La testa di Cesare

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Gilbert Keith Chesterton - La saggezza di Padre Brown (1914)
Traduzione dall'inglese di Gian Dàuli (1930)
La testa di Cesare
V VII

Vi è a un certo punto di Brompton o Kensington, una interminabile via di alte case ricche ma in gran parte vuote che sembrano una spianata di tombe. Gli stessi scalini che conducono alle porte appariscono erti come lati di piramidi; cosicchè si esiterebbe a bussare alla porta per paura che una mummia venga ad aprire.

Ma un aspetto ancor più opprimente alla grigia facciata è conferito dalla sua telescopica lunghezza, d'una monotona continuità. Il viandante che la percorre pensa, a un certo punto, che non troverà mai un'apertura o un angolo; ma vi è una eccezione... una, veramente piccola, ma salutata dal viandante, quasi con un grido. Vi è una specie di scuderia padronale fra due degli alti palazzi, una semplice fessura simile allo spiraglio di una porta rispetto alla strada, ma abbastanza larga per ospitare una minuscola birreria o trattoria concessa dal ricco proprietario della casa ai suoi servi di scuderia. Vi è un che di allegro pure in quell'apparenza di molta sudiceria e un che di disinvolto e di vivace nell'aspetto insignificante di essa. Appiè di quei giganti di pietra grigia, essa sembra come una illuminata casa di nani.

Chiunque fosse passato per quel posto in una certa sera di autunno che aveva un aspetto quasi fatato, avrebbe potuto vedere una mano scostare la mezza tendina rossa, che, insieme con una larga insegna bianca, nascondeva per metà l'interno ed una faccia che dava un'occhiata fuori; una faccia che pareva quella d'un innocente folletto. In realtà, era la faccia di uno che si chiamava con l'innocuo ed innocente nome di Brown prima prete di Cobhole in Essex ed ora officiante in Londra. Il suo amico Flambeau, un investigatore quasi ufficiale era seduto di fronte a lui, prendendo le ultime annotazioni circa un caso su cui egli aveva fatto delle indagini nel vicinato. Erano seduti ad una piccola tavola vicino alla finestra, quando il prete tirò la tendina e guardò fuori. Aspettò che nella strada uno straniero oltrepassasse la finestra, e lasciò ricadere la tenda. Allora i suoi rotondi occhi si rivolsero alla linda bianca insegna della finestra sul suo capo e poi girarono alla tavola vicino alla quale sedeva solamente uno sterratore con birra e formaggio davanti, e una giovane donna dai capelli rossi con un bicchiere di latte sul tavolo. Allora (vedendo il suo amico riporre il taccuino) disse mollemente:

— Se avete dieci minuti di tempo libero, desidero che seguiate quell'uomo dal naso finto.

Flambeau alzò la testa con sorpresa, e la ragazza dai capelli rossi alzò anch'essa la testa con un'espressione che era più forte della meraviglia.

Essa era vestita semplicemente anzi neglettamente d'una stoffa da sacco color castagno chiaro, eppure era una signora e pareva anche, ad un secondo sguardo, una persona d'una certa alterigia.

— Chi è l'uomo dal naso finto? – ripetè Flambeau.

— Non saprei proprio – rispose Padre Brown. – Desidero che lo scopriate. Ve lo domando come un favore. Egli è passato qui sotto agitando il pollice sulla spalla con uno dei suoi gesti sconnessi... e credo che non possa aver oltrepassato tre fanali. Desidero soltanto conoscere dove è diretto.

Flambeau fissò il suo amico per qualche tempo, con una espressione tra perplessa e divertita, quindi, alzatosi da tavola, si contorse e si strinse per uscire dalla piccola porta della taverna nana e scomparve nel crepuscolo.

Padre Brown tirò fuori di tasca un piccolo libro e cominciò a leggere attentamente; egli non pareva punto accorgersi del fatto che la donna dai capelli rossi aveva lasciata la propria tavola e si era seduta davanti a lui. Alla fine, essa si inchinò e disse con una voce bassa e robusta:

— Perchè dite ciò? Come sapete voi che è finto?

Egli alzò le palpebre alquanto pesanti, che battè con evidente imbarazzo, e volse gli occhi dubbiosi verso la bianca insegna sul vetro della porta dell'osteria. Gli occhi della giovane donna lo seguirono e si fermarono anch'essi là; ma con grande imbarazzo.

— No – disse Padre Brown come se rispondesse ai pensieri di lei. – Non dice «Sela», come nei Salmi. Così ho detto anch'io sbadatamente, giusto ora, ma dice «Ales».

