La scienza nuova seconda/Libro secondo/Sezione sesta
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[SEZIONE SESTA]
[CAPITOLO UNICO]
repilogamenti della storia poetica
I
679Tutta quest’istoria divina ed eroica de’ poeti teologi con troppo d’infelicitá ci fu nella favola di Cadmo descritta. Egli uccide la gran serpe (sbosca la gran selva antica della terra). Ne semina i denti (con bella metafora, come sopra si è detto, con curvi legni duri — ch’innanzi di ritruovarsi l’uso del ferro dovettero servire per denti de’ primi aratri, che «denti» ne restarono detti — egli ara i primi campi del mondo). Gitta una gran pietra (ch’è la terra dura, che volevano per sé arare i clienti ovvero famoli, come si è sopra spiegato). Nascono da’ solchi uomini armati (per la contesa eroica della prima agraria ch’abbiamo detto, gli eroi escono da’ loro fondi, per dire ch’essi sono signori de’ fondi, e si uniscono armati contro le plebi, e combattono, non giá tra di loro, ma co’ clienti ammutinati contro essoloro; e coi solchi sono significati essi ordini, ne’ quali s’uniscono e co’ quali formano e fermano le prime cittá sulla pianta deH’armi, come tutto si è detto sopra). E Cadmo si cangia in serpe (e ne nasce l’autoritá de’ senati aristocratici, che gli antichissimi latini arebbono detto: «Cadmus fundus factus est», e i greci dissero Cadmo cangiato in Dragone, che scrive le leggi col sangue). Lo che tutto è quello che noi sopra promettemmo di far vedere: — che la favola di Cadmo conteneva piú secoli di storia poetica, — ed è un grand’esempio dell’infanzia, onde la fanciullezza del mondo travagliava a spiegarsi; che, degli sette ch’appresso novereremo, è un gran fonte della difficultá delle favole. Tanto felicemente seppe Cadmo lasciare scritta cotal istoria con le sue lettere volgari, ch’esso aveva a’ greci dalla Fenicia portato! E Desiderio Erasmo, con mille inezie, indegne dell’uomo eruditissimo che fu detto il «Varron cristiano», vuol che contenga la storia delle lettere ritruovate da Cadmo. Cosí la chiarissima istoria d’un tanto benefizio d’aver ritruovato le lettere alle nazioni, che per se stessa doveva esser romorosissima, Cadmo nasconde al gener umano di Grecia dentro l’inviluppo di cotal favola, ch’è stata oscura fin a’ tempi di Erasmo, per tener arcano al volgo uno sí grande ritruovato di volgare sapienza, ché da esso «volgo» tali lettere furon dette «volgari».
II
680Ma con maravigliosa brevitá ed acconcezza narra Omero questa medesima istoria, tutta ristretta nel geroglifico dello scettro lasciato ad Agamennone. quale Vulcano fabbricò a Giove (perché Giove, co’ primi fulmini dopo il diluvio, fondossi il regno sopra gli dèi e gli uomini, che furon i regni divini, nello stato delle famiglie); — poi Giove il diede a Mercurio (che fu il caduceo, con cui Mercurio portò la prima legge agraria alle plebi, onde nacquero i regni eroici delle prime cittá); — poi Mercurio il diede a Pelope, Pelope a Tieste, Tieste ad Atreo, Atreo ad Agamennone (ch’è tutta la successione della casa reale d’Argo).
III
681Però piú piena e spiegata è la storia del mondo, che ’l medesimo Omero ci narra essere stata descritta nello scudo d’Achille.
682I. Nel principio vi si vedeva il cielo, la terra, il mare, il sole, la luna, le stelle: — questa è l’epoca della criazione del mondo.
683II. Dipoi due cittá. In una erano canti, imenei e nozze: questa è l’epoca delle famiglie eroiche de’ figliuoli nati dalle nozze solenni. Nell’altra non si vedeva niuna di queste cose: questa è l’epoca delle famiglie eroiche de’ famoli, i quali non contraevano che matrimoni naturali, senza niuna solennitá di quelle con le quali si contraevano le nozze eroiche. Sicché entrambe queste cittá rappresentavano lo stato di natura, o sia quello delle famiglie; ed eran appunto le due cittá, ch’Eumeo, castaldo d’Ulisse, racconta ch’erano nella sua padria, entrambe rette da suo padre, nelle qual’i cittadini avevano distintamente tutte le loro cose divise (cioè che non avevano niuna parte di cittadinanza tra essoloro comune). Onde la cittá senza imenei è appunto l’«altro popolo» che Telemaco in adunanza chiama la plebe d’Itaca; ed Achille, lamentandosi dell’oltraggio fattogli da Agamennone, dice che l’aveva trattato da un giornaliere, che non aveva niuna parte al governo.
684III. Appresso, in questa medesima cittá delle nozze, si vedevano parlamenti, leggi, giudizi, pene. Appunto come i patrizi romani nelle contese eroiche replicavano alla plebe che e le nozze e gl’imperi e i sacerdozi, de’ quali ultimi era dipendenza la scienza delle leggi, e, con queste, i giudizi, erano tutte ragioni loro propie, perch’erano loro propi gli auspici, che facevano la maggior solennitá delle nozze: onde «viri» (che tanto appo i latini suonava quanto «eroi» appo i greci) se ne dissero i mariti solenni, i maestrati, i sacerdoti e per ultimo i giudici, come altra volta sopra si è detto. Sicché questa è l’epoca delle cittá eroiche, che sopra le famiglie de’ famoli sursero di stato severissimo aristocratico.
685IV. L’altra cittá è assediata con armi, e, a vicenda con la prima, menano prede l’una dall’altra; e quivi la cittá senza nozze (ch’erano le plebi delle cittá eroiche) diventa un’altra intiera cittá nimica. Il qual luogo a maraviglia conferma ciò che sopra abbiam ragionato: che i primi stranieri, i primi «hostes» furono le plebi de’ popoli eroici, contro le quali, come n’abbiamo piú volte udito Aristotile, gli eroi giuravano d’esser eterni nimici; onde poi’ intiere cittá, perché tra loro straniere, co’ ladronecci eroici, esercitavano eterne ostilitá tra di loro, come sopra si è ragionato.
686V. E finalmente vi si vedeva descritta la storia dell’arti dell’umanitá, dandole incominciamento dall’epoca delle famiglie; perché, prima di ogni altra cosa, vi si vedeva il padre re, che, con lo scettro comanda il bue arrosto dividersi a’ mietitori; dappoi vi si vedevano piantate vigne; appresso, armenti, pastori e tuguri; e in fine di tutto v’erano descritte le danze. La qual immagine, con troppo bello e vero ordine di cose umane, sponeva ritruovate prima l’arti del necessario: la villereccia, e prima del pane, dipoi del vino; appresso, quelle dell’utile: la pastoreccia; quindi quelle del comodo: l’architettura urbana; finalmente quelle del piacere: le danze.