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INTRODUZIONE 197
E per tutto questo libro si mostrerà che quanto prima avevano sentito d’intorno alla sapienza volgare i poeti, tanto intesero poi d’intorno alla sapienza riposta i filosofi; talché si possono quelli dire essere stati il senso e questi l’intelletto del gener umano. Di cui anco generalmente sia vero quello da Aristotile detto particolarmente di ciascun uomo: «NiMl est in intellecfu quin prius fuerit in sensu», cioè che la mente umana non intenda cosa della quale non abbia avuto alcun motivo (ch’i metafisici d’oggi dicono «occasione») da’ sensi, la quale allora usa l’intelletto quando da cosa che sente raccoglie cosa che non cade sotto de’ sensi; lo che propiamente a’ Latini vuol dir «intelligere» (a).
(a) [CMA^] Quindi esce questo gran corollario: che non sia materia della sapienza intiera, o sia universale, ciò di che la sapienza riposta [CMA*] de’ filosofi [Gif J.3] non n’ebbe l’occasioni dalla sapienza volgare [Cilf^*] de’ poeti; [C^ilf^S] onde l’ateismo, non già per sapienza, si ha a tenere per istoltezza e pazzia, poiché le prime nazioni, come dimostreremo, in tutte le cose oriate videro dèi, e poi i metafisici migliori, [CMA^] quali son i platonici, che ’n questa parte di filosofia furono gli più sublimi di tutti gli altri filosofi, [CW^^] da tutte le cose oriate intesero Dio.