La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo XXXXIV

Capitolo XXXXIV

../Capitolo XXXXIII ../Capitolo XXXXV IncludiIntestazione 24 aprile 2020 75% Da definire

Parte seconda - Capitolo XXXXIII Parte seconda - Capitolo XXXXV

[p. 177 modifica]

Capitolo XXXXIV.

Di tre Imbasciate che vennero al Re in Acri.


Tantosto appresso non tardò guari che lo Imperatore Federigo di Lamagna inviò un’Ambasciata di verso il Re, e per sue lettere di credenza diceva commente elli andava a scrivere al Soldano di Babilonia, di cui mostrava ignorare la morte, sì ch’elli credesse alle genti sue che inviava verso di lui, e, che ad ogni modo liberasse il Re, e’ Crociati di cattivitade. E molto bene mi sovviene come alquanti dissero che punto non avrebbon voluto che l’Ambasciata di quello Imperador Federigo li avesse trovati tuttavia prigionieri; perchè essi si dubitavano che ciò facesse quell’Imperadore per farci sostenere più strettamente e per meglio ingombrarci. Ma quando essi ci ebbero trovati diliveri ritornarono prestamente verso il loro Signore.

Parimente appresso quell’Ambasciata, venne al Re l’Ambasciata del Soldano di Damasco sino in Acri, e per quella esso Soldano si lagnava degli Almiranti di Egitto ch’aveano ucciso il Soldano di Babilonia, il quale era suo cugino; e gli prometteva che se il volea soccorrere contro di loro, che elli gli rilascierebbe il Reame di Gerusalemme ch’esso tenea. Il Re rispose alle genti del Soldano, si ritirassono ai loro alloggiamenti, ed esso di breve farebbe risposta a ciò che il Soldano gli mandava; e così se ne andarono a prendere stanza. E subito appresso ch’essi furono alloggiati, il Re trovò in suo Consiglio, ch’egli invierebbe la risposta al Soldano [p. 178 modifica]di Damasco per mezzo di un proprio messaggere, e trametterebbe con essi un Religioso, che avea nome Frate Ivo il Bretone, il quale era dell’Ordine de’ Fratelli Predicatori. E tantosto fue fatto venire Frate Ivone, e il Re inviollo verso gli Ambasciadori del Soldano a dire che ’l Re voleva ch’e’ se n’andasse con loro a Damasco per rendere la risposta ch’esso Re inviava al Soldano, e ciò perch’egli intendeva e parlava il saracinesco. E così puntualmente fece il detto Fra’ Ivo. Ma ben voglio qui raccontare una cosa che udii dire al medesimo Frate, la quale è che, andandosene dalla magione del Re allo alloggiamento degli Ambasciadori del Soldano, trovò per mezzo la ruga una femmina molto antica, la quale portava nella sua mano destra una scodella piena di fuoco, e nella mano sinistra una fiala piena d’acqua. E Frate Ivo le domandò: Femmina, che vuoi tu fare di questo fuoco e di quella acqua che tu porti? Ed ella gli rispose che del fuoco volea bruciare il paradiso, e dell’acqua voleva stufare lo inferno, affinchè giammai non ne fusse più nè dell’uno nè dell’altro. E ’l Religioso le domandò, perchè ella diceva tali parole. E colei gli rispose: Per ciò ch’io non voglio mica che nullo faccia giammai bene in questo mondo per averne il Paradiso in guiderdone, nè così che nullo si guardi di peccare per iscuriccio del fuoco infernale. Ma ben lo dee uom fare per lo intiero e perfetto amore che noi debbiamo avere al nostro creatore Sire Iddio, il quale è lo bene sovrano, e che ci ha amato tanto ch’elli s’è sottomesso a morte per nostra redenzione, e [p. 179 modifica]per detergere lo peccato del nostro archiparente Adamo, e così menarci a salvezza.

