La scienza nuova seconda/Brani soppressi o mutati/Libro primo/Sezione prima

Libro primo - Sezione prima

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Libro primo Libro primo - Sezione seconda
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[SEZIONE PRIMA]

1139[55]..... come in quest’opera tal civil costume di quasi tutte, come si ha certamente della romana, vieti dimostrato. [CMA4] Sicché tal avesse fatto prima Nino contro di Zoroaste, quale fece poi Arbace contro Sardanapalo, ultimo re dell’Assiria; onde dicono ch’indi in poi furono due regni d’Assiria, con due cittá capitali: Ninive e Babillonia, la qual veritá usano i critici bibbici per ischiarire la storia sagra ove narra la schiavitú babilonese del popolo ebreo. Ed essa storia pur ci racconta.

1140[59] ..... dovettero agli orientali essere Zoroasti. [CMA3] Perocché i mitologi, con le loro interpetrazioni erudite, fanno Ercole anche dotto d’astronomia, e ne spiegano quella favola ch’egli succedette al vecchio Atlante, stanco di piú sostenere sopra i suoi òmeri il cielo; ed or or vedremo che Atlante egli è da’ filologi creduto scolare di Zoroaste. [SN2] Però di quelli il primo di tutti è ’l caldeo, che ci appruova la Caldea essere stata la prima nazione di tutta la gentilitá. Ma la boria de’ dotti.gli ha appiccato gli oracoli della filosofia, appigliatisi temerariamente a due volgari tradizioni: una, che Zoroaste fu sappiente (ma quella intese della sapienza volgare con la quale si fondarono i popoli); l’altra, che gli oracoli sono le cose piú antiche che ci narra essa antichitá (ma questa volle dir oracoli d’indovini, non di filosofi). E ’n fatti tali oracoli di Zoroaste non fann’altro che smaltire per vecchia una troppo nuova dottrina..... e non si conobbero tra loro che con l’occasion delle guerre o per cagione de’ traffichi. [p. 176 modifica]

1141Quindi, frattanto, però s’intenda di che bollore di fantasia fervette cotal boria de’ dotti nel capo di Samuello Reyero, De mathesi mosaica, ove vaneggia che la torre di Babilonia fossesi innalzata per osservatoio delle stelle. Lo che deve andar di séguito a ciò che, forse per conciliar con le novelle curiose la maraviglia a’ suoi libri De caelo, [CMA4] (se pur son suoi, [CMA2] perocché i critici glieli negano), [SN2] narra Aristotile: che Callistene, suo genero, gli aveva mandato l’osservazioni astronomiche fatte da’ caldei ben mille e novecento e tre anni del tempo suo, le quali, tornando indietro, portavano fin al tempo ch’essa torre si alzò.

1142[CMA3] Certamente de’ Zoroasti ce ne vennero nominati il caldeo, il medo, l’ero-armenio, il panfilio, i quai solamente ha saputo osservar e raccogliere lo Stanleo nella sua Istoria della filosofia. Ma queste notizie son troppo oscure e confuse per poter ragionare con iscienza de’ principi della storia universale, la quale, con tutte queste notizie, ella, cosí per gli mostri di cronologia poco sopra accennati, come per questi di geografia i quali qui accenneremo, ha finor mancato al mondo delle scienze. Diciamo adunque [CMA4] che. per una maniera poetica di pensare (che nella Metafisica poetica si truoverá uniforme per natura in tutte le prime nazioni gentili), siccome gli egizi tutti i fondatori dell’altre nazioni dissero aver preso il nome dall’Ercole egizio, e siccome i greci fecero andar il lor Ercole per lo mondo a disseminare per le nazioni l’umanitá, cosí i caldei tutti gli autori delle nazioni dell’Asia dissero Zoroasti.