— Ebbene – chiese stupita la giovane signora. – Che importa ciò, che significa?

I suoi occhi meditanti errarono sulla manica di canovaccio chiaro della ragazza, intorno al cui polso correva un leggiadrissimo e artistico ricamo, sufficiente a far distinguere quel vestito dal vestito da lavoro di una donna ordinaria e a farlo sembrare il vestito da lavoro di una signora che s'occupasse di arte. Pareva trovare in esso molta materia di pensiero; ma la sua risposta fu molto lenta ed esitante.

— Vedete, signora – egli disse – visto di fuori, questo posto ha un buon aspetto; è molto decente... ma le signore come voi non pensano... non pensano generalmente così. Esse non vanno mai in posti come questi, di loro libera iniziativa, tranne che...

— Ebbene? – ripetè ella.

— Tranne alcune un po' sfortunate che non entrano per bere del latte.

— Voi siete una singolarissima persona – disse la giovane signora. – A che cosa mirate con tutto questo?

— Non vi preoccupate di ciò – rispose il prete molto gentilmente. – Voglio soltanto conoscere quanto occorre per aiutarvi, se crederete opportuno rivolgervi al mio aiuto.

— Ma perchè dovrei aver bisogno di aiuto?

Egli continuò il suo monologo di uomo che fantastica.

— Voi non potete essere venuta qui dentro per vedere dei protetti, degli umili amici e simili, altrimenti sareste penetrata nel salotto..., e voi non potete essere entrata perchè malata, chè in questo caso voi avreste parlato con la donna del locale che è evidentemente una donna rispettabile... d'altra parte voi non sembrate malata, ma solamente infelice... Questa strada è originale e unica nel suo genere, lunga e senza svolte, con le sue case addossate le une alle altre, ai due lati... Io potrei solamente supporre che voi abbiate visto qualcuno che veniva e che non volevate incontrare, e che siate entrata nella bettola come nel solo rifugio in questo deserto di pietra... Io non penso di essere andato oltre ciò che è permesso ad un estraneo, dando un'occhiata al solo uomo che è passato immediatamente dopo... Pensai che egli sembrava della specie cattiva... mentre voi sembravate della specie retta. E perciò mi tenevo pronto ad aiutarvi, se egli vi avesse dato noia; questo è tutto. Quanto al mio amico, egli tornerà presto, chè certamente non può trovare nulla di positivo in una strada come questa... Non credo proprio che egli possa.

— Allora perchè lo avete mandato fuori? – gridò essa piegandosi avanti con più fervida curiosità. Essa aveva quel viso fiero ed impetuoso che s'intona bene a un colorito rossiccio e a un naso romano, come li aveva Maria Antonietta.

Egli la fissò seriamente per la prima volta, e disse:

— Perchè speravo che mi parlaste.

Ella volse gli occhi a lui per qualche tempo, con una faccia accalorata nella quale era come una rossa ombra di collera; e, malgrado la sua ansietà, l'ironia sprizzò dai suoi occhi e dagli angoli della bocca. Poi rispose quasi aspramente:

— Ebbene, se mostrate tanta perspicacia nel giudicare la mia conversazione, forse risponderete alla mia domanda.

E dopo una pausa, aggiunse:

— Ho l'onore di domandarvi perchè avete pensato che il naso di quell'uomo era falso.

— La cera macchia sempre, come quella appunto, anche a causa del tempo – rispose Padre Brown con la massima semplicità.

— Ma è fatto così, è un naso storto – rispose la ragazza dai capelli rossi.

Il prete sorrise a sua volta.

— Io non dico che sia un tipo di naso che uno non possa portare – ammise. – Quell'uomo, io penso, lo porta perchè il suo vero naso è molto più corretto.

— Ma perchè? – essa insistè.

— Sapete la canzone della nutrice? – osservò Brown distrattamente. – C'era un uomo storto, che seguì, perciò, un cammino storto. Quell'uomo, immagino, ha seguito una strada molto storta... per seguire il suo naso.

— Perchè? che cosa ha fatto? – domandò la fanciulla alquanto turbata.

— Non voglio menomamente forzare le vostre confidenze – disse Padre Brown molto tranquillamente – ma penso che voi potreste dirmi in proposito molto di più di quanto io possa dire a voi.

La ragazza balzò in piedi e rimase immobile, ma con le mani strette come sul punto d'andar via; poi aprì lentamente le mani e sedette nuovamente...

