 15-16 ap. 1908; Ateneo Veneto, nov. dic. 1909) cercò di provare come l’eroe d’una malinconica cerimonia descritta dal Nostro (Mém., P. I, cap. XVIII), fosse proprio il Vicini, ciò che il Goldoni stesso del resto chiaramente lascia indovinare. Le prove non sembrarono incontestabili al Bratti (art. cit.) che lumeggiò assai bene e con copia di notizie inedite i rapporti tra i due (cfr. anche una lettera, in appoggio al Bratti, di G. B. Gifuni nello stesso Fanfulla del 26 luglio 1908). Non essendo però le Memorie un arida cronistoria, ma la geniale rielaborazione artistica di ricordi in gran parte lontani, si può ritenere, con lo Spinelli, che il Goldoni abbia creduto di vedere ciò che seppe solo per sentita dire. La sempre ferace sua fantasia avrebbe poi ricamato intorno al minacciato castigo dell’abate il garbato aneddoto della
conversione subito felicemente combattuta dal genitore. E pur l’aneddoto può esser vero, data l’indole del Goldoni soggetta ad accessi d’ipocondria, ma errato solo il rapporto di causalità tra i due avvenimenti.
Alle notizie dell’A. chi legge s’aggiunga che venuto a Modena nell’autunno dello stesso 1754 il Chiari, l’ab. Vicini passò con molta disinvoltura nel campo nemico e collaborò (anzi dovette farsene iniziatore egli stesso) ad una raccolta in versi, fatta a gloria del commediografo bresciano (Della vera poesia teatrale, epistole poetiche modenesi dirette al signor abate Pietro Chiari colle risposte del medesimo. Modana, Soliani [1754]). Vi allude con amare parole lo stesso Goldoni in lettera del 5 aprile 1755 all’Arconati (Spinelli, Fogli ecc.). Sono del Vicini l’epistole I, XI e tre sonetti. In mezzo al consueto indigesto abuso di reminiscenze mitologiche e classiche egli trova modo d’esaltare la riforma, il Chiari, il Medebac, i suoi comici, senza nominare Carlo Goldoni! E attribuito pure al Vicini un indigesto opuscolo antigoldoniano dal titolo «Dispaccio di ser Ticucculia a chi scrisse il Congresso di Parnasso» (Spinelli, Bibliografia, p. 259). L’abate modenese rientrò poi nelle grazie del Goldoni, promovendone la nomina a membro della Ducale Accademia. La notificò al commediografo quel Renzi ch’era stato anch’egli tra i collaboratori delle Epistole. Anzi perchè si dimenticasse ancor più l’intempestivo suo zelo poetico per il Chiari, così finì il Vicini un suo Ringraziamento dopo una recita della Compagnia del S. Gio. Crisostomo di Venezia l’estate del 1758 al Rangoni di Modena.
De la Moglie amorosa noi v’invitiamo intanto
A udir domani sera l’affettuoso vanto.
Ivi saran dipinti quali pensier, quai voglie
Verso il diletto Sposo sempre aver dee la Moglie.
Opra del gran Goldoni, che richiamò dall’atro
Squallor de’ foschi tempi l’Italian teatro,
(Modena a C. G., 1907, p. 252), versi de’ quali il Goldoni lo ringraziò in lettera del 5 luglio dello stesso anno: «Ho avuto... motivo d’insuperbirmi un poco per i versi stampati per codesti comici, veggendomi così onorificamente nominato, e veggo da qual mano mi deriva l’onore». (Riv. di Roma cit.). Vi allude anche un passo della lettera di dedica.
E. M.
La Villeggiatura fu stampata la prima volta nel t. V. dell’edizione Pitteri di Venezia, l’anno 1758; e fu subito ristampata a Bologna (Corciolani, 1758), poi ancora a Venezia (Savioli IV. ’73; Zatta. cl. I. IX. ’89; Garbo IX. ’96), a Torino (Guibert e Orgeas VI,) ’75). a Livorno (Masi XVIII, ’91). a Lucca (Bonsignori XXV, ’91) e forse altrove nel Settecento. — La presente ristampa seguì con più fedeltà il testo dell’ed. Pitteri curato dall’autore. Valgono le solite avvertenze.