La scienza nuova seconda/Conchiusione
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CONCHIUSIONE DELL’OPERA
sopra un’eterna repubblica naturale, in ciascheduna
sua spezie ottima, dalla divina provvidenza ordinata.
1097Conchiudiamo adunque quest’opera con Platone, il quale fa una quarta spezie di repubblica, nella quale gli uomini onesti e dabbene fussero supremi signori; che sarebbe la vera aristocrazia naturale. Tal repubblica, la qual intese Platone, cosí condusse la provvidenza da’ primi incominciamenti delle nazioni, ordinando che gli uomini di gigantesche stature, piú forti, che dovevano divagare per l’alture de’ monti, come fanno le fiere che sono di piú forti nature, eglino, a’ primi fulmini dopo l’universale diluvio, da se stessi atterrandosi per entro le grotte de’ monti, s’assoggettissero ad una forza superiore, ch’immaginarono Giove, e, tutti stupore quanto erano tutti orgoglio e fierezza, essi s’umiliassero ad una divinitá. Ché, ’n tal ordine di cose umane, non si può intender altro consiglio essere stato adoperato dalla provvedenza divina per fermargli dal loro bestial errore entro la gran selva della terra, affine d’introdurvi l’ordine delle cose umane civili.
1098Perché quivi si formò uno stato di repubbliche, per cosí dire, monastiche, ovvero di solitari sovrani, sotto il governo d’un Ottimo Massimo, ch’essi stessi si finsero e si credettero al balenar di que’ fulmini, tra’ quali rifulse loro questo vero lume di Dio: — ch’egli governi gli uomini; — onde poi tutte lor umane utilitá loro somministrate e tutti gli aiuti pórti nelle lor umane necessitá immaginarono esser dèi e, come tali, gli temettero e riverirono. Quindi, tra forti freni di spaventosa superstizione e pugnentissimi stimoli di libidine bestiale (i quali entrambi in tali uomini dovetter esser violentissimi), perché sentivano l’aspetto del cielo esser loro terribile e perciò impedir loro l’uso della venere, essi l’impeto del moto corporeo della libidine dovettero tener in conato. E sí, incominciando ad usare l’umana libertá (ch’è di tener in freno i moti della concupiscenza e dar loro altra direzione, che, non venendo dal corpo, da cui vien la concupiscenza, dev’essere della mente, e quindi propio dell’uomo), divertirono in ciò: ch’afferrate le donne a forza, naturalmente ritrose e schive, le strascinarono dentro le loro grotte e, per usarvi, le vi tennero ferme dentro in perpetua compagnia di lor vita. E sí, co’ primi umani concubiti, cioè pudichi e religiosi, diedero principio a’ matrimoni, per gli quali con certe mogli fecero certi figliuoli e ne divennero certi padri; e si fondarono le famiglie, che governavano con famigliari imperi ciclopici sopra i loro figliuoli e le loro mogli, propi di sí fiere ed orgogliose nature, acciocché poi, nel surgere delle cittá, si truovassero disposti gli uomini a temer gl’imperi civili. Cosí la provvedenza ordinò certe repubbliche iconomiche di forma monarchica sotto padri (in quello stato principi), ottimi per sesso, per etá, per virtú; i quali, nello stato che dir debbesi «di natura» (che fu lo stesso che lo stato delle famiglie), dovettero formar i primi ordini naturali, siccome quelli ch’erano pii, casti e forti, i quali, fermi nelle lor terre, per difenderne sé e le loro famiglie, non potendone piú campare fuggendo (come avevano innanzi fatto nel loro divagamento ferino), dovettero uccider fiere, che l’infestavano, e, per sostentarvisi con le famiglie (non piú divagando per truovar pasco), domar le terre e seminarvi il frumento; e tutto ciò per salvezza del nascente gener umano.