— Voi siete un mistero imbarazzante più di tutti gli altri – disse disperatamente; – ma sento che vi può essere del cuore nel vostro mistero.

— La cosa che noi temiamo di più – disse il prete a bassa voce – è un labirinto senza centro. Ecco perchè l'ateismo è soltanto un incubo.

— Vi confesserò ogni cosa – disse fermamente la ragazza dai capelli rossi – tranne perchè ve lo dico; questo non lo so. – E pizzicando la rabberciata tovaglia, continuò: – Sembra che voi conosciate sia ciò che non è basso e volgare, sia ciò che lo è; ora, quando vi dico che la nostra è una buona vecchia famiglia, potete comprendere che questo particolare è una parte necessaria del racconto; difatti il mio danno principale è derivato dalle severe e rigide idee di mio fratello: noblesse oblige: questo è tutto. Ebbene, io mi chiamo Christabel Carstairs; mio padre era quel Colonnello Carstairs del quale probabilmente voi avrete sentito parlare, come raccoglitore della famosa collezione Carstairs di monete romane. Io non potrei descrivervi mio padre. La cosa più precisa che posso dirvi è che egli era proprio come una moneta romana: gentiluomo schietto e stimabile come un metallo di antica data. Era più orgoglioso della sua collezione che del suo stemma... che è tutto dire. Il suo eccezionale carattere si manifestò totalmente nel testamento ch'egli fece. Aveva due figli ed una figlia. Egli ebbe questione con un figlio, mio fratello Giles, e lo mandò in Australia con un piccolo assegno. Allora egli fece testamento lasciando tutta la collezione Carstairs, con un piccolo assegno, a mio fratello Arturo. Egli intendeva ciò come un premio, come il più alto onore che egli potesse offrire in riconoscimento della rettitudine di Arturo e dei titoli che egli aveva già guadagnati in scienze matematiche ed economiche a Cambridge. A me lasciò tutto il suo largo patrimonio, ch'egli, son sicura, teneva in dispregio.

«Arturo, come potete immaginare, aveva ragione di dolersi di ciò; ma Arturo è mio padre redivivo. Benchè egli avesse avuto qualche screzio con mio padre nella prima gioventù, non appena assunse la responsabilità della collezione, divenne come un prete pagano addetto ad un tempio. Unì ai centesimi romani l'onore della famiglia Carstairs nella stessa rigida idolatrica maniera come suo padre prima di lui. Agì come se le monete romane dovessero essere custodite da tutte le virtù romane. Non si abbandonò a nessun divertimento, non spese niente per sè stesso; ma visse per la collezione. Spesso evitava persino il disturbo di vestirsi per consumare i suoi pasti frugali; ma si aggirava tra i pacchi di carta di imballaggio legati, (che a nessun altro era permesso toccare) in una vecchia veste da camera color marrone. Il suo cordone, la sua nappina ed il suo viso pallido magro e affinato lo facevano sembrare un vecchio monaco ascetico. Del resto, di tanto in tanto egli voleva apparire vestito come un perfetto gentiluomo alla moda: ma ciò gli accadeva soltanto quando andava nelle aste pubbliche o nelle botteghe di Londra per arricchire la sua Collezione Carstairs. Ora, se avete conosciuto la psiche delle persone giovani, non sarete sorpreso se vi dico che io mi ero abituata ad una piuttosto volgare disposizione di spirito verso tutto ciò: la disposizione di spirito nella quale uno comincia a dire che gli antichi romani erano tutti molto bravi nelle loro cose. Ma io non sono come mio fratello Arturo; non posso fare a meno di andare fino in fondo ai miei godimenti. Io ho ereditato alcunchè di romantico e di fantastico dalla parte dalla quale ereditai i miei capelli rossi; dall'altro ramo della famiglia. Il povero Giles era lo stesso: e penso che l'influenza delle monete potrebbe essere una scusa per lui; benchè egli realmente si sia comportato molto male, e poco sia mancato che non andasse in prigione. Ma egli non fece peggio di me, come sentirete.

