La scienza nuova seconda/Libro secondo/Sezione settima/Capitolo primo

Sezione settima - Capitolo primo - Della fisica poetica

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[CAPITOLO PRIMO]

della fisica poetica

687Passando ora all’altro ramo del tronco metafisico poetico, per lo quale la sapienza poetica si dirama nella fisica e quindi nella cosmografia e, per questa, nell’astronomia, di cui son frutte la cronologia e la geografia, diamo, a quest’altra parte che resta di ragionamento, principio dalla fisica.

688I poeti teologi considerarono la fisica del mondo delle nazioni; e perciò primieramente diffinirono il Cao essere confusione de’ semi umani, nello stato dell’infame comunione delle donne. Dal quale poi i fisici furono desti a pensare alla confusione de’ semi universali della natura, e, a spiegarla, n’ebbero da’ poeti giá ritruovato e quindi acconcio il vocabolo. Egli era confuso, perché non vi era niun ordine d’umanitá; era oscuro, perché privo della luce civile (onde «incliti» furon detti gli eroi). L’immaginarono ancora [come] l’Orco, un mostro informe che divorassesi tutto, perché gli uomini nell’infame comunione non avevano propie forme d’uomini, ed eran assorti dal nulla, perché per l’incertezza delle proli non lasciavano di sé nulla: questo poi da’ fisici fu preso per la prima materia delle naturali cose, che, informe, è ingorda di forme e si divora tutte le forme. Ma i poeti gli diedero anco la forma mostruosa di Pane, dio selvaggio ch’è nume di tutti i satiri, [p. 332 modifica] che non abitano le cittá ma le selve; carattere al quale riducevano gli empi vagabondi per la gran selva della terra, ch’avevano aspetto d’uomini e costumi di bestie nefande: che poi, con allegorie sforzate ch’osserveremo piú appresso, i filosofi, ingannati dalla voce πᾱν, che significa «tutto», rappresero per l’universo formato. Han creduto ancor i dotti ch’i poeti avesser inteso la prima materia con la favola di Proteo, con cui, immerso nell’acque, Ulisse da fuori l’acque lutta in Egitto, né può afferrarlo, perché sempre in nuove forme si cangia. Ma tal loro sublimitá di dottrina fu una gran goffaggine e semplicitá de’ primi uomini, i quali (come i fanciulli, quando si guardano negli specchi, vogliono afferrare le lor immagini) dalle varie modificazioni de’ lor atti e sembianti credevano esser un uom nell’acqua, che cangiassesi in varie forme.

689Finalmente fulminò il cielo, e Giove diede principio al mondo degli uomini dal poner questi in conato, ch’è propio della libertá della mente, siccome dal moto, il qual è propio de’ corpi, che son agenti necessari, cominciò il mondo della natura; perocché que’, che ne’ corpi sembran esser conati, sono moti insensibili, come si è detto sopra nel Metodo. Da tal conato uscí la luce civile, di cui è carattere Apollo, alla cui luce si distinse la civile bellezza onde furono belli gli eroi; della quale fu carattere Venere, che poi fu presa da’ fisici per la bellezza della natura, anzi per tutta la natura formata, la qual è bella e adorna di tutte le sensibili forme.

690Uscí il mondo de’ poeti teologi da quattro elementi sagri: dall’aria, dove fulmina Giove, dall’acqua delle fonti perenni, di cui è nume Diana; dal fuoco, onde Vulcano accese le selve; e dalla terra colta, ch’è Cibele o Berecintia. Che tutti e quattro sono gli elementi delle divine cerimonie: cioè auspici, acqua, fuoco e farro, che guarda Vesta: che, come si è detto sopra, è la stessa che Cibele o Berecintia, la quale delle terre colte afforzate di siepi, con le ville poste in alto in figura di torri (onde a’ latini è «extorris», quasi «exterris»), ella va coronata; con la qual corona si chiude quello che ci restò detto «orbis terrarum», ch’è propiamente il mondo degli uomini. [p. 333 modifica] Quindi poi i fisici ebbero il motivo di meditare ne’ quattro elementi, de’ quali è composto il mondo della natura.

691Gli stessi poeti teologi e agli elementi e alle indi uscite innumerabili speziali nature diedero forme viventi e sensibili, ed alla maggior parte umane, e ne finsero tante e sí varie divinitá, come abbiamo ragionato sopra nella Metafisica; onde riuscí acconcio a Platone d’intrudervi il placito delle sue «menti» o «intelligenze»: che Giove fusse la mente dell’etere, Vulcano del fuoco, e altri somiglianti. Ma i poeti teologi tanto intesero tal’intelligenti sostanze, che fin ad Omero non s’intendeva essa mente umana, in quanto, per forza di riflessione, resiste al senso; di che vi sono due luoghi d’oro nell’Odissea, dove vien detta o «forza sagra» o «vigor occulto», che son lo stesso.