1143[CMA3*] E per questi stessi nostri principi di geografia ritruoveremo che Zoroaste caldeo fu battriano, come narrano le storie, però da Battro posto dentro i confini della Caldea medesima; siccome ritruoveremo Orfeo essere stato della Tracia posta dentro i confini della medesima Grecia, perch’egli certamente fu uno de’ poeti teologi greci; e che cosí Orfeo uscí dal di lei settentrione a fondare la Grecia, come Zoroaste uscí dal di lei settentrione a fondar la Caldea. E tali principi s’hanno a dare alla Caldea, ne’ suoi primi tempi di brievissimi confini, dentro i quali Battro, donde fu Zoroaste, dev’essere stato nel mezzo dell’Asia, perché si faccia ancor verisimile il vero della storia sagra d’intorno a questi tre punti massimi:

1. che, dopo il diluvio, l’arca si fermò ne’ monti dell’Armenia,

2. che Noè si fermò nella Mesopotamia, [p. 177 modifica]

3. che Semo quivi propagò la sua nazione, da’ cui rinniegati provennero essi caldei; ed ad un fiato si faccia credibile la storia profana, la qual, appo Giustino, propone come suoi antiprincipi, innanzi alla monarchia degli assiri, Tanai scita e Sesostride egizio.

1144Con tanta traccuratezza hanno finora tutti i dotti ricevuto principi della storia universale! E ciò sia detto di Zoroaste.

1145[60] ..... come restò a’latini «chaldaeus» per «astrolago giudiziario». Per tutto ciò abbiamo noi allogato Zoroaste a lato di Giapeto, perocché sia il carattere della razza di Sem, che tratto tratto passò dalla vera religione all’idolatria, dalla quale si fondò il regno di Nebrod.

1146[62] La quale per gli nostri principi si dimostra esser avvenuta nella discendenza di Sem per lo mondo dell’Asia orientale, ma essere stata diversa l’origine della diversitá delle lingue nelle razze giá fatte e disperse per l’Asia settentrionale (e quindi nella Scizia) e per la meridionale (e quindi nell’Indie), per l’Affrica e per l’Europa, con l’errore di dugento anni, nel quale Cam e Giafet l’avevano mandate. Ché tante vi volle di tempo dalla divisione della terra tra questi tre figliuoli di Noè infin alla confusione babillonese delle lingue, se mai la divisione tra queste razze fusse avvenuta prima della confusione babillonese: lo che però appare contrario a ciò che la Scrittura sagra ne divisa nel Genesi. Perocché, altrimenti, se la divisione fosse seguita prima della confusione, seguirebbe questa sconcezza: che, essendosi cominciati da dugento anni innanzi a dividere sulla terra gli tre figliuoli di Noè, le razze empie di Cam e Giafet arebbono conservato la lingua santa avantidiluviana, e si sarebbono sottratti al divin castigo le razze empie di Cam e Giafet, e solamente punita la razza di Sem, ch’era pur pia, perché credeva in una qualche divinitá, e derivata la pena anco nel popolo di Dio. Perocché vogliono padri che, con la confusione babillonese delle lingue, si venne tratto tratto a perdere la puritá della lingua santa avantidiluviana.

1147Né per ciò si dice cosa punto contraria a ciò che narra la storia santa: che, avanti la confusione, tutti gli uomini sopra la terra erano d’un labbro solo, cioè d’una sola spezie di lingua. Perché le razze sperdute di Cam e Giafet, se la divisione fosse sortita prima della confusione (lo che non si può dire, essendo apertamente contrario a ciò che si narra nel Genesi), dovettero ritenere della lingua ebrea fin tanto che, a poco a poco, come [p. 178 modifica] fiere bestie disperse per la gran selva della terra, a capo di dugento anni che corsero dal partaggio di essa, cioè di un anno dopo il diluvio, ne’ quali avvenne essa confusione, disumanandosi, avevano affatto perduto ogni umana favella.