«Vengo ora alla parte semplice del racconto. Penso che un uomo abile come voi sappia indovinare quali cose possono cominciare a mitigare la monotonia della vita per una fanciulla turbolenta di 17 anni messa in simili condizioni. Ma io sono così scossa da cose più terribili, che posso appena leggere nei miei sentimenti personali; e non so se io li disprezzi ora come un flirt o li sopporti come può un cuore spezzato. Noi abitavamo allora in una piccola stazione balneare in riva al mare, nel South Wales. A pochi passi da noi abitava un capitano di mare, a riposo, che aveva un figlio, di circa 5 anni maggiore di me, il quale era stato amico di Giles prima che egli andasse nelle Colonie. Il suo nome non importa pel mio racconto; ma a voi dico che si chiamava Filippo Hawker, giacchè sono disposta a dire ogni cosa. Eravamo soliti andare a prendere insieme i granchiolini e dicevamo e pensavamo di essere innamorati l'uno dell'altro: almeno egli certamente diceva che lo era ed io certamente pensavo di esserlo. Egli aveva i capelli ricci e castani ed una specie di faccia di falco abbronzata dal mare, e vi dico questo non per amore di lui, ve l'assicuro, ma per il racconto, perchè questo particolare fu causa di una curiosissima coincidenza. Un dopo pranzo d'autunno, avendo promesso di andare a prendere i granchiolini lungo le sabbie con Filippo, io aspettavo alquanto impaziente alla porta del salotto e guardavo Arturo che maneggiava dei pacchi di monete che appunto aveva comprato e lentamente riponeva, una o due per volta, nel suo oscuro studio o museo nella parte posteriore della casa. Appena sentii chiudersi finalmente la pesante porta dietro di lui, feci un pacchetto della mia reticella da granchiolini e stavo appunto per correre fuori quando vidi che mio fratello s'era dimenticato una moneta scintillante sul lungo banco presso la finestra. Era una moneta di bronzo, e quel colore dava risalto alla curva precisa del naso romano e forte rilievo al lungo e nerboruto collo, che faceva della testa di Cesare sulla moneta il quasi preciso profilo di Filippo Hawker.

«Allora improvvisamente ricordai che Giles aveva parlato a Filippo di una moneta con una testa che rassomigliava a quella dell'amico, e che Filippo desiderava avere. Forse voi potete immaginare i disordinati e folli pensieri che girarono nella mia testa. Mi pareva di avere avuto un regalo dalle fate. Mi sembrò che se avessi potuto correr fuori con la moneta e donarla a Filippo come una specie di strano regalo nuziale, avrei stretto un legame fra noi per sempre. Ad un tratto mille pensieri simili sentii nella mente. Allora mi apparve come in un abisso la visione dell'atto enorme e spaventevole che stavo per fare; soprattutto l'insopportabile pensiero, che era come il tocco d'un ferro rovente, di ciò che Arturo avrebbe pensato. Una Carstairs, ladra, e ladra del tesoro dei Carstairs!

«Credo che mio fratello mi avrebbe bruciata come una strega per una cosa simile. Ma allora il solo pensiero di una simile fanatica crudeltà accrebbe il mio vecchio odio per quell'oscuro affaccendamento d'antiquario e la mia brama della giovinezza e della libertà che mi chiamavano dal mare. Fuori, c'era, nel vento, una vivace luce di sole, e qualche ginestra o ginestrone, nel giardino, batteva contro il vetro della finestra. Io ero ossessionata dal pensiero di quell'oro vivente e crescente che mi chiamava da tutte le parti... pensai poi a quei morti e cupi ori, bronzi e ottoni di mio fratello che diventavano sempre più polverosi col passare del tempo.

«La natura e la collezione Carstairs erano finalmente venute a lotta. La Natura è più antica della collezione Carstairs.

«Così corsi giù per le vie al mare con la moneta stretta in pugno; sentivo tutto l'Impero Romano sulle mie spalle e con esso la stirpe dei Carstairs. Non era soltanto il vecchio leone d'argento che ruggiva nel mio orecchio, ma tutte le aquile dei Cesari parevano battere le ali e strillare al mio inseguimento. Eppure il mio cuore si sollevava sempre più in alto come un aquilone di bambino, mentre io valicavo le libere aride dune verso le sabbie basse ed umide dove Filippo stava già con le caviglie immerse nell'acqua poco profonda e lucente, qualche centinaio di metri fuori. Nel vasto rosso tramonto, la lunga estensione dell'acqua bassa che giungeva appena alla caviglia, era per mezzo miglio come un lago fiammante di rubino. Non appena mi fui tolte le calze e le scarpe, entrai nell'acqua e mi diressi verso di lui, ben fuori dalla terra arida che io lasciavo e vedevo intorno. Eravamo perfettamente soli in un cerchio d'acqua di mare e di umida arena; ed io gli detti la testa di Cesare.

