La scienza nuova seconda/Libro secondo/Sezione quinta/Capitolo ottavo

Sezione quinta - Capitolo ottavo - Corollario d'intorno all'eroismo de' primi popoli

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Sezione quinta - Capitolo ottavo - Corollario d'intorno all'eroismo de' primi popoli
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[CAPITOLO OTTAVO]

corollario
d’intorno all’eroismo de’ primi popoli

666Ma l’etá eroica del primo mondo di cui trattiamo ci tragge con dura necessitá a ragionare dell’eroismo de’ primi popoli. Il quale, per le degnitá che se ne sono sopra proposte e qui hanno il lor uso, e per gli principi qui stabiliti della politica eroica, fu di gran lunga diverso da quello che, ’n conseguenza della sapienza innarrivabile degli antichi, è stato finor immaginato da’ filosofi, ingannati da’ filologi, in quelle tre voci non diffinite le quali sopra abbiam avvertito: «popolo», «re» e «libertá»; avendo preso i popoli eroici — ne’ quali fussero anco entrati i plebei, preso gli re — monarchi, e preso la libertá — popolare; ed al contrario, applicandovi tre lor idee di menti ingentilite ed addottrinate — una di giustizia ragionata con massime di morale socratica, l’altra di gloria (ch’è fama di benefizi fatti inverso il gener umano) e la terza di disiderio d’immortalitá: — laonde su questi tre errori e con queste tre idee han creduto che re o altri grandi personaggi de’ tempi antichi avessero consagrato e sé e le loro famiglie, nonché gl’intieri patrimoni e sostanze, per far felici i miseri, che sono sempre gli piú nelle cittá e nelle nazioni.

667Però di Achille, ch’è ’l massimo de’ greci eroi, Omero ci narra tre propietá dello ’n tutto contrarie a cotali tre idee de’ filosofi. E, d’intorno alla giustizia, egli ad Ettorre, che con esso vuol patteggiare la seppoltura se nell’abbattimento l’uccida, nulla riflettendo all’egualitá del grado, nulla alla sorte comune (le quali due considerazioni naturalmente inducono gli uomini a riconoscer giustizia), feroce risponde: — Quando mai gli uomini patteggiarono co’ boni, o i lupi e l’agnelle ebbero uniformitá di voleri? — Anzi: — Se t’avrò ucciso, ti strascinerò [p. 322 modifica] nudo, legato al mio cocchio, per tre giorni d’intorno alle mura di Troia — siccome fece, — e finalmente ti darò a mangiare a’ miei cani da caccia; — lo che arebbe pur fatto, se l’infelice padre Priamo non fusse venuto da essolui a riscattarne il cadavere. D’intorno alla gloria, egli per un privato dolore (perocché Agamennone gli aveva tolto a torto la sua Briseide) se ne richiama offeso con gli uomini e con gli dèi; e fanne querela a Giove d’essere riposto in onore, ritira dall’esercito alleato le sue genti e dalla comune armata le propie navi, e soffre ch’Ettorre faccia scempio della Grecia, e, contro il dettame della pietá che si deve alla patria, si ostina di vendicare una privata sua offesa con la rovina di tutta la sua nazione; anzi non si vergogna di rallegrarsi con Patroclo delle straggi ch’Ettorre fa de’ suoi greci, e col medesimo (ch’è molto piu), colui che portava ne’ suoi talloni i fati di Troia, fa quello indegnissimo voto: che ’n quella guerra morissero tutti, e troiani e greci, ed essi due soli ne rimanessero vivi. D’intorno alla terza, egli nell’inferno, domandato da Ulisse come vi stava volentieri, risponde che vorrebbe piú tosto, vivo, essere un vilissimo schiavo. Ecco l’eroe che Omero con l’aggiunto perpetuo d’«irreprensibile» canta a’ greci popoli in esemplo dell’eroica virtú! Il qual aggiunto, acciocché Omero faccia profitto con l’insegnar dilettando (lo che debbon far i poeti), non si può altrimente intendere che per un uomo orgoglioso, il qual or direbbesi che non si faccia passare la mosca per innanzi alla punta del naso; e si predica la virtú puntigliosa, nella quale a’ tempi barbari ritornati tutta la loro morale riponevano i duellisti, dalla quale uscirono le leggi superbe, gli ufizi altieri e le soddisfazioni vendicative de’ cavalieri erranti che cantano i romanzieri.