1148Quindi si traggono tre veritá:

la prima, che questa Scienza conserva alla storia santa la degnitá;

la seconda, perché i caldei andarono piú prestamente degli altri alle false religioni, truovarono una spezie di divinazione piú dilicata e piú dotta che non fu quella che truovarono le razze di Cam e Giafet, che fu la divinazione da’ fulmini, tuoni, voli e canti d’uccelli;

la terza, che essi caldei, per questo istesso presto cammino alle false religioni, prevenendo tutt’altre nel corso che fanno le nazioni, gittarono le fondamenta alla prima monarchia degli assiri.

1149[66]..... l’avesser insegnate all’altre nazioni del mondo. Ma i greci si portarono troppo ingrati inverso un tanto benefattore, che e ne sconciarono il proprio nome, e raccomunarono a tutte l’altre divinitadi, e ne truovarono per lui un altro, che è Ἠρμῆς, che vuol dire Mercurio. Dipoi non iscrissero le loro leggi co’ geroglifici ....

1150[68] Ora, per ciò ch’attiensi a questo gran momento della cristiana religione — che Mosè non abbia fatto alcun uso della religione né della polizia degli egizi — travaglia la cronologia. Perché Eusebio, seguito da Feda, sperava di superar tal difficultá col suo calcolo, per lo quale poneva l’uscita degl’israeliti da Egitto sotto la condotta di Mosè da un mille anni innanzi alla guerra di Troia; il qual novero d’anni fu seguito da’ cristiani antichi. Ma ora egli è stato corretto ed emendato piú d’un migliaio e mezzo d’anni da’ cristiani ultimi, i quali oggi sieguono il calcolo di Filone giudeo, la qual correzione si confermerá per gli nostri principi, co’ quali dimostreremo che, per l’etá degli dèi e per l’etá degli eroi, abbia dovuto correre un settecento anni tra l’etá di Mosè e la guerra troiana; e sí, per tal calcolo di tanto scemato, viene Mosè a fiorire da quattrocento anni innanzi la guerra troiana, e, ’n conseguenza, a’ tempi di Cecrope, e perciò vien ad essere dopo di questo Mercurio egizio. Però questa grande difficultá della cronologia cristiana si truova spianata da’ nostri principi, fermati in un luogo veramente d’oro di Giamblico ..... ma un carattere de’ primi fondatori della nazion egizia. Laonde tal Mercurio [CMA3] [p. 179 modifica] degli egizi, ch’è ’l Cam dell’Asia meridionale e dell’Affrica, [SN2] sarebbe su questa Tavola da porsi [CMA4 ] a manca di Zoroaste, [CMA3], ch’è la razza empia di Sem sparsa per l’Asia orientale, e di [SN2] Giafet, ch’è ’l Giapeto dell’Asia settentrionale e dell’Europa, nel livello della divisione che fecero della terra i tre figliuoli di Noè. E per questo istesso luogo di Giamblico.

1151[70] Quindi, come da vecchio covile, esce un gran mostro di cronologia: che da Elleno a Giapeto corrono due vite, di Deucalione e Prometeo, viva pur ciascuno cinquanta anni (quando i cronologi le vite incerte stabiliscono di trenta e poco piú), e si abbiano corso cento anni. Ma ne corrono quattrocentoventicinque! Questi mostri ha nudrito nascostamente finora per la cronologia l’oppenione d’essere stati particolari uomini quelli che ci ha narrato la storia favolosa! Da quest’Elleno i greci natii si disser «elleni»..... ond’essi eran venuti colonie in Italia, ed altretanto ne seppero i latini, mentre si formaron la lingua. Perché tal voce.....

