La scienza nuova seconda/Brani soppressi o mutati/Libro secondo/Sezione quarta
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SEZIONE QUARTA
CAPITOLO PRIMO
1258[521]..... Talché essi duumviri venivan ad essere quasi leggi vive e parlanti, [CMA3] come poi, ritruovate le lettere volgari, propiamente «legislatori» si dissero i consoli, per cagion d’esempio, i quali dal senato portavano le leggi al popolo, le quali esso volesse comandare.
1259E qui sia lecito far una digressione a Tribuniano, il quale nell’ Istituta vuole che la divisione del diritto romano in iscritto e non iscritto sia venuto da Grecia in Roma, cioè da Atene, che, come repubblica popolare, scriveva le leggi, e da Sparta, che, come repubblica aristocratica, osservava le costumanze. E ciò che fu, è e sará civil natura di tutti i popoli di vivere finalmente con costumanze e con leggi — perché, innanzi di ritruovarsi le lettere volgari, la divina provvedenza aveva ordinato che vivessero con costumanze, e poi, ritruovate le lettere, vivessero anche con le leggi, siccome l’avvertimmo nell’Annotazioni alla Tavola cronologica (onde il gius naturale, che precorse al civile in tutte le nazioni, egli da’ giureconsulti si diffinisce «ius divina providentia hominum moribus constitutum» ) — i romani il dovettero apparare da’ greci! Il qual errore, com’altri quanto numerosi tanto egualmente gravi, è germogliato da quello: che la legge delle XII Tavole fusse venuta da Grecia in Roma, come farem vedere nel Ragionamento ch’abbiam promesso nel fine di questi libri. Qui ora solamente s’avvertisca quanto nulla o assai poco Tribuniano, Teofilo, Doroteo, che composero l’Istituta e dovetter essere gli piú riputati di tutti gli altri greci giureconsulti di que’ tempi, furon essi filosofi, che da un errore cosí balordo incomincian a trattare de’ principi della giurisprudenza. S’aggiugna che furon ignorantissimi delle cose romane. E finalmente faccia il cumulo che presero a trattar di leggi concepute in lingua straniera; d’intorno alle quali la cosa quanto necessaria tanto da Cuiacio, ne’ Paratitti de’ Digesti, è riputata la piú difficile, ch’è la diffinizione de’ nomi di legge, la qual esce da essa interpetrazione delle parole. Per le quali cagioni tutte s’intenda che guasto hanno essi dato alla giurisprudenza romana con irreparabil danno, avendo fatti in minutissimi brani i libri de’ romani giureconsulti, i quali se avessero lasciati intieri tutti uniti in un corpo, altre testimonianze che marmi e medaglie arebbon avuto i filologi, altri lumi i filosofi, per iscuoprire quelli le romane antichitá e questi la natura di questo mondo di nazioni! Lo che Bacone da Verulamio, tra perché fu filosofo e non filologo, e perché gl’inghilesi nulla o poco curarono la romana giurisprudenza, non seppe nemmeno disiderare; e que’ pochi canoni, che dá d’intorno alla scienza delle leggi nei suo aureo libro De augumentis scientiarum, non hanno né ’l nerbo né ’l fondo c’hanno gli altri disidèri e discoverte delle quali si adorna il suo Novus orbis scientiarum.
1230[530*] [CMA2]; Ma perché è costume comune delle nazioni ch’i plebei, perché naturalmente ammirano la nobiltá, ne prendono i favellari come l’usanze, ed al contrario i nobili, perché naturalmente voglion esser distinti nelle cittá, altri e altre di nuovo ne truovano (la qual dee essere la gran cagione delle differenze delle parole in ciascuna lingua, le quali quanto sono lo stesso nella significazione tanto nel suono elleno son affatto diverse); [CMA3] e perché tra’contadini come l’usanze cosí gli antichi favellari piú si conservano: cosí [CMA2] la voce «filius», la quale nel principio fu vocabolo eroico, e perciò quello che ’n giurisprudenza si dice «vocabulum iuris», poscia, divulgatosi nella plebe romana, passò a significare i figliuoli naturali.; i nobili, per distinguersi presero ad usare la voce «liberi», [CMA3] con la quale parola parla la legge delle XII Tavole, ond’è vocabolo ora di legge e comprende di qualunque grado i nipoti, i quali, naturalmente, non sono figliuoli.
1261[545] [CMA3] Appresso, menando innanzi la stessa maniera di pensare, dovettero dire «poma d’oro» prima il latte e dappoi le belle lane, che pur sono frutti di natura, con quest’ordine avvertiti dopo il frumento, perché appresso si mostrerá la pastoreccia esser venuta dopo la villereccia. Quindi appo Omero si lamenta Atreo che Tieste gli abbia rubato le pecore d’oro; e gli argonauti predarono il vello d’oro da Coleo, ed Ercole faceva bottini di pecore e capre d’oro: dal qual pregio e carezza i poeti, delle loro amate donne, dissero «aureas papillas». Perciò lo stesso Omero appella con perpetuo aggiunto i suoi re.....
