La storia di Colombo narrata alla gioventù ed al popolo/XIII

XIII. Le sventure del ritorno

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XII XIV


Dalla Giamaica ove si trovavano quei miseri occorreva mandare qualcuno a S. Domingo, ma altro non possedevano che una canoa, sulla quale non era tanto facile intraprendere una lunga navigazione; tuttavia l’affezionato Mendez, spregiando il pericolo, con un compagno e sei indigeni, s’avventurava all’impresa. Ma dopo alquanti giorni, egli solo tornava, essendo stato sorpreso da’ selvaggi, catturati tutti ed internati nel paese, dond’egli era riuscito a fuggire.

Ripigliava poco appresso il mare in altra canoa, avendo a compagno in una seconda canoa il genovese Bartolomeo Fieschi: e l’Ammiraglio co’ suoi da terra ne proteggevano per buon tratto della costa la navigazione accompagnando de’ voti più ardenti quei coraggiosi, augurandosi un pronto soccorso da S. Domingo.

Ma trascorsero mesi e mesi, innanzi che il soccorso venisse, tanto che per la travagliata esistenza dei rimasti, molti si ribellarono all’Ammiraglio, e guidati dai fratelli Porras, il 2 gennaio 1504, circa quaranta s’imbarcarono su alcune canoe e pigliarono il largo. Approdando a questo o a quel punto della costa, spogliavano gl’indigeni di quanto potevano, dicendo che facevano ciò d’ordine dell’Ammiraglio, che a lui si rivolgessero pel pagamento o lo togliessero di vita; quando una fiera burrasca gli obbligò a fermarsi sulla punta orientale di Giamaica, in attesa di passare alla Spagnuola.

Intanto l’Ammiraglio rimasto con pochi fedeli e alquanti malati, un po’ per le suggestioni sparse dai Porras, un po’ per odio verso gli stranieri, gl’indigeni non lo volevano piú provvedere di vettovaglie, e scarseggiando di giorno in giorno, e pretendendo ognora compensi maggiori, finirono un dì col non portargliene affatto.

Allora Cristoforo pensò di profittare dell’ignoranza e superstizione di quei selvaggi per ottenere ciò che desiderava. Sapendo che fra tre giorni doveva aver luogo un eclisse di luna, mandò a chiamare i principali cacichi de’ dintorni pel terzo dì, e quando costoro furono alla sua presenza, per mezzo dell’interprete disse loro «ch’egli ed i suoi adoravano un Dio ch’era signore del cielo e della terra, il quale com’era punitore de’ malvagi, così proteggeva i buoni e giusti suoi servi. Toccò del buon Mendez che aveva avuto cielo sereno, tranquillo e prospero vento, mentre i Porras erano dal furor degli elementi respinti addietro. Diceva che questo Dio, il quale aveva lui, l’Ammiraglio, in ispeciale protezione, apprestava agl’indiani un castigo tremendo, da che ricusavano di somministrargli le pattuite provviste. E perchè niuno negasse d’aggiustar fede ai suoi detti, apparirebbe in quella stessa notte un manifesto segno nel cielo: vedrebbero la bella faccia della luna a ciel sereno oscurata, negar loro l’usato splendore a presagire i minacciati castighi.» All’udire siffatte parole, molti furono spaventati, altri non gli prestarono fede; ma tutti attesero la notte, e quando videro la bella luna oscurarsi, tremanti corsero all’Ammiraglio con provvigioni e doni, pregandolo a lasciar rischiarare la luna, promettendo devozione e vettovaglie quante ne volesse. Allora Cristoforo finse di ritirarsi a pregare Dio di allontanare il terribile castigo a quella gente, e quindi disse loro che il Signore consentiva a perdonare conchè lo sovvenissero sempre; ed infatti poco appresso la luna tornò a illuminare la terra.

Era trascorso un anno dacchè il Mendez e il Fieschi, dopo una navigazione faticosa e piena di perìgli, eransi recati dalla Giamaica ad Haiti, quando una vela si scoprì allo sguardo dell’Ammiraglio, che confortò i suoi a sperare. Disgraziatamente il tristo Ovando governatore, che aveva trattenuto ad arte i messi di Colombo, nella speranza che quest’ultimo solo, abbandonato morisse di fame e di patimenti, non mandava altro soccorso che una botticina di vino e un quarto di maiale. Era un aiuto irrisorio; ma dimostrava almeno che i messaggi eran giunti a S. Domingo, e ciò rianimava le speranze di tutti.

I Porras saputo dell’arrivo di qualche soccorso, minacciosi s’avanzarono contro l’Ammiraglio per impadronirsi della sua persona e di ciò che potesse aver ricevuto; ma gli affrontò coraggiosamente Bartolomeo Colombo con cinquanta fedeli. I ribelli furono sbaragliati e uno dei Porras fatto prigioniero dallo stesso Bartolomeo; allora i ribelli fuggiti chiesero il perdono e ritornarono al campo dell’Ammiraglio.

Il Mendez intanto era riuscito a noleggiare una nave e, mentr’egli si recava in Ispagna, giusta gli accordi presi antecedentemente con lettere di Cristoforo pei Sovrani, la inviava alla Giamaica. Giuntavi, subito tutti vi presero imbarco; il 28 luglio 1504 salpò e ai 18 agosto gettò l’ancora nel porto di S. Domingo, dove il governatore Ovando dovette, benchè di malavoglia, usargli ogni maggiore cortesia, perchè tutti guardavano con pietoso affetto il disgraziato Navigatore, travagliato dalla gotta, da tanti patimenti fisici e morali. Tuttavia il suo odio sfogò come potè, liberando i prigionieri ribelli, sottoponendo a processo i fedeli, e pretendendo aver egli solo il diritto di governare in quei paesi.

Colombo trovò l’isola in preda al malgoverno. Gl’indigeni schiavi, distrutti, taglieggiati in modo barbaro. L’ingordigia degli spagnuoli non aveva freno nè misura. Gli stessi suoi interessi trovò in pessimo stato, tanto che dovette penare per noleggiare due navi colle quali tornare in Europa.

Finalmente il 12 settembre fece vela, ma la traversata non fu meno disgraziata di tutto il viaggio. Fu un miracolo se il 7 novembre potè pigliar terra presso S. Lucar, da dove si fece trasportare a Siviglia, afflitto dalla gotta, impedito ogni moto delle membra e coll’animo accasciato per tante dolorose traversie.