1152[80]. Della qual riprensione è una particella quella che degli dèi della gentilitá fa sant’Agostino [CMA3 ] per questo motivo preso dall’Eunuco di Terenzio, a cui ora noi soggiugniamo queste ponderazioni. Che ’l Cherea si finge dal poeta un giovinetto di sedici anni, d’una sublime ardente natura, giudice di bellezze d’un gusto raffinatissimo, che di niuna si era fin allor compiaciuto, come il professa col suo amico Antifone. S’innamora della schiava ad un’occhiata, in vedendola per istrada passare (che dá ad intendere di che bellezza luminosa ella fusse); e ne concepisce all’istante un amore cosí perduto, che un gentiluomo ateniese, cioè a dire della cittá la quale dappertutto spirava beninteso, convenevole ed aggiustato, soffre travvestirsi da eunuco, e da vile schiavo di esser menato da Parmenone, suo servo, a servire una meretrice di Taide; e faceva fine di tutti i suoi disidèri il poterla vedere, parlarle, talora mangiarvi insieme e dormirle alcuna volta da presso. Ma, in guardare la pittura di Giove, il quale, cangiato in pioggia d’oro, si giace con Danae, quell’ardire che non gli diedero tante e si possenti naturali cagioni, da tal divino esemplo prende di violarla.

1153[89] ...... potessero veleggiar un intiero giorno. [CMA3 ] Tal veritá osservò Omero quando portossi in Egitto, dove narra che la moglie del re Tono aveva ad Elena donato il nepente; della cui simigliarne maniera dev’essere stato in Fenicia, dov’Elena pur aveva da’grandi ricevuti de’gran doni; e quivi narra l’isola di Calipso, detta Ogigia. [p. 180 modifica]

1154[94*] [CMA3] Le quali cose tutte ad un colpo devono rovesciar il sistema di Giovanni Seldeno, il quale pretende il diritto naturale della ragion eterna essere stato dagli ebrei insegnato a’ gentili sopra i sette precetti lasciati da Dio a’ figliuoli di Noè; devono rovesciar il Faleg di [[Autore:|Samuello Bocarto]], che vuole la lingua santa essersi propagata dagli ebrei all’altre nazioni e tra queste fossesi difformata e corrotta; e finalmente devono rovesciare la Dimostrazion evangelica di Daniello Uezio, che va di séguito al Faleg del Bocarto, come il Faleg del Bocarto va di séguito al sistema del Seldeno, nella quale l’uomo eruditissimo s’industria di dar a credere che le favole siano sagre storie alterate e corrotte da’ gentili e sopra tutti da’ greci.

1155[104]..... onde Pubblio Filone, che ne fu autore, ne fu detto «dittator popolare». Perocché ’l dittatore non si criava senonsé negli ultimi pericoli dentro o fuori della repubblica, e perciò si criava con somma monarchica potestá di poter riformare anco, se fusse di bisogno, lo Stato, conforme con la dittatura il cambiò, se non di Stato, certamente di governo, da libera in aristocratica, per cinque anni Silla. [CMA3] E ’l dittatore si preconizzava dal senato, perché il dicevano, non co’ verbi «creare» o «facere», come de’ consoli, pretori e d’altri maestrali, ma «dicere dictatorem »; ove i romani, sappientissimi delle cose dello Stato, intesero la forza monarchica della dittatura e che i monarchi si fanno da Dio e si acclaman dagli uomini. E perciò non solamente da dittatore, durando, non si appellava, né si rendeva ragione finita la dittatura, ma, riassumendo quello in sé tutti gl’imperi minori, sotto di lui, per dirla con l’elegante espressione latina, «omnes magistratus silebant». Lo che ben avvisò Tacito nel terzo motto degli Annali, ove dice «Dictaturae ad tempus sumebantur», usando una delle due formole de’ legati detti «per vindicationem», per ogniuna delle quali i legatari gli si prendevano di propia autoritá, né avevano bisogno di ricevergli dalla mano dell’erede, le quali formole erano «capito» ovvero «sumito». [SN2] Per le quali ragioni, essendo messa sú di nuovo con nuove rivolte cotal contesa d’intorno alla forma dello Stato popolare, per rassettarla se ne criò Ortensio dittatore, che confermò la legge publilia.