«In quel preciso istante ebbi la fantastica sensazione che un uomo, lontano, fuori, sulle dune stesse a guardarmi intensamente. Debbo aver avvertito immediatamente dopo, che si trattava di un irragionevole urto di nervi, perchè l'uomo era solamente un punto scuro nella distanza; ed io potevo appunto vedere soltanto che egli stava in assoluta immobilità e con la testa piegata un po' da un lato. Non vi era alcuna prova logica che egli guardasse me; poteva guardare una nave o il tramonto o i gabbiani o qualunque altra persona che girasse qua o là sulla spiaggia in mezzo a noi. Pure, comunque fosse, la commozione sopravvenutami fu profetica; perchè appena lo fissai, egli si mosse e camminò svelto verso di noi attraverso le larghe umide arene.

«A misura che si avvicinava vidi che egli era scuro e barbuto e che i suoi occhi erano segnati da scuri occhiali. Era vestito poveramente ma rispettabilmente in nero, dalla cima del vecchio cappello nero alle solide nere scarpe che aveva ai piedi. Malgrado questo ostacolo, egli camminava diritto dentro il mare senza la minima incertezza, e veniva incontro a me con la precisione di una palla.

«Non vi dirò quale senso di mostruosità e di soprannaturale provassi quando egli così silenziosamente oltrepassò e ruppe il limite fra la terra e l'acqua. Era come se egli avesse camminato diritto sopra un precipizio e marciasse ancora sicuramente nell'aria, o come se una casa si fosse mossa nel cielo o una testa d'uomo si fosse staccata. Egli si bagnava solo le scarpe, ma sembrava un demonio che violasse una legge di Natura. Se avesse esitato un momento al margine dell'acqua, sarebbe stato niente, ma egli sembrava guardare soltanto me come se non vedesse l'oceano. Filippo era qualche metro lontano, davanti a me, con la schiena chinata sulla sua rete. Lo straniero avanzò sino a meno di due metri da me, e si fermò nell'acqua che gli ondeggiava intorno a metà dei ginocchi. Allora egli disse con voce chiara modulata e alquanto affettata: «Vi incomoderebbe restituire a chi spetta una moneta che non vi è stata consegnata?» Tranne un particolare, non vi era niente che potesse definirsi anormale in lui. I suoi occhiali colorati erano opachi ma di una tinta bleu abbastanza comune; nè gli occhi dietro di essi apparivano scaltri, ma mi guardavano costantemente. Quell'uomo aveva la barba scura o incolta, ma sembrava piuttosto capelluto, perchè la barba cominciava molto in alto nella sua faccia proprio sotto le ossa frontali. La sua carnagione non era nè pallida nè livida ma al contrario piuttosto chiara e giovanile, conferendogli un roseo e bianco aspetto di cera che in qualche modo (non so perchè) accresceva alquanto l'orrore. Sola singolarità della sua persona il naso, per altro di buona forma, ma leggermente storto, come se, essendo malleabile, fosse stato leggermente battuto da un lato, con un martelletto. Non appariva però come una grossa deformità; pure, io non saprei dirvi quale opprimente incubo fosse per me. Mentre se ne stava là nell'acqua colorata del tramonto, mi fece l'impressione di qualche diabolico mostro marino sorto ruggente dal mare sanguigno. È strano come quella particolarità del naso dovesse commuovere tanto la mia immaginazione. Mi sembrava che egli potesse muovere il suo naso come un dito; e quasi che egli si fosse messo quel naso giusto in quel momento.

«— Un piccolo aiuto – continuò egli con lo stesso strano accento – può farmi rinunziare alla necessità di comunicar la cosa alla famiglia.

«Allora mi assalì il pensiero che io stessi per essere imprigionata pel furto del pezzo di bronzo; e tutti i miei superstiziosi timori e dubbi furono sopraffatti da una prepotente quistione pratica. Come poteva egli avere scoperto la cosa? Avevo rubato la moneta per un improvviso impulso, e quando avevo fatto ciò ero certamente sola, così che avevo agito con la sicurezza di non essere osservata fuggendo in cerca di Filippo in quel posto. Non ero stata, secondo le apparenze, seguita per la strada, e anche se lo fossi stata, non si poteva certo radiografare coi raggi X la moneta che tenevo nella mia mano chiusa. L'uomo che stava fermo sulle dune non poteva aver visto ciò che io avevo dato a Filippo, allo stesso modo che è impossibile sparare ad una mosca proprio in un occhio, come fa l'uomo nel racconto di fate.

«— Filippo, – gridai senza cercare altro scampo, – chiedete a quest'uomo che cosa vuole.