1099A capo di lunga etá — cacciati dalla forza de’ propi mali, che loro cagionava l’infame comunione delle cose e delle donne, nella qual erano restati dispersi per le pianure e le valli in gran numero — uomini empi, che non temevano dèi; impudichi, ch’usavano la sfacciata venere bestiale; nefari, che spesso l’usavano con le madri, con le figliuole; deboli, erranti e soli, inseguiti alla vita da violenti robusti, per le risse nate da essa infame comunione, corsero a ripararsi negli asili de’ padri; e questi, ricevendogli in protezione, vennero con le clientele ad ampliare i regni famigliari sopra essi famoli. E si spiegarono repubbliche sopra ordini naturalmente migliori per virtú certamente eroiche; come di pietá, ch’adoravano la divinitá, benché da essi per poco lume moltiplicata e divisa negli dèi, e dèi formati secondo le varie loro apprensioni (come da Diodoro sicolo, e piú chiaramente da Eusebio ne’ libri De praeparatione evangelica, e da san Cirillo l’alessandrino ne’ libri Contro Giuliano apostata, si deduce e conferma); e, per essa pietá, ornati di prudenza, onde si consigliavano con gli auspíci degli dèi; di temperanza, ch’usavano ciascuno con una sola donna pudicamente, ch’avevano co’ divini auspíci presa in perpetua compagnia di lor vita; di fortezza, d’uccider fiere, domar terreni; e di magnanimitá, di soccorrer a’ deboli e dar aiuto a’ pericolanti: che furono per natura le repubbliche erculee, nelle quali pii, sappienti, casti, forti e magnanimi debellassero superbi e difendessero deboli, ch’è la forma eccellente de’ civili governi.
1100Ma finalmente i padri delle famiglie, per la religione e virtú de’ loro maggiori lasciati grandi con le fatighe de’ lor clienti, abusando delle leggi della protezione, di quelli facevan aspro governo; ed essendo usciti dall’ordine naturale, ch’è quello della giustizia, quivi i clienti loro contro si ammutinarono. Ma, perché senz’ordine (ch’è tanto dir senza Dio) la societá umana non può reggere nemmeno un momento, menò la provvedenza naturalmente i padri delle famiglie ad unirsi con le lor attenenze in ordini contro di quelli; e, per pacificarli, con la prima legge agraria che fu nel mondo, permisero loro il dominio bonitario de’ campi, ritenendosi essi il dominio ottimo o sia sovrano famigliare: onde nacquero le prime cittá sopra ordini regnanti di nobili. E sul mancare dell’ordine naturale, che, conforme allo stato allor di natura, era stato per spezie, per sesso, per etá, per virtú, fece la provvedenza nascere l’ordine civile col nascere di esse cittá, e, prima di tutti, quello ch’alla natura piú s’appressava: — per nobiltá della spezie umana (ch’altra nobiltá, in tale stato di cose, non poteva estimarsi che dal generar umanamente con le mogli prese con gli auspíci divini), e sí per un eroismo, i nobili regnassero sopra i plebei (che non contraevano matrimoni con si fatta solennitá), e, finiti i regni divini (co’ quali le famiglie si erano governate per mezzo de’ divini auspici), dovendo regnar essi eroi in forza della forma de’ governi eroici medesimi, la principal pianta di tali repubbliche fusse la religione custodita dentro essi ordini eroici, e per essa religione fussero de’ soli eroi tutti i diritti e tutte le ragioni civili. Ma, perché cotal nobiltá era divenuta dono della fortuna, tra essi nobili fece surgere l’ordine de’ padri di famiglia medesimi, che per etá erano naturalmente piú degni; e tra quelli stessi fece nascere per re gli piú animosi e robusti, che dovettero far capo agli altri e fermargli in ordini per resistere ed atterrire i clienti ammutinati contr’essoloro.
