La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo XXXXIX

Capitolo XXXXIX

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Capitolo XXXXVIX.

Delle nuove convenenze ch’io feci col Re appresso la Pasqua venuta, e della Giustizia ch’io vidi fare a Cesarea.


Quando venne il tempo che noi fummo presso di Pasqua, io mi partii da Acri, e andai a vedere il Re a Cesarea ch’e’ facea rimurare ed asserragliare. E quando fui verso lui, lo trovai nella sua camera parlando col Legato ch’era sempre stato seco oltremare. E quando egli mi vide, lasciò il Legato, e venendo verso di me, mi va a dire: Sire di Gionville, egli è ben vero ch’io non vi ho ritenuto che sino a Pasqua vegnente, e ciò pertanto vi prego mi diciate quanto io vi donerò da Pasqua sino a un anno prossimo a venire. Ed io gli risposi che già non era mica venuto di verso lui per tal cosa mercatantare, e che de’ suoi danari non ne voleva io più, purch’egli mi facesse altro mercato ed altra convenzione: cioè ch’elli non si corruccerebbe di cosa ch’io gli domandassi, il che faceva sovente, ed io all’incontro gli prometteva, che di ciò ch’egli mi rifiuterebbe, alla mia volta non mi corruccerei punto. Quando egli ebbe udito la mia domanda, si cominciò a ridere, e mi disse ch’e’ mi teneva a tal convenente e patto. E mi prese allora per la mano, e mi menò davanti il Legato e ’l suo Consiglio, e [p. 199 modifica]loro recitò la convenzione di lui e di me, e ciascuno fu gioioso ch’io dimorassi.

Qui appresso udirete le giustizie e’ giudicamenti ch’io vidi fare a Cesarea, immentre che il Re vi soggiornò. La prima giustizia fu d’un Cavaliere, il quale venne preso al bordello, ed a cui si partì un giuoco: o che la ribalda, colla quale era stato trovato, menerebbelo per mezzo l’oste in camicia, una corda legata alle sue vergogne, della qual corda la ribalda terrebbe l’un de’ capi; o, s’egli non volesse tale cosa soffrire, ch’egli perderebbe suo cavallo, sue armi ed arnese, e sarebbe iscacciato e fuorbandito dell’oste del Re. Il Cavaliere elesse che amava meglio perdere il cavallo e le armadure, e se ne partì in farsetto dell’oste. Quando io vidi che ’l cavallo fu confiscato al Re, glielo richiesi per uno de’ miei Cavalieri povero gentiluomo. Ma il Re mi rispose che la mia inchiesta non era punto ragionevole per ciò che il cavallo valeva bene da ottanta a cento lire, il che non era piccola somma: ed io gli dissi: Sire, voi avete rotte le convenenze d’intra voi e me, quando vi corrucciate di ciò ch’io v’ho richiesto. E ’l Re si prese a ridere, e mi disse: Sire di Gionville, voi direte tutto quanto vorrete, ma non per ciò riuscirete a farmi salire in corruccio: e così messa la cosa in badalucco, io non ebbi punto il cavallo pel povero gentiluomo.

La seconda giustizia ch’io vidi fu d’alcuni miei Cavalieri, i quali per un tal dì andarono cacciare ad una bestia che l’uomo appella Gazella, e che è del sembiante di un cavriuolo; ed i Frieri dello [p. 200 modifica]Spedale andarono all’incontro de’ miei Cavalieri, e sì combatterono ad essi talmente che fecer loro grandi oltraggi. Per li quali oltraggi io me n’andai querelare al Maestro dello Spedale, e menai con me i Cavalieri ch’erano stati oltraggiati. E quando il Maestro ebbe udito la mia querela, mi promise di farmene la ragione secondo il dritto e l’usaggio di Terra Santa, che tale era, ch’elli farebbe mangiare i Frieri ch’avean fatto l‘oltraggio, sovra i loro mantelli, e quelli a chi l’oltraggio era stato fatto, vi si troverebbono, e leverebbono i mantelli de’ Frieri. Avvenne che il Maestro dello Spedale fece mangiare i Frieri ch’avean fatto l’oltraggio sovra i loro mantelli; ed io mi trovai là presente coi Cavalieri, e richiedemmo al Maestro ch’e’ facesse levare i Frieri di su i mantelli, ciò ch’egli pensò rifiutare; ma nella fine forza fu che così facesse, perchè noi ci assidemmo coi Frieri per mangiare con loro, ed essi nol vollero sofferire, e bisognò ch’essi si levassero di con noi per andare a mangiare cogli altri Frieri alla tavola, e ci lasciarono i lor mantelli.

L’altra giustizia fu per uno dei Sergenti del Re, che aveva in nome il Golato, il quale mise la mano sovr’uno de’ miei Cavalieri e lo scrollò rudemente. Io me n’andai querelare al Re, il quale mi disse che di ciò io me ne poteva ben diportare, visto che ’l Sergente non avea fatto ma che iscrollare il mio Cavaliere. Ed io gli risposi, che non me ne diporterei già, ma piuttosto gli lascierei suo servigio s’egli non mi faceva giustizia, poichè non apparteneva a sergente di metter mano nei [p. 201 modifica]cavalieri. Il che avendo il Re udito, mi fece tosto diritto, il quale fu tale, che, secondo l’usanza del Paese, il Sergente venne al mio albergo tutto scalzato e in camicia ed aveva una spada in suo pugno; e vennesi agginocchiare davanti il Cavaliere che avea oltraggiato, e gli tese la spada pel pomello, e gli disse: Sir Cavaliere, io vi grido mercè di ciò ch’io ho messo le mani in voi, e vi ho apportata questa spada, ch’io vi presento, affinchè voi me ne tagliate il pugno, s’egli farlo vi piace. Allora io pregai il Cavaliere che gli perdonasse suo maltalento, ed egli il fece. E più altri diversi giudicamenti vi vidi fare secondo i dritti e gli usaggi di Terra Santa.