«Quando Filippo finalmente alzò la testa dalla rete che stava rammendando, sembrò arrossire alquanto, come se fosse imbronciato o confuso; ma ciò poteva essere effetto dello sforzo di curvarsi e il riflesso della rossa luce della sera; o soltanto effetto d'un'altra delle morbose fantasie che sembravano danzare intorno a me. Egli disse aspramente all'uomo: «Via di qui.» E invitandomi a seguirlo, si allontanò nell'acqua verso terra, senza porgere attenzione all'altro. Salì sopra una diga di pietra che si stendeva lungo le profonde dune, dirigendosi verso casa; forse pensando che il nostro incubo potesse essere più ostacolato nel cammino sopra quelle ruvide pietre verdi e sdrucciolevoli a causa delle alghe, mentre noi eravamo giovani ed avvezzi a quell'esercizio. Ma il mio persecutore camminava colla stessa tranquillità con la quale discorreva, e mi seguiva nuovamente scegliendo la via e le frasi. Io sentivo la sua molle odiosa voce rivolgersi a me sopra la mia spalla, finchè da ultimo quando noi avemmo superato le dune, la pazienza di Filippo (che non si era mostrata grande, in varie occasioni), sembrò venire meno. Egli si voltò improvvisamente dicendo: – Tornate indietro. Non posso parlarvi, ora.

«E come l'uomo rimaneva sospeso ed apriva la bocca, Filippo lo colpì con uno schiaffo che lo mandò a rotolare giù dalla cima della più alta duna. Lo vidi al basso strisciar fuori carponi, ricoperto di sabbia.

«Quel colpo mi confortò alquanto benchè potesse accrescere il mio pericolo, ma Filippo non mostrava alcun segno della sua abituale soddisfazione per una prodezza di quel genere. Sebbene affettuoso come sempre, egli appariva depresso e prima che potessi domandargli qualche cosa, giunto alla sua porta, si separò da me con due osservazioni che mi colpirono per la loro stranezza. Egli disse che, tutto considerato, io dovevo rimettere la moneta nella Collezione, ma che per il momento era bene che la tenesse lui. E aggiunse improvvisamente e con tono d'indifferenza:

«— Sapete che Giles è tornato dall'Australia?»

La porta della taverna si aprì e l'ombra gigantesca dell'investigatore Flambeau si abbattè sulla tavola. Padre Brown lo presentò alla signora con uno di quei suoi discorsi disinvolti e persuasivi che rivelavano la sua esperienza e simpatia in tali casi; e la ragazza quasi senza rendersene conto, incominciò a ripetere la sua storia ai due ascoltatori.

Ma Flambeau, mentre salutava e sedeva, consegnava al prete un piccolo pezzo di carta. Brown lo accettò con una certa sorpresa e lesse sopra di esso: «Cab to Wagga Wagga 379 Mafeking Avenue Putney»; mentre la ragazza andava avanti con la sua storia.

— Io risalii la ripida strada alla mia casa col cuore agitato, che non si calmò neppure quando giunsi al gradino della soglia sul quale trovai un secchio di latte... e l'uomo dal naso storto. Il secchio di latte mi fece capire che i domestici erano tutti fuori, cosicchè naturalmente Arturo che girellava nella sua bruna veste da camera dentro l'oscuro studio, non aveva sentito o risposto ad una suonata. Perciò nella casa non v'era nessuno che mi aiutasse tranne mio fratello il cui aiuto doveva essere la mia rovina.

«Nella disperazione, ficcai due scellini nella mano dell'orribile essere e gli dissi di tornare fra pochi giorni quando io avessi considerato ciò a fondo. Egli andò via di malumore ma più umilmente di quel che non mi aspettassi... Forse era stato scosso dalla caduta... Io osservai la stella di sabbia schizzata sul suo dorso mentre egli si allontanava per la strada con un orrido piacere di vendetta. Svoltò all'angolo circa sei case in giù.

«Allora entrai, feci il mio tè e tentai di non pensarci più. Mi misi a sedere alla finestra del salotto che guardava sul giardino ancora rosseggiante per l'ultima luce della sera.

«Ma ero troppo distratta e svagata dal sogno per guardare i praticelli, i vasi di fiori, le aiuole, con qualche attenzione. Così, ricevetti il colpo con più violenza.

