La scapigliatura e il 6 febbrajo/Introduzione
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INTRODUZIONE.
In tutte le grandi e ricche città del mondo incivilito esiste una certa quantità di individui di ambo i sessi, fra i venti e i trentacinque anni, non più; pieni d’ingegno quasi sempre; più avanzati del loro tempo; indipendenti come l’aquila delle Alpi; pronti al bene quanto al male; irrequieti, travagliati,... turbolenti — i quali — o per certe contraddizioni terribili fra la loro condizione e il loro stato — vale a dire fra ciò che hanno in testa e ciò che hanno in tasca — o per certe influenze sociali da cui sono trascinati — o anche solo per una certa particolare maniera eccentrica e disordinata di vivere — o, infine, per mille altre cause, e mille altri effetti, il cui studio formerà appunto lo scopo e la morale del mio romanzo — meritano di essere classificati in una nuova e particolare suddivisione della grande famiglia sociale, come coloro che vi formano una casta sui generis distinta da tutte le altre.
Questa casta o classe — che sarà meglio detto — vero pandemonio del secolo; personificazione della follia che sta fuori dai manicomii; serbatoio del disordine, della imprevidenza, dello spirito di rivolta e di opposizione a tutti gli ordini stabiliti; — io l’ho chiamata appunto la Scapigliatura.
La qual parola prettamente italiana1 mi rese abbastanza bene il concetto di tal parte di popolazione, così diversa dall’altra pei suoi misteri, le sue miserie, i suoi dolori, le sue speranze, i suoi traviamenti, sconosciuti ai ricchi contenti, ai giovani dabbene, alle fanciulle guardate a vista, alle donne che amano il marito ed agli uomini serii che battono la strada maestra della vita, comoda, ombreggiata, senza emozioni, come senza pericoli.
La Scapigliatura è composta da individui di ogni ceto, di ogni condizione, di ogni grado possibile della scala sociale. Proletariato, medio ceto, e aristocrazia; foro, letteratura, arte e commercio; celibato e matrimonio; ciascuno vi porta il suo tributo, ciascuno vi conta qualche membro d’ambo i sessi; ed essa li accoglie tutti in un amplesso amoroso, e li lega in una specie di mistica consorteria, forse per quella forza simpatica che nell’ordine dell’universo attrae fra di loro le sostanze consimili.
La speranza è la sua religione; la fierezza è la sua divisa; la povertà il suo carattere essenziale. Non la povertà del pitocco che stende la mano all’elemosina, ma la povertà di un duca, a cui tocca di licenziare una dozzina di servitori, vendere molte coppie di cavalli, e ridurre a quattro le portate della sua tavola, perchè, fatti i conti coll’intendente, ha trovato di non aver più a questo mondo... che cinquantamila lire di rendita.
Come il Mefistofele del Nipote, essa ha dunque due aspetti, la mia Scapigliatura.
Da un lato: un profilo più italiano che milanese, pieno di brio, di speranza e di amore; e rappresenta il lato simpatico e forte di questa classe, inconscia della propria potenza, propagatrice delle brillanti utopie, focolare di tutte le idee generose, anima di tutti gli elementi geniali, artistici, poetici, rivoluzionari del proprio paese; che per ogni causa bella, grande, o folle balza d’entusiasmo; che del riso conosce la sfumatura arguta come lo scroscio franco e prolungato; che ha le lagrime d’un fanciullo sul ciglio, e le memorie feconde nel cuore.
Dall’altro lato, invece, un volto smunto, solcato, cadaverico; su cui stanno le impronte delle notti passate nello stravizzo e nel giuoco; su cui si adombra il segreto d’un dolore infinito... i sogni tentatori di una felicità inarrivabile, e le lagrime di sangue, e le tremende sfiducie, e la finale disperazione.
Nel suo complesso perciò la Scapigliatura è tutt’altro che disonesta. Se non che, come accade anche nei partiti politici, che gli estremi accolgono nel loro seno i rifiuti di tutti gli altri, anch’essa conta un buon numero di persone tutt’altro che oneste, le quali finiscono collo screditare la classe intera. Ma codesti signori sono come nel ferro le scorie; e c’è per essi un nome abbastanza conosciuto senza ricorrere alla Scapigliatura; e anch’io sarei tentato di dirli cavalieri d’industria o birbanti, se l’educazione non mi vietasse di chiamar chicchessia col suo vero nome. Ma appunto come tali, essi non hanno una fisonomia particolare, e si perdono in quella putrida vegetazione comune a tutti paesi del mondo — come i ladri e le spie — gente nata per lo più nel fango, e viventi nel fango del proprio mestiere senza perdono e senza poesia possibile.
Però la vera Scapigliatura, li fugge per la prima, e li rinnegherebbe ad alta voce se ella fosse conscia della propria esistenza.
Note
- ↑ Vedi tutti i Vocabolarj.