La scienza nuova seconda/Brani soppressi o mutati/Libro quarto/Sezione duodecima

Libro quarto - Sezione duodecima

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SEZIONE DUODECIMA

CAPITOLO SECONDO

1365[985].... funne fatto strozzare o appiccare dagli efori, custodi della libertá signorile de’ lacedemoni. Perché ’l testamento di Telemaco, narrato da Omero e riferito da Giustiniano nell’Istituto, fu donazione particolare fatta mortis caussa. Della quale s’intese la necessitá nelle guerre, perch’i beni, ch’erano appo i soldati i quali morivano nelle battaglie, non restassero senza signore; e ne rimase l’eterna propietá: che ’l soldato, che fa testamento in procinto di battagliare, possa morire «pro parte testatus, pro parte intestatus». Onde s’intenda quanto ella è saggia la critica degli eruditi interpetri delle leggi romane, i quali con tanta esattezza fissano nella tavola undecima il capo.

1366[990*] [CMA3] E qui finalmente ci abbiamo riserbato di esaminare quel detto d’Aristotile, il quale ne’ suoi Libri politici udimmo nelle Degnitá dire ch’i regni per successione sieno celebrati da’ barbari e che per elezione si diferirono i regni eroici. Perché Aristotile non visse tanto, che vedesse de’ suoi umanissimi greci i regni di Siria, d’Egitto, di Macedonia ed altri molti, ne’ quali tra’ capitani d’Alessandro Magno si divise la monarchia persiana, essere stati tutti per successione; né potè vedere l’imperio romano nella sua piú splendida umanitá essere stato per cinque imperadori un retaggio della casa di Cesare, come l’appella Galba (appo Tacito), che fu il primo imperadore romano eletto. Ma egli fu ingannato dalla boria de’ dotti, d’estimare gli antichi eroi qual’ i filosofi l’hanno finor immaginato, non quali furono per natura, che, come a tante pruove s’è in questi libri dimostrato, fu natura di barbari.

1367[992] Ed è degno di due riflessioni. Delle quali una è: su due sconcissimi errori presi da cotesti eruditi adornatori della legge delle XII Tavole: uno che tali successioni ab intestato, con tal’imperi ciclopici, con tali pene crudelissime, quali appresso diremo, fan venir in Roma da Atene ne’ tempi che godeva la piú mansueta libertá popolare; l’altro che de’ padri di famiglia romani l’ereditá ab intestato..... delle cose che sono dette nullius o in quella [p. 253 modifica] de’ beni vacanti. L’altra riflessione, che piú rileva, è che per l’agrarie si fecero dalla plebe delle grandi rivolte, ma per tali contese eroiche non se ne fece pur una, perché quelle guardavan cosa fuori delle persone de’ nobili e che si potevan avere da’ plebei senza i nobili: ma i connubi, i consolati, i sacerdozi eran attaccati alle persone de’ nobili, e i plebei in tanto l’ambivano in quanto gli godessero insieme co’ nobili. Onde le contese, essendo tutte d’onore in pace, portavano i plebei a fare delle grandi imprese in guerra, come sta proposto nelle Degnitá, per appruovar a’ nobili ch’essi eran degni de’ diritti de’ nobili; come Sestio, tribuno della plebe, una volta il rimpruovera a’ nobili. Laonde conobbero, ma di sottil profilo, questa gran veritá, da una parte Macchiavelli, che disse la cagione della romana grandezza essere stata la magnanimitá della plebe, e dall’altra Polibio, che la rifonde tutta nella romana pietá: perocché (noi lor soggiugniamo) i padri dicevano tutti i diritti eroici essere loro propi, perché «sua essent auspicia» I quali scrittori, entrambi da noi cosí spiegati, possono accusar Plutarco d’invidia, che fa della romana grandezza fabra la romana fortuna, ed avvertire Torquato Tasso di non averlo ben còlto nella sua Risposta a Plutarco.

1368[996*] [CMA2] E Tacito, che vuole anche con esse propietá delle voci dar i suoi avvisi politici, nel principio degli Annali disse: «ius tribunorum militum», usando un vocabolo generale di diritto, non lo propio e grave d’«imperio». Come con iscienza pur aveva detto, nel verso sopra, «decemviralis potestas»: perché nel primo anno fu imperio legittimo; nel secondo, fermatovisi a forza Appio con gli altri nove, il decemvirato divenne tirannide (come «dieci tiranni» s’appellano sulla storia), e si fu una potestá di fatto, non di ragione.

1369[997] ..... «tribunorum plebis potestas». Lo che dá apertamente a divedere quanto s’intendesse della natura delle cose umane civili Giovan Budino, che vorrebbe nella sua monarchia francese restituita la patria potestá de’ romani antichi!

CAPITOLO TERZO

1370[999]..... al narrare di Pomponio. [CMA3] Dove da farsi questa importante riflessione: che, perciocché la sapienza degli auspíci era stata agli eroi il primo principio di tutte le loro ragioni [p. 254 modifica] eroiche, i plebei furono rattenuti di domandare, senonsé all’ultimo, comunicarsi loro da’ nobili la ragion eroica de’ sacerdozi e de’ ponteficati, che portava di séguito la scienza delle leggi, della quale prima e principal parte era quello che dicevano «ius augurium », di cui s’intendeva la scienza augurale; per la qual parte la giurisprudenza si diffiní «notitia rerum divinarum», dalla quale dipendeva l’altra parte «humanarum»; le quali entrambe ne compiono tutto l’obietto adeguato. Perciò qui noi ragioneremo della custodia delle leggi.

1371[1001].... e perciò Augusto, per istabilirla, ne fece in grandissimo numero. Onde Tiberio, di lui successore, poi godeva di veder nella curia da una parte i suoi figliuoli combattere le leggi e dall’altra tutto il senato difenderle, le quali pur eran vinte; e Caligula, mal sopportando le formole delle leggi, che ponevano in soggezione la sua libera sovranitá, diceva a’ giureconsulti quelle parole: «redigam illos ad aequum», che dasse il suono di «eccum», in atto di additare se stesso. E i seguenti principi usarono non per altro il senato che per fare senaticonsulti.....

1372[1002]..... talché Grozio afferma esser oggi un diritto naturale delle genti d’Europa; ma non ne sa la ragione: perché è ritornato il diritto natural delle genti, che naturalmente s’osservò a’ tempi di Giustiniano.

1373[1003]..... con tardi passi s’impropiassero le parole della legge delle XII Tavole, in conformitá degli Stati che si cangiavano, prima libero e poi monarchico, secondo l’avviso politico che Tacito pur ne dá: che le leggi non si mutino tutte ad un tempo. Onde forse per cotal cagione principalmente.