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Nocchi, giudice piuttosto arcigno, a cui piace condannare, senza benefizio d’inventano, interi gruppi di lavori goldoniani, mette la Villeggiatura tra «le commedie fiacche» (Commedie scelle di C. G., Firenze, 1875, p. XV); il Targioni -Tozzetti, con esame meno sommario, vi trova del buono assai (op. cit., p. LXXVII). Più fatale che il silenzio della critica fu alla Villeggiatura la scarsa simpatia dei comici. «La Piece - dice l’A. (Mém., P. II, cap. XXIII) - quoique en prose, eut plus de succes que je ne l’aurois imagine». Dalla Premessa risulta invece che fortuna non ebbe o poca. Altri vegga se la ragione sia da cercarne solo nelle innovazioni proposte da Don Paoluccio ai rapporti galanti tra dama e cavaliere. Quanto sia vissuta questa Villeggiatura sotto l’egida dell’autore, non si sa. Riappare l’anno 1792 a Reggio Emilia (Modena C. G., 1907, p. 348), l’autunno del 1796 al S. Cassiano di Venezia (Rasi, I comici, vol. I, p. 1063), e più tardi, nel 1821 nel repertorio della Reale Sarda (Costetti, op. cit., p. 13).
La Villeggiatura e intitolata al modenese Giovanbattista Vicini, Poeta primario della Corte, Pastor Arcade, Accademico Dissonante, Storiografo di Corregio, nato al Finale di Modena nel 1709 e colà morto nel 1782. Alle sue molte poesie dà lode il Tiraboschi avvertendo che con più cura dello stile e maggior freno alla fantasia «avrebbe potuto ottener luogo tra’ più illustri Poeti» (Biblioteca Modenese, 1781, voi. V, p. 384), giudizio che il Lombardi, probabilmente senza cercare i versi del piccolo abate, accolse nella sua Storia (Modena, 1829, vol. III, p. 309) quasi con le stesse parole. Le lodi iperboliche del Goldoni perdono, si capisce, ogni valore contenute come sono in una lettera di dedica. All’iperbole ricorse più tardi anche il Baretti, ma per dire al Vicini: «non v’è chi v’agguagli nel comporre degl’insulsi sonetti e delle canzoni ridicole» (Frusta, n. XXIV). Pare fosse più giusto il biasimo che la lode: se oggi la notorietà del Vicini, limitata agli eruditi, è frutto esclusivo delle sue relazioni col Goldoni. Fanno a queste testimonianza eloquente, nei carteggi noti finora, sei lettere del commediografo al poeta (9 e 24 dic. 1757) [Masi], 11 febbr. 1758 [Bratti, C. G. e l'ab. V., Fanf. d. dom., 27 giugno 1908], 5 luglio 1758 [Rivista di Roma, 10 febbr. 1907, p. 65], 7 febbr. 1761 [Masi], 18 apr. 1761 [Spinelli, Fogli], più un bigliettino s. d. [Urbani, p. 103], scritto, se autentico, verisimilmente a Modena).
Menando un fiero colpo alla malfida cronologia delle Memorie, A. G. Spinelli, dietro una traccia del Löhner (a p. 147 dei Mém. di sua ediz.) con inesausta attività di ricerche (Modena a C. G., pp. 309, 312, 427; La Provincia di Modena, 15-16 ap. 1908; Ateneo Veneto, nov. dic. 1909) cercò di provare come l’eroe d’una malinconica cerimonia descritta dal Nostro (Mém., P. I, cap. XVIII), fosse proprio il Vicini, ciò che il Goldoni stesso del resto chiaramente lascia indovinare. Le prove non sembrarono incontestabili al Bratti (art. cit.) che lumeggiò assai bene e con copia di notizie inedite i rapporti tra i due (cfr. anche una lettera, in appoggio al Bratti, di G. B. Gifuni nello stesso Fanfulla del 26 luglio 1908). Non essendo però le Memorie un arida cronistoria, ma la geniale rielaborazione artistica di ricordi in gran parte lontani, si può ritenere, con lo Spinelli, che il Goldoni abbia creduto di vedere ciò che seppe solo per sentita dire. La sempre ferace sua fantasia avrebbe poi ricamato intorno al minacciato castigo dell’abate il garbato aneddoto della con-