Infrattanto come lo Re soggiornò in Acri vennero di verso lui li Messaggeri del Principe de’ Beduini, che si appellava il Vecchio della Montagna. E quando il Re ebbe udito sua messa al mattino, elli volle udire ciò che li detti messaggeri avevano in loro mandato, ed essi venuti davanti il Re, furono fatti assedere per dire il messaggio; e cominciò un Almirante che là era di domandare al Re s’elli conosceva punto Messere il Principe della Montagna. E lo Re gli rispose, che no, perchè non l’aveva visto giammai, ma bene aveva udito parlare di lui. E lo Almirante disse al Re: Sire, poi che voi avete udito parlare di Monsignore, io mi meraviglio molto che voi non gli abbiate inviato tanto del vostro che voi ne aggiate fatto un vostro amico, in così che fanno lo Imperadore di Lamagna, il Re d’Ungheria, il Soldano di Babilonia, e più altri Re e Principi grandi, tutti gli anni, per ciò ch’essi conoscono bene che senza lui essi non porriano durare nè vivere, se non tanto ch’elli piacerebbe a Monsignore; e per ciò ci ha inviati elli di verso voi, per dire ed avvertirvi che ne vogliate fare così, o per lo meno che lo facciate tener quieto del tributo ch’elli deve ciascun anno al Gran Maestro del Tempio, ed allo Spedale, e ciò facendo egli si terrà a pagato da voi. Ben dice Monsignore che s’elli facesse uccidere il Maestro del Tempio o dello Spedale, che tantosto e’ ce n’arebbe un altro altresì buono, e per ciò non [p. 180 modifica]vuole elli mica mettere sue genti in avventura di periglio, ed in luogo dove non vi saprebbe niente guadagnare. Il Re loro rispose ch’e’ si consiglierebbe, e ch’essi rivenissero sulla sera di verso lui, ed allora ne renderebbe risposta.

Quando si venne al vespro, e ch’elli furono rivenuti davanti il Re, essi trovarono con lui il Maestro del Tempio da una parte, e il Maestro dello Spedale dall’altra. Allora il Re disse loro che di ricapo dicessero il loro caso e il dimando che avean fatto al mattino. Ed essi rispuosono ch’e’ non erano punto consigliati di dirli ancora una fiata, fuorchè davanti quelli stessi ch’erano presenti al mattino. E allora li Maestri del Tempio e dello Spedale loro comandarono fieramente ch’essi li dicessero ancora una fiata. E lo Almirante obbedì ripetendo ciò ch’avea detto al mattino davanti ’l Re tutto così com’è contenuto di sopra. Appresso la qual cosa li Maestri disser loro in saracinesco che venissero al mattino a parlare con essi, e che n’avrebbono tutt’insieme la risposta del Re. Perchè al mattino quando furono davanti li gran Maestri suddetti, questi loro dissero, che molto follemente e troppo arditamente il loro Sire avea mandato al Re di Francia tali cose e tanto dure parole, e che se non era per l’onore del Re, e per ciò ch’elli erano venuti davanti a lui come messaggeri, li farebbono essi tutti annegare e gittar nel cupo del mare d’Acri in dispetto del loro Signore. Perchè vi comandiamo, soggiunsero li Gran Maestri, che voi ve ne ritorniate verso il vostro Signore, e che [p. 181 modifica]dentro quindici giorni apportiate al Re lettere del vostro Principe, per le quali esso Re sia contento di lui e di voi. E veramente entro la prescritta quindicina li messaggeri di quel Principe della Montagna rivennero di verso il Re e gli dissero: Sire, noi siamo rivenuti a voi da parte del nostro Sire, il quale vi manda che tutto siccome la camicia è lo abbigliamento il più presso del nostro corpo, così similmente vi invia egli la sua camicia che qui vedete, donde elli vi fa un presente, in significanza che voi siete quel Re, cui egli ama a più avere in amore, e ad intertenere. E per più grande assicuranza di ciò, vedete qui il suo annello eh’elli v’invia, che è di fino oro, e nel quale è inscritto il suo nome: e di questo annello vi disposa il nostro Sire, e intende che da oggi mai siate con lui tutto a uno come le dita della mano. E intra l’altre cose inviò quel Vecchio della Montagna al Re uno elefante di cristallo, e figure d’uomini di diverse fazioni in cristallo, e tavole e scacchi altresì, il tutto fatto a rifioriture d’ambra rilegate sul cristallo a belle roselline e giràli di oro puro. E sappiate che sì tosto che i messaggeri ebbero aperto l’astuccio ove erano gli donativi, tutta la camera fu incontanente imbalsamata del grande e soave olore che sentivano quelle cose.