1101Ma, col volger degli anni, vieppiú l’umane menti spiegandosi, le plebi de’ popoli si ricredettero finalmente della vanitá di tal eroismo, ed intesero esser essi d’ugual natura umana co’ nobili; onde vollero anch’essi entrare negli ordini civili delle cittá. Ove dovendo a capo di tempo esser sovrani essi popoli, permise la provvedenza che le plebi, per lungo tempo innanzi, gareggiassero con la nobiltá di pietá e di religione nelle contese eroiche di doversi da’ nobili comunicar a’ plebei gli auspici, per riportarne comunicate tutte le pubbliche e private ragioni civili che se ne stimavano dipendenze; e si la cura medesima della pietá e lo stesso affetto della religione portasse i popoli ad esser sovrani nelle cittá: nello che il popolo romano avanzò tutti gli altri del mondo, e perciò funne il popolo signor del mondo. In cotal guisa, tra essi ordini civili trammeschiandosi vieppiú l’ordine naturale, nacquero le popolari repubbliche. Nelle quali, poiché si aveva a ridurre tutto o a sorte o a bilancia, perché il caso o ’l fato non vi regnasse, la provvedenza ordinò che ’l censo vi fusse la regola degli onori; e cosí gl’industriosi non gl’infingardi, i parchi non gli prodigi, i providi non gli scioperati, i magnanimi non gli gretti di cuore, ed in una i ricchi con qualche virtú o con alcuna immagine di virtú non gli poveri con molti e sfacciati vizi, fussero estimati gli ottimi del governo. Da repubbliche cosí fatte — gl’intieri popoli, ch’in comune voglion giustizia, comandando leggi giuste, perché universalmente buone, ch’Aristotile divinamente diffinisce «volontá senza passioni», e sí volontá d’eroe che comanda alle passioni — usci la filosofia, dalla forma di esse repubbliche destata a formar l’eroe e, per formarlo, interessata della veritá; cosí ordinando la provvedenza: che, non avendosi appresso a fare piú per sensi di religione (come si erano fatte innanzi) le azioni virtuose, facesse la filosofia intendere le virtú nella lor idea, in forza della quale riflessione, se gli uomini non avessero virtú, almeno si vergognassero de’ vizi, ché sol tanto i popoli addestrati al mal operare può contenere in ufizio. E dalle filosofie permise provenir l’eloquenza, che dalla stessa forma di esse repubbliche popolari, dove si comandano buone leggi, fusse appassionata del giusto; la quale da esse idee di virtú infiammasse i popoli a comandare le buone leggi. La qual eloquenza risolutamente diffiniamo aver fiorito in Roma a’ tempi di Scipione Affricano, nella cui etá la sapienza civile e ’l valor militare, ch’entrambi sulle rovine di Cartagine stabilirono a Roma felicemente l’imperio del mondo, dovevano portare di séguito necessario un’eloquenza robusta e sappientissima.
1102Ma — corrompendosi ancora gli Stati popolari, e quindi ancor le filosofie (le quali cadendo nello scetticismo, si diedero gli stolti dotti a calonniare la veritá), e nascendo quindi una falsa eloquenza, apparecchiata egualmente a sostener nelle cause entrambe le parti opposte — provenne che, mal usando l’eloquenza (come i tribuni della plebe nella romana) e non piú contentandosi i cittadini delle ricchezze per farne ordine, ne vollero fare potenza; [e], come furiosi austri il mare, commovendo civili guerre nelle loro repubbliche, le mandarono ad un totale disordine, e sí, da una perfetta libertá, le fecero cadere sotto una perfetta tirannide (la qual è piggiore di tutte), ch’è l’anarchia, ovvero la sfrenata libertá de’ popoli liberi.
1103Al quale gran malore delle cittá adopera la provvedenza uno di questi tre grandi rimedi con quest’ordine di cose umane civili.
1104Imperciocché dispone, prima, di ritruovarsi dentro essi popoli uno che, come Augusto, vi surga e vi si stabilisca monarca, il quale, poiché tutti gli ordini e tutte le leggi ritruovate per la libertá punto non piú valsero a regolarla e tenerlavi dentro in freno, egli abbia in sua mano tutti gli ordini e tutte le leggi con la forza del’armi; ed al contrario essa forma dello stato monarchico la volontá de’ monarchi, in quel loro infinito imperio, stringa dentro l’ordine naturale di mantenere contenti i popoli e soddisfatti della loro religione e della loro natural libertá, senza la quale universal soddisfazione e contentezza de’ popoli gli Stati monarchici non sono né durevoli né sicuri.
1105Dipoi, se la provvedenza non truova sí fatto rimedio dentro, il va a cercar fuori; e, poiché tali popoli di tanto corrotti erano giá innanzi divenuti schiavi per natura delle sfrenate lor passioni (del lusso, della dilicatezza, dell’avarizia, dell’invidia, della superbia e del fasto) e per gli piaceri della dissoluta lor vita si rovesciavano in tutti i vizi propi di vilissimi schiavi (come d’esser bugiardi, furbi, calonniatori, ladri, codardi e finti), divengano schiavi per diritto natural delle genti, ch’esce da tal natura di nazioni, e vadano ad esser soggette a nazioni migliori, che l’abbiano conquistate con l’armi, e da queste si conservino ridutte in provincie. Nello che pure rifulgono due grandi lumi d’ordine naturale: de’ quali uno è che chi non può governarsi da sé, si lasci governare da altri che ’l possa; l’altro è che governino il mondo sempre quelli che sono per natura migliori.