«L'uomo o il mostro che avevo mandato via stava nuovamente fermo in mezzo al giardino. Oh, noi tutti abbiamo letto una quantità di cose circa i pallidi fantasmi nell'oscurità, ma questo era più spaventevole di qualunque cosa del genere. Perchè, sebbene egli gettasse una lunga ombra serale, rimaneva ancora fisso nella calda luce del sole, e la sua faccia non era pallida ma aveva ancora quella specie di velatura cerea propria di un manichino di barbiere. Se ne stava perfettamente immobile, con la faccia rivolta verso di me; e non saprei dirvi quanto orribile apparisse tra i tulipani e fra tutti quei fiori alti e gai che quasi sembravano di serra. Si sarebbe detto che noi avessimo innalzato una statua di cera al posto di una statua marmorea nel centro del nostro giardino.

«Nondimeno, quasi al momento in cui egli mi vide muovere alla finestra, si voltò e corse fuori del giardino per la porta posteriore rimasta aperta, e per la quale egli era senza dubbio entrato. Questa ripetuta timidezza da parte sua era così diversa dall'impudenza con la quale era entrato in acqua, che io mi sentii vagamente confortata. Immaginai ch'egli forse temeva il confronto con Arturo più di quanto io credessi. Ad ogni modo finii per acquetarmi, potei pranzare tranquillamente sola, essendo contro le regole disturbare Arturo quando stava riordinando il suo museo, e i miei pensieri un po' liberati corsero a Filippo, credo smarrendosi anch'essi. Comunque, stavo a guardare senza tristezza da un'altra finestra senza tende ma in quel momento oscura come una lavagna perchè annottava. Mi parve che qualche cosa come una lumaca fosse sopra la parte esterna del vetro della finestra. Ma quando fissai più attentamente distinsi come un pollice d'uomo compresso sul vetro; qualche cosa che aveva la curva forma di un pollice.

«Con paura e coraggio insieme, mi precipitai alla finestra e poi retrocedetti con un grido soffocato che solo Arturo dovette aver sentito. Perchè non era un pollice e nemmeno una lumaca, quella cosa, ma la punta di un naso storto schiacciato contro il vetro e come sbiancato dalla pressione. La faccia stralunata e gli occhi dietro il vetro, al primo momento invisibili, mi apparvero poi grigi come quelli di uno spettro. Sbatacchiai insieme gli scuri alla meglio, mi precipitai nella mia camera e mi rinchiusi dentro.

«Ma nel passare vidi, potrei giurarlo, una seconda finestra con sopra qualcosa che pure somigliava a una lumaca.

«Forse, in fine dei conti, era meglio andare da Arturo. Se quell'essere strisciava intorno alla casa come un gatto, poteva avere propositi anche peggiori che quello di accusare. Mio fratello invece poteva scacciarmi e maledirmi per sempre, ma era un gentiluomo e mi avrebbe difeso senz'altro. Dopo dieci minuti di strani pensieri, andai giù e bussai alla porta, poi entrai per vedere l'ultimo e peggiore spettacolo.

La sedia di mio fratello era vuota ed egli evidentemente era fuori. Ma l'uomo dal naso storto era seduto e aspettava il suo ritorno, tenendo insolentemente il cappello in testa, e leggendo un libro di mio fratello sotto la lampada di mio fratello. La sua faccia era calma e intenta, ma la punta del naso aveva l'aria d'essere la parte più mobile della sua faccia, come se egli l'avesse appunto voltato da sinistra a destra come la proboscide di un elefante. L'avevo giudicato abbastanza velenoso mentre egli mi perseguitava e mi spiava. Ma penso che il fatto ch'egli era inconscio della mia presenza fosse più terribile ancora.

«Mi pare d'aver gridato forte ed a lungo; ma ciò non importa. Ciò che importa è ciò che feci in seguito. Io detti a lui tutto il denaro che avevo includendo una buona quantità di biglietti che benchè fossero miei, non avevo il diritto di toccare.

«Egli se ne andò finalmente con odiosi garbati rammarichi, espressi con lunghe parole ed io sedetti sentendomi stanca in ogni senso. Eppure quella sera m'ero salvata per puro caso. Arturo era partito improvvisamente per Londra, come egli spesso faceva per affari, e ritornò tardi ma raggiante, essendosi assicurato un tesoro che costituiva un nuovo splendore aggiunto alla collezione di famiglia. Egli era così raggiante che mi sentii quasi incoraggiata a confessare la sottrazione della gemma minore; ma egli sopraffece ogni altro argomento con i suoi progetti onnipotenti. Perchè l'affare poteva ancora mancare in ogni momento, insistè che io facessi il bagaglio all'istante e andassi via con lui in un alloggio che egli aveva già preso il Fulham, per essere vicino alla bottega di antichità in questione. Così, senza volerlo fuggii dal mio nemico nel silenzio della notte... ma anche... da Filippo. Mio fratello era spesso al South Kensington Museum, come per formarsi una seconda vita; mi iscrissi per alcune lezioni alla Scuola d'Arte. Tornavo da essa stasera quando ho visto l'abbominevole e squallido figuro che camminava svelto per questa via lunga e diritta; il resto è come questo signore ha detto.

