La scienza nuova seconda/Libro secondo/Sezione undecima/Capitolo terzo

Sezione undecima - Capitolo terzo - Della nominazione e descrizione delle città eroiche

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Sezione undecima - Capitolo terzo - Della nominazione e descrizione delle città eroiche
Sezione undecima - Capitolo secondo Libro secondo - Conclusione

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[CAPITOLO TERZO]

della nominazione e descrizione delle cittá eroiche

774Ora, perché sono parti della geografia la nomenclatura e la corografia, o sieno nominazione e descrizione de’ luoghi principalmente delle cittá, per compimento della sapienza poetica ci rimane di queste da ragionare.

775Se n’è detto sopra che le cittá eroiche si ritruovarono dalla provvedenza fondate in luoghi di forti siti, che gli antichi latini con vocabolo sagro, ne’ loro tempi divini, dovettero chiamare «aras» e appellar anco «arces» tai luoghi forti di sito, perché ne’ tempi barbari ritornati da «rocce», rupi erte e scoscese, si dissero poi le «ròcche», e quindi «castella» le signorie. E, alla stessa fatta, tal nome di «are» si dovette stendere a tutto il distretto di ciascun’eroica cittá, il quale, come sopra si è osservato, si disse «ager» in ragionamento di «confini con istranieri» e «territorium» in ragionamento di «giurisdizione sui cittadini». Di tutto ciò vi ha un luogo d’oro appo Tacito ove descrive l’ara massima d’Ercole in Roma, il quale, perché troppo gravemente appruova questi principi, rapportiamo qui intiero: «Igitur a foro boario, ubi aeneum bovis simulacrum adspicimus, quia id genus animalium aratro subditur, sulcus designandi oppidi captus, ut magnam Herculis aram complecteretur, ara Herculis erat»; — un altro pur d’oro appresso Sallustio ove narra la famosa ara de’ fratelli Fileni rimasta per confine dell’imperio cartaginese e del cirenaico.

776Di si fatte are è sparsa tutta l’antica geografia. E, incominciando dall’Asia, osserva il Cellari nella sua Antica geografia che tutte le cittá della Siria si dissero «are» con innanzi o dopo i loro propi vocaboli, ond’essa Siria se ne disse Aramea ed Aramia. Ma nella Grecia fondò Teseo la cittá d’Atene sul [p. 378 modifica] famoso altare degl’infelici, estimando con la giusta idea d’«infelici» gli uomini eslegi ed empi, che dalle risse della infame comunione ricorrevano alle terre forti de’ forti, come sopra abbiam detto, tutti soli, deboli e bisognosi di tutti i beni ch’aveva a’ pii produtto l’umanitá; onde da’ greci si disse ἄρα anco il «voto». Perché, come pur sopra abbiam ragionato, sopra tali prime are del gentilesimo le prime ostie, le prime vittime (dette «Saturni hostiae», come sopra vedemmo), i primi ἀναθήματα (ch’in latino si trasportano «diris devoti »), che furono gli empi violenti, ch’osavano entrare nelle terre arate de’ forti per inseguire i deboli, che per campare da essi vi rifuggivano (ond’è forse detto «campare» per «salvarsi»), quivi essi da Vesta vi erano consagrati ed uccisi; e ne restò a’ latini «supplicium» per significare «pena» e «sagrifizio », ch’usa fra gli altri Sallustio. Nelle quali significazioni troppo acconciamente a’ latini rispondono i greci, a’ quali la voce ἄρα, che, come si è detto, vuol dire «votum», significa altresí «noxa», ch’è ’l corpo c’ha fatto il danno, e significa «dirae», che son esse Furie, quali appunto erano questi primi devoti che qui abbiam detto (e piú ne diremo nel libro quarto), ch’erano consagrati alle Furie e dappoi sagrificati sopra questi primi altari della gentilitá. Talché la voce «hara», che ci restò a significare la «mandria», dovette agli antichi latini significare la «vittima»: dalla qual voce certamente è detto «aruspex» l’indovinatore, dall’interiora delle vittime uccise innanzi agli altari.

777E da ciò che testé si è detto dell’ara massima d’Ercole, dovette Romolo sopra un’ara somigliante a quella di Teseo fondar Roma dentro l’asilo aperto nel luco, perché restò a’ latini che nommai mentovassero luco o bosco sagro, ch’ivi non fusse alcun’ara alzata a qualche divinitá. Talché per quello [che] Livio ci disse sopra generalmente, che gli asili furono «vetus urbes condentium consilium», ci si scuopre la ragione perché nell’antica geografia si leggono tante cittá col nome di «are». Laonde bisogna confessare che da Cicerone con iscienza di quest’antichitá il senato fu detto «ara sociorum», perocché al senato portavano le provincie le querele di sindacato contro i [p. 379 modifica] governadori ch’avaramente l’avevano governate, richiamandone l’origine da questi primi soci del mondo.

778Giá dunque abbiamo dimostro dirsi «are» le cittá eroiche nell’Asia e, per l’Europa, in Grecia e in Italia. Nell’Affrica restò, appo Sallustio, famosa l’ara de’ fratelli Fileni poc’anzi detta. Nel Settentrione, ritornando in Europa, tuttavia si dicono «are de’ cicoli», nella Transilvania, le cittá abitate da un’antichissima nazione unna, tutta di nobili contadini e pastori, che con gli ungheri e sassoni compongono quella provincia. Nella Germania, appo Tacito, si legge l’«ara degli ubi». In Ispagna ancor dura a molte il nome di «ara». Ma in lingua siriaca la voce «ari» vuol dir «bone»; e noi sopra, nella teogonia naturale delle dodici maggiori divinitá, dimostrammo che dalla difesa dell’are nacque a’ greci l’idea di Marte, che loro si dice Ἄρης; talché, per la stessa idea di fortezza, ne’ tempi barbari ritornati tante cittá e case nobili caricano di lioni le lor insegne. Cotal voce, di suono e significato uniforme in tante nazioni, per immensi tratti di luoghi e tempi e costumi tra lor divise e lontane, dovette dar a’ latini la voce «aratrum», la cui curvatura si disse «urbs». E quindi a’ medesimi dovettero venire e «arx» e «arceo», dond’è «ager arcifinius» agli scrittori de limitibus agrorum; e dovettero venir altresi le voci «arma» e «arcus», riponendo, con giusta idea, la fortezza in arretrare e tener lontana l’ingiuria.