1106Ma, se i popoli marciscano in quell’ultimo civil malore, che né dentro acconsentino ad un monarca natio, né vengano nazioni migliori a conquistargli e conservargli da fuori, allora la provvedenza a questo estremo lor male adopera questo estremo rimedio: che — poiché tai popoli a guisa di bestie si erano accostumati di non ad altro pensare ch’alle particolari propie utilitá di ciascuno ed avevano dato nell’ultimo della dilicatezza o, per me’ dir, dell’orgoglio, a guisa di fiere, che, nell’essere disgustate d’un pelo, si risentono e s’infieriscono, e sí, nella loro maggiore celebritá o folla de’ corpi, vissero come bestie immani in una somma solitudine d’animi e di voleri, non potendovi appena due convenire, seguendo ogniun de’ due il suo propio piacere o capriccio, — per tutto ciò, con ostinatissime fazioni e disperate guerre civili, vadano a fare selve delle cittá, e delle selve covili d’uomini; e, ’n cotal guisa, dentro lunghi secoli di barbarie vadano ad irruginire le malnate sottigliezze degl’ingegni maliziosi, che gli avevano resi fiere piú immani con la barbarie della riflessione che non era stata la prima barbarie del senso. Perché quella scuopriva una fierezza generosa, dalla quale altri poteva difendersi o campare o guardarsi; ma questa, con una fierezza vile, dentro le lusinghe e gli abbracci, insidia alla vita e alle fortune de’ suoi confidenti ed amici. Perciò popoli di sí fatta riflessiva malizia, con tal ultimo rimedio, ch’adopera la provvedenza, cosí storditi e stupidi, non sentano piú agi, dilicatezze, piaceri e fasto, ma solamente le necessarie utilitá della vita; e, nel poco numero degli uomini alfin rimasti e nella copia delle cose necessarie alla vita, divengano naturalmente comportevoli; e, per la ritornata primiera semplicitá del primo mondo de’ popoli, sieno religiosi, veraci e fidi; e cosí ritorni tra essi la pietá, la fede, la veritá, che sono i naturali fondamenti della giustizia e sono grazie e bellezze dell’ordine eterno di Dio.
1107A questa semplice e schietta osservazione fatta sulle cose di tutto il gener umano, se altro non ce ne fusse pur giunto da’ filosofi, storici, gramatici, giureconsulti, si direbbe certamente questa essere la gran cittá delle nazioni fondata e governata da Dio. Imperciocché sono con eterne lodi di sappienti legislatori innalzati al cielo i Ligurghi, i Soloni, i decemviri, perocché si è finor oppinato che co’ loro buoni ordini e buone leggi avesser fondato le tre piú luminose cittá che sfolgorassero mai delle piú belle e piú grandi virtú civili, quali sono state Sparta, Atene e Roma; le quali pure furono di brieve durata e pur di corta distesa, a riguardo dell’universo de’ popoli, ordinato con tali ordini e fermo con tali leggi, che dalle stesse sue corrottene prenda quelle forme di Stati, con le quali unicamente possa dappertutto conservarsi e perpetuamente durare. E non dobbiam dire ciò esser consiglio d’una sovrumana sapienza? la quale, senza forza di leggi (che, per la loro forza, Dione ci disse sopra, nelle Degnitá, essere simigliano al tiranno), ma facendo uso degli stessi costumi degli uomini (de’ quali le costumanze sono tanto libere d’ogni forza quanto lo è agli uomini celebrare la lor natura, onde lo stesso Dione ci disse le costumanze essere simili al re, perché comandano con piacere), ella divinamente la regola e la conduce?
1108Perché pur gli uomini hanno essi fatto questo mondo di nazioni (che fu il primo principio incontrastato di questa Scienza, dappoiché disperammo di ritruovarla da’ filosofi e da’ filologi); ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito da una mente spesso diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini particolari ch’essi uomini si avevan proposti; quali fini ristretti, fatti mezzi per servire a fini piú ampi, gli ha sempre adoperati per conservare l’umana generazione in questa terra. Imperciocché vogliono gli uomini usar la libidine bestiale e disperdere i loro parti, e ne fanno la castitá de’ matrimoni, onde surgono le famiglie; vogliono i padri esercitare smoderatamente gl’imperi paterni sopra i clienti, e gli assoggettiscono agl’imperi civili, onde surgono le cittá; vogliono gli ordini regnanti de’ nobili abusare la libertá signorile sopra i plebei, e vanno in servitú delle leggi, che fanno la libertá popolare; vogliono i popoli liberi sciogliersi dal freno delle lor leggi, e vanno nella soggezion de’ monarchi; vogliono i monarchi in tutti i vizi della dissolutezza, che gli assicuri, invilire i loro sudditi, e gli dispongono a sopportare la schiavitú di nazioni piú forti; vogliono le nazioni disperdere se medesime, e vanno a salvarne gli avanzi dentro le solitudini, donde, qual fenice, nuovamente risurgano. Questo, che fece tutto ciò, fu pur mente, perché ’l fecero gli uomini con intelligenza; non fu fato, perché ’l fecero con elezione; non caso, perché con perpetuitá, sempre cosí faccendo, escono nelle medesime cose.
