La scienza nuova seconda/Libro quarto/Sezione ottava
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[SEZIONE OTTAVA]
TRE SPEZIE D’AUTORITÀ
942Furono tre spezie d’autoritá. Delle quali la prima è divina, per la quale dalla provvedenza non si domanda ragione; la seconda eroica, riposta tutta nelle solenni formole delle leggi; la terza umana, riposta nel credito di persone sperimentate, di singoiar prudenza nell’agibili e di sublime sapienza nell’intelligibili cose.
943Le quali tre spezie d’autoritá, ch’usa la giurisprudenza dentro il corso che fanno le nazioni, vanno di séguito a tre sorte d’autoritá de’ senati, che si cangiano dentro il medesimo loro corso.
944Delle quali la prima fu autoritá di dominio, dalla quale restarono detti «autores» coloro da’ quali abbiamo cagion di dominio, ed esso dominio nella legge delle XII Tavole sempre «autoritas» vien appellato. La qual autoritá mise capo ne’ governi divini fin dallo stato delle famiglie, nel quale la divina autoritá dovett’essere degli dèi, perch’era creduto, con giusto senso, tutto essere degli dèi. Convenevolmente, appresso, nelle aristocrazie eroiche, dove i senati composero (com’ancor in quelle de’ nostri tempi compongono) la signoria, tal autoritá fu di essi senati regnanti. Onde i senati eroici davano la lor approvagione a ciò ch’avevano innanzi trattato i popoli, che Livio dice «eius, quod populus iussisset, deinde patres fierent autores»: però, non dall’interregno di Romolo, come narra la storia, ma da’ tempi piú bassi dell’aristocrazia, ne’ quali era stata comunicata la cittadinanza alla plebe, come sopra si è ragionato. Il qual ordinamento, come lo stesso Livio dice, «saepe spectabat ad vim», sovente minacciava rivolte; tanto che, se ’l popolo ne voleva venir a capo, doveva, per esemplo, nominar i consoli ne’ qual’inchinasse il senato: appunto come sono le nominazioni de’ maestrati che si fanno da’ popoli sotto le monarchie.
945Dalla legge di Pubblio Filone in poi, con la quale fu dichiarato il popolo romano libero ed assoluto signor dell’imperio, come sopra si è detto, l’autoritá del senato fu di tutela; conforme l’approvagione de’ tutori a’ negozi che si trattano da’ pupilli, che sono signori de’ loro patrimoni, si dice «autoritas tutorum». La qual autoritá si prestava dal senato al popolo in essa formola della legge, conceputa innanzi in senato, nella quale, conforme dee prestarsi l’autoritá da’ tutori a’ pupilli, il senato fusse presente al popolo, presente nelle grandi adunanze, nell’atto presente di comandar essa legge, s’egli volessela comandare; altrimente, l’antiquasse e «probaret antiqua», ch’è tanto dire quanto ch’egli dichiarasse che non voleva novitá. E tutto ciò, acciocché il popolo, nel comandare le leggi, per cagione del suo infermo consiglio, non facesse un qualche pubblico danno, e perciò, nel comandarle, si facesse regolar dal senato. Laonde le formole delle leggi, che dal senato si portavano al popolo perch’egli le comandasse, sono con iscienza da Cicerone diffinite «perscriptae autoritates»: non autoritá personali, come quelle de’ tutori, i quali con la loro presenza appruovano gli atti che si fan da’ pupilli: ma autoritá distese a lungo in iscritto (ché tanto suona «perscribere»), a differenza delle formole per azioni, scritte «per notas», le quali non s’intendevan dal popolo. Ch’è quello ch’ordinò la legge publilia: che, da essa in poi, l’autoritá del senato, per dirla come Livio la riferisce, «valeret in incertum comitiorum eventum».
946Passò finalmente la repubblica dalla libertá popolare sotto la monarchia, e succedette la terza spezie d’autoritá, ch’è di credito o di riputazione in sapienza, e perciò autoritá di consiglio, dalla qual i giureconsulti sotto gl’imperadori se ne dissero «autores». E tal autoritá dev’essere de’ senati sotto i monarchi, i quali son in piena ed assoluta libertá di seguir o no ciò che loro han consigliato i senati.