668Allo ’ncontro si rifletta al giuramento, che dice Aristotile, che giuravano gli eroi d’esser eterni nimici alla plebe. Si rifletta quindi sulla storia romana nel tempo della romana virtú, che Livio determina ne’ tempi della guerra con Pirro, a cui acclama con quel motto: «nulla aetas virtutum feracior», e noi (con Sallustio, appo sant’Agostino, De civitate Dei) [p. 323 modifica] stendiamo dalla cacciata degli re fin alla seconda guerra cartaginese. Bruto che consagra con due suoi figliuoli la sua casa alla libertá; Scevola che, col punire del fuoco la sua destra, la quale non seppe ucciderlo, atterrisce e fuga Porsena, re de’ toscani; Manlio detto «l’imperioso» che, per un felice peccato di militar disciplina, istigatogli da stimoli di valor e di gloria, fa mozzare la testa al suo figliuolo vittorioso; i Curzi che si gittano armati a cavallo nella fossa fatale; i Deci, padre e figliuolo, che si consagrano per la salvezza de’ lor eserciti; i Fabrizi, i Curi, che rifiutano le some d’oro da’ sanniti, le parti offerte de’ regni da Pirro; gli Attili Regoli che vanno a certa crudelissima morte in Cartagine per serbare la santitá romana de’ giuramenti: che pro fecero alla misera ed infelice plebe romana? che per piú angariarla nelle guerre, per piú profondamente sommergerla in mar d’usure, per piú a fondo seppellirla nelle private prigioni de’ nobili, ove gli battevano con le bacchette a spalle nude a guisa di vilissimi schiavi? E chi voleva di un poco sollevarla con una qualche legge frumentaria o agraria, da quest’ordine di eroi, nel tempo di essa romana virtú, egli era accusato e morto come rubello: qual avvenne, per tacer d’altri, a Manlio Capitolino, che aveva serbato il Campidoglio dall’incendio degl’immanissimi Galli senoni; qual in Isparta (la cittá degli eroi di Grecia, come Roma lo fu degli eroi del mondo) il magnanimo re Agide, perché aveva attentato di sgravare la povera plebe di Lacedemone, oppressa dall’usure de’ nobili, con una legge di conto nuovo, e di sollevarla con un’altra testamentaria, come altra volta si è detto, funne fatto strozzare dagli efori: onde, come il valoroso Agide fu il Manlio Capitolino di Sparta, cosí Manlio Capitolino fu l’Agide di Roma, che, per lo solo sospetto di sovvenir alquanto alla povera oppressa plebe romana, fu fatto precipitare giú dal monte Tarpeo. Talché per quest’istesso ch’i nobili de’ primi popoli si tenevano per eroi, ovvero di superior natura a quella de’ lor plebei, come appieno sopra si è dimostrato, facevano tanto malgoverno della povera moltitudine delle nazioni. Perché certamente la storia romana sbalordisce [p. 324 modifica] qualunque scortissimo leggitore, che la combini sopra questi raoporti: che romana virtú dove fu tanta superbia? che moderazione dove tanta avarizia? che mansuetudine dove tanta fierezza? che giustizia dove tanta inegualitá?

669Laonde i principi, i quali possono soddisfare una sí gran maraviglia, debbono necessariamente esser questi:

I

670Sia, in séguito di quella ferina che sopra si ragionò de’ giganti, l’educazion de’ fanciulli severa, aspra, crudele, quale fu quella degl’illiterati lacedemoni, che furono gli eroi della Grecia. I quali nel tempio di Diana battevano i loro figliuoli fin all’anima, talché cadevano sovente morti, convulsi dal dolore, sotto le bacchette de’ padri, acciocché s’avvezzassero a non temere dolori e morte; e ne restarono tal’imperi paterni ciclopici cosí a’ greci come a’ romani, co’ quali permettevano uccidersi gl’innocenti bambini di fresco nati. Perché le delizie, ch’or facciamo de’ nostri figliuoli fanciulli, fanno oggi tutta la dilicatezza delle nostre nature.