1156Le quali due leggi sono state finora guardate dagli eruditi interpetri della ragion romana per insegnar dalle cattedre a’ semplici giovinetti che con tali leggi fu data a’ plebisciti, o leggi tribunizie, forza eguale alle leggi consolari, e ci lasciarono la repubblica [p. 181 modifica] romana con due potestá somme legislatrici, indistinte ne’ distretti, nelle materie e ne’ tempi (che è un gran mostro di repubblica); perché non ne han saputo intendere il linguaggio: che, di ciò ch’avesse la plebe comandato con le leggi tribunizie, non potesse il popolo comandar il contrario con le leggi consolari. Lo che appresso sará da noi ad evidenza dimostrato di fatto: basta qui che vediamo un’idea per ipotesi.

1157[112] Con uguali passi, gli stessi tribuni s’avvanzarono nella potestá di comandare le leggi. Perocché prima i loro plebisciti non eran altro che dichiarazioni che faceva la plebe de’ nobili ad essolei esosi, perocché fussero gravi alla sua libertá, [CMA3] come aveva fatto a Coriolano. [SN2] Perché non poterono da principio certamente i loro plebisciti comandar pena, perché la plebe non aveva imperi; onde crediamo che i primi plebisciti romani sieno stati gli stessi che gli ostracismi d’Atene, co’ quali i chiari cittadini prendevansi per diece anni l’esiglio, e l’esiglio appo romani fin a’ tempi de’ principi non fu spezie di pena, ma scampo. Ma ne’ tempi di Filone dovettero giugnere i plebei a comandar leggi universali, [CMA3] come dalla storia delle leggi romane chiaramente apparisce averne di fatto comandate molte. [SN2] Quindi, essendo la repubblica romana caduta in questo grandissimo disordine, di nudrire dentro il suo seno due potestá, ..... ordinò che d’intorno a ciò che la plebe avesse comandato ne’ comizi tributi, ne’ quali prevalevano i plebei, siccome quelli da’ quali si davano i voti per teste, i quiriti, i romani in adunanza (ché tanto, propiamente, suona tal voce, né «quirite» nel numero del meno si è detto mai), fussero da’ plebisciti obbligati. Che è tanto dire quanto non potessero ordinare leggi a quelli contrarie ne’ comizi centuriati, ne’ quali prelevavan i nobili, siccome quelli ch’ivi davan i voti per patrimoni. [CMA4] Onde, perché ne’ comizi centuriati prevalevano i senatori, pesandovisi i voti per patrimoni, e ne’ comizi tributi prevalevano i plebei, numerandovisi i voti per teste, avevano la ragione i padri di lamentarsi, appo Livio, ch’avevano perduto piú in pace ch’acquistato in guerra quell’anno, nel quale pur fecero i romani molte e grandi conquiste. Per tutto ciò, essendo giá, per leggi nelle quali essi nobili erano convenuti.....

1158[115].....Il qual grand’effetto di cose romane, se non com’in sua propria cagione regge sulla ragion eterna de’ feudi (da noi scoverta nell’opera, schiarita nell’Annotazioni e molto piú [p. 182 modifica] avvalorata, come si vedrá, in questi libri), non sappiamo certamente qual via s’abbiano tutti i politici e tutt’i giureconsulti c’hanno scritto de iure publico da poterne uscir con onore; particolarmente con due luoghi, quanto per noi opportuni, tanto duri scogli ad essi da rompervi, entrambi di Cicerone. De’ quali uno è in una Catilinaria, dov’afferma che Tiberio Gracco con la legge agraria guastava lo stato della repubblica — [CMA3] lo che pur egli oratoriamente dice, spostandone il sentimento, ch’andava ben di séguito alla formola con la qual il consolo armava il popolo contro gli autori di cotal legge: «Qui rempublicam salvam velit, consulem sequatur» (quando sembra il senato turbar piú tosto lo Stato, che s’oppone al popolo, signore dell’imperio, che vuol disporre de’ campi da esso acquistati per forza d’armi nelle provincie) — [SN2] e che con ragione da Publio Scipione Nasica ne fu ammazzato. L’altro è nell’orazione a prò di Roscio Amerino, ove dice che Silla aveva iure gentium riportato vittoria di Mario.