«Io ho soltanto una cosa da osservare. Non merito di essere aiutata e non fo questione e non mi lagno della mia punizione; è giusta; così doveva avvenire. Ma ancor oggi mi domando, torturandomi il cervello, come ciò può essere avvenuto. Sono io punita per miracolo? O come può qualcuno, salvo Filippo e me stessa, sapere che diedi a lui la piccola moneta in mezzo al mare?

— È un problema straordinario – ammise Flambeau.

— Non tanto straordinario come la risposta – osservò Padre Brown, alquanto tetramente. – Miss. Carstairs sarete a casa, se noi veniamo a trovarvi a Julh, fra un'ora e mezzo?

La ragazza lo guardò, poi si alzò e:

— Sì – disse mettendosi i guanti – ci sarò – e quasi subito lasciò il luogo.

Quella notte il detective ed il prete stavano ancora parlando dell'argomento, quando si avvicinavano alla casa di Fulham, un casamento troppo misero anche per una residenza temporanea della famiglia Carstairs.

— Naturalmente, una superficiale riflessione – disse Flambeau – induce a pensare anzitutto al fratello australiano, che prima è stato negl'impicci, e poi torna così improvvisamente ed è appunto capace d'avere bassi complici. Ma io non riesco a comprendere per quanto mi sforzi di pensare, come egli possa entrare nella casa, a meno che...

— Ebbene? – gli domandò il compagno pazientemente.

Flambeau abbassò la voce.

— Salvo che l'amante della ragazza vi entri anch'egli e in questo caso sarebbe il più nero mascalzone. Il giovanotto australiano sapeva che Hawker voleva la moneta. Ma non posso capire in che modo gli riuscisse di sapere che Hawker l'aveva ottenuta; a meno che Hawker l'abbia regalata a lui od al suo rappresentante attraverso la spiaggia.

— Questo è vero – assentì il prete deferente.

— Avete voi osservato un'altra cosa – soggiunse Flambeau energicamente; – questo Hawker sentì insultare la sua innamorata ma non colpì sino a quando non fu giunto sulle arene molli dove egli poteva essere vincitore in una lotta simulata. Se avesse colpito in mezzo agli scogli o sul mare, avrebbe potuto far danno al suo compare.

— Anche questo è vero – disse Padre Brown chinando la testa.

— Ed ora prendete la cosa dal principio. Essa avviene fra poche persone: tre almeno. Occorre una persona perchè avvenga un suicidio, ne occorrono due per un assassinio, ma almeno tre per accusare.

— Perchè? – domandò il prete dolcemente.

— È così evidente – gridò il suo amico; – occorre uno per essere smascherato, uno per minacciare lo smascheramento ed uno infine che sarebbe la vittima dello smascheramento.

Dopo una lunga e pensosa pausa, il prete disse:

— Voi omettete un trapasso logico. Tre persone sono necessarie per ideare il delitto, due sono necessarie come attori.

— Che cosa intendete? – chiese l'altro.

— Perchè un denunziatore – domandò a bassa voce Brown – non potrebbe minacciare la sua vittima? Supponete che una moglie sia diventata una rigida bevitrice d'acqua allo scopo di intimorire suo marito dissimulando la sua frequenza nelle osterie e che poi gli abbia scritte lettere anonime accusatrici minacciando di dirlo a sua moglie! Perchè non servirebbe ciò? Supponete un padre che abbia proibito al figlio di giocare e poi, seguendolo travestito, minacci il ragazzo della propria dissimulata severità paterna! Supponete... ma, siamo giunti, amico mio.

Una svelta figura scese correndo i gradini della casa e mostrò sotto la luce d'oro dei lampioni una testa che somigliava, evidentemente, alla moneta romana.

— Miss Carstairs – disse Hawker senza cerimonie – non ha voluto entrare finchè voi non foste venuti.

— Bene – osservò Brown confidenzialmente – non pensate che la miglior cosa che essa possa fare è di fermarsi fuori... con voi, per proteggerla? Voi vedete che io intuisco come voi abbiate indovinato tutto questo da voi.

— Sì – disse il giovane a bassa voce. – L'ho indovinato sulle sabbie, ed ora lo so