1262[547] [CMA3] Tanto vi volle di tempo che l’idea della carezza e del pregio passasse dall’oro frumento al metallo! Dallo che si raccogliono due bellissimi corollari. De’ quali uno è che non bisogna più travagliarsi i mitologi a dire con molta serietá molte ciance per giustificare d’avarizia, di sfacciatezza e d’ingratitudine un valoroso eroe, Diomede, che sembra avaramente voler cangiare il suo scudo di ferro con quello d’oro di Glauco, sfacciatamente fargliene la domanda, e senza grado alcuno nel riporta cangiato. L’altro è che la divisione dell’etá del mondo per gli quattro metalli, cioè d’oro, d’argento, di rame e di ferro, è ritruovato da’ poeti de’ tempi bassi, della quale non vi ha niun luogo appo Omero che ne faccia alcuna menzione. Perché quest’oro poetico diede a’ greci il nome dell’etá dell’oro.
1263[550].cioè di sanginelli, sambuchi, che finoggi ne ritengono e l’uso e’l nome, e di quella che pur dagl’italiani si dice «erba santa»; dette cosí dal sangue degli uccisi.quella parte della legge che minaccia la pena a’ di lei trasgressori. [CMA4] Sí fatta istoria delle prime vervene (ché cosí pure si chiamarono tali erbe ch’adornarono i primi altari del gentilesimo) ella ci dimostra che gli altri popoli del Lazio celebravano privatamente lo stesso costume de’ romani di tenere si fatte erbe per sante. Ch’è quello che qui pruoviamo generalmente; che il diritto naturail delle genti.....
1264[552] E ’n questi principi doveva dar Aristotile ed altri c’hanno scritto della dottrina iconomica, che, per difetto di questa Scienza, essi non poterono vedere per la parte de’ figliuoli, e molto meno per l’altra de’ famoli. Perché tutti i filosofi, ingannati da’ filologi, stimarono le famiglie nello stato di «natura» essere state di soli figliuoli.
CAPITOLO SECONDO
1266[553]..... uccidevano i violenti ch’avevano violato le loro [CMA3] arate terre. Che dovett’essere la prima violenza ingiusta fatta contro l’umana societá, perocché le violenze innanzi fatte nelle risse che produceva l’infame comunione delle cose e delle donne non erano state né giuste né ingiuste, a cagion che non si eran ancora gli uomini associati. E ricevevano in protezione i miseri da essolor rifuggiti.....
1266[557].E con una di queste famiglie dovette Abramo far guerre co’ re gentili. [CMA4] Cosí si può far verisimile la storia romana d’intorno alla calogna da Appio decemviro tramata contro Virginia, ch’ella fusse sua schiava, perché in que’ tempi i plebei erano come schiavi de’ nobili.
1267[564*] Ma i gramatici latini, ignari di quest’origini di cose, che dovevano dar lor la scienza dell’origini delle voci, essendo lor pervenuta la voce «lucus» in significazione di «bosco sagro» (perché ne’ primi tempi con aspetto di sagre si guardavano tutte le cose profane), ed osservando che folti fronzuti arbori con dense ombre facevano le delizie de’ boschetti sagri, si finsero l’antifrasi con cui fosse «Iucus» stato detto perché «non lucet». Come se gli autori delle lingue, ch’erano tutti senso quando le si formarono, come sta appiena sopra dimostro, avesser dato i nomi alle cose dalle loro negazioni, le quali non lasciano vestigio in esso intelletto, tanto non posson fare impression alcuna ne’ sensi!
1268[565-6].pei quali forse fu immaginata Venere maschianatane in mente de’ poeti eroi la fantastica idea dal veder essi quant’erano brutti, laidi, sozzi, irsuti, squallidi e rabuffati gli uomini empi che si rifuggivan a’ lor asili: nel quale stato sarebbono degni d’andare alcuni dotti con la loro sfumata letteratura, a’ quali dovrebbe far capo Bayle, che sostiene che senza religione si possa vivere, e che si viva di fatto, [in] umana societá. Di questa bellezza, e non d’altra, furono vaghi gli spartani.come osserva Antonio Fabro nella Giurisprudenza papinianea. [CMA4] E con la stessa eroica propietá Orazio dovette dire «infame monstrum» la regina Cleopatra, maritata a Marc’Antonio senza aver con lui il gius divino de’ romani auspíci comune.