II

671Si comperino con le doti eroiche le mogli, le quali restarono poscia per solennitá a’ sacerdoti romani, i quali contraevano le nozze coëmptione et farre (che fu anche, al narrar di Tacito, costume degli antichi Germani, i quali ci danno luogo di stimare lo stesso di tutti i primi popoli barbari); e le mogli si tengano, come per una necessitá di natura, in uso di far figliuoli: del rimanente, si trattino come schiave, conforme in molte parti del nostro e quasi universalmente nel mondo nuovo è costume di nazioni. Quando le doti sono compere che fan le donne della libertá da’ mariti e pubbliche confessioni ch’i mariti non bastano a sostenere i pesi del matrimonio, onde son forse i tanti privilegi co’ quali gl’imperadori han favorito le doti. [p. 325 modifica]

III

672I figliuoli acquistino, le mogli risparmino per gli loro mariti e padri. Non, come si fa oggi, tutto a rovescio.

IV

673I giuochi e i piaceri sien faticosí, come lutta, corso (onde Omero dá ad Achille l’aggiunto perpetuo di «piè veloce»); sieno ancor con pericolo, come giostre, cacce di fiere, onde s’avvezzino a fermare le forze e l’animo e a strappazzare e disprezzare la vita.

V

674Non s’intendano affatto lussi, lautezze ed agi.

VI

675Le guerre, come l’eroiche antiche, sieno tutte di religione, la quale, per la ragione ch’abbiamo preso per primo principio di questa scienza, le rende tutte atrocissime.

VII

676Si celebrino le schiavitú pur eroiche, che van di séguito a tali guerre, nelle quali i vinti si tengano per uomini senza Dio, onde con la civile si perda ancora la natural libertá. E qui abbia uso quella degnitá sopra posta: che «la libertá naturale ella è piú feroce ov’i beni sono piú a’ nostri corpi attaccati, e la civil servitú s’inceppa co’ beni di fortuna non necessari alla vita». [p. 326 modifica]

[VIII]

677Per tutto ciò sieno, le repubbliche, aristocratiche per natura o sia di naturalmente fortissimi, che schiudano a’ pochi padri nobili tutti gli onori civili; e ’l ben pubblico sieno monarchie famigliari conservate lor dalla patria; che sarebbe la vera patria, com’abbiamo piú volte detto, interesse di pochi padri, per lo quale sieno i cittadini naturalmente patrizi. E con tali nature, tali costumi, tali repubbliche, tali ordini e tali leggi si celebrerá l’eroismo de’ primi popoli. Il quale, per le cagioni a queste che si sono noverate tutte contrarie (che dappoi produssero l’altre due spezie degli Stati civili, che sopra pruovammo esser entrambi umani, cioè le repubbliche libere popolari e, piú che queste, le monarchie), egli è ora per civil natura impossibile. Perché per tutto il tempo della romana libertá popolare fa romor d’eroe il solo Catone uticese, e lasciò tal romore per uno spirito di repubblica aristocratica: che, caduto Pompeo e rimasto esso capoparte della nobiltá, per non poter sofferire di vederla umiliata a Cesare, si ammazzò. Nelle monarchie gli eroi son coloro che si consagrano per la gloria e grandezza de’ lor sovrani. Ond’ha a conchiudersi ch’un tal eroe i popoli afflitti il disiderano, i filosofi il ragionano, i poeti l’immaginano; ma la natura civile, come n’abbiamo una degnitá, non porta tal sorta di benefizi.

678Tutte le quali cose qui ragionate dell’eroismo de’ primi popoli ricevono lustro e splendore dalle degnitá sopra poste d’intorno all’eroismo romano, le quali si truoveranno comuni all’eroismo degli antichi ateniesi nel tempo che, come narra Tucidide, furono governati da’ severissimi areopagiti (che, come abbiam veduto, fu un senato aristocratico), ed all’eroismo degli spartani, che furono repubblica di Eraclidi o di signori, come a mille pruove sopra si è dimostrato.