1109Adunque, di fatto è confutato Epicuro, che dá il caso, e i di lui seguaci Obbes e Macchiavello; di fatto è confutato Zenone, e con lui Spinosa, che danno il fato: al contrario, di fatto è stabilito a favor de’ filosofi politici, de’ quali è principe il divino Platone, che stabilisce regolare le cose umane la provvedenza. Onde aveva la ragion Cicerone, che non poteva con Attico ragionar delle leggi, se non lasciava d’esser epicureo e non gli concedeva prima la provvedenza regolare l’umane cose. La quale Pufendorfio sconobbe con la sua ipotesi, Seldeno suppose e Grozio ne prescindè; ma i romani giureconsulti la stabilirono per primo principio del diritto natural delle genti. Perché in quest’opera appieno si è dimostrato che sopra la provvedenza ebbero i primi governi del mondo per loro intiera forma la religione, sulla quale unicamente resse lo stato delle famiglie; indi, passando a’ governi civili eroici ovvero aristocratici, ne dovette essa religione esserne la principal ferma pianta; quindi, innoltrandosi a’ governi popolari, la medesima religione serví di mezzo a’ popoli di pervenirvi; fermandosi finalmente ne’ governi monarchici, essa religione dev’essere lo scudo de’ principi. Laonde, perdendosi la religione ne’ popoli, nulla resta loro per vivere in societá: né scudo per difendersi, né mezzo per consigliarsi, né pianta dov’essi reggano, né forma per la qual essi sien affatto nel mondo.
1110Quindi veda Bayle se possan esser di fatto nazioni nel mondo senza veruna cognizione di Dio! E veda Polibio quanto sia vero il suo detto, che, se fussero al mondo filosofi, non bisognerebbero al mondo religioni! Ché le religioni sono quelle unicamente per le quali i popoli fanno opere virtuose per sensi, i quali efficacemente muovono gli uomini ad operarle, e le massime da’ filosofi ragionate intorno a virtú servono solamente alla buona eloquenza per accender i sensi a far i doveri delle virtú. Con quella essenzial differenza tralla nostra cristiana, ch’è vera, e tutte l’altre degli altri, false: che, nella nostra, fa virtuosamente operare la divina grazia per un bene infinito ed eterno, il quale non può cader sotto i sensi, e, ’n conseguenza, per lo quale la mente muove i sensi alle virtuose azioni; a rovescio delle false, ch’avendosi proposti beni terminati e caduchi cosí in questa vita come nell’altra (dove aspettano una beatitudine di corporali piaceri), perciò i sensi devono strascinare la mente a far opere di virtú.
1111Ma pur la provvidenza, per l’ordine delle cose civili che ’n questi libri si è ragionato, ci si fa apertamente sentire in quelli tre sensi: — uno di maraviglia, l’altro di venerazione c’hanno tutti i dotti finor avuto della sapienza innarrivabile degli antichi, e’l terzo dell’ardente disiderio onde fervettero di ricercarla e di conseguirla; — perch’eglino son infatti tre lumi della sua divinitá, che destò loro gli anzidetti tre bellissimi sensi diritti, i quali poi dalla loro boria di dotti, unita alla boria delle nazioni (che noi sopra per prime degnitá proponemmo e per tutti questi libri si son ripresse), loro si depravarono; i quali sono che tutti i dotti ammirano, venerano e disiderano unirsi alla sapienza infinita di Dio.
1112Insomma, da tutto ciò che si è in quest’opera ragionato, è da finalmente conchiudersi che questa scienza porta indivisibilmente seco lo studio della pietá, e che, se non siesi pio, non si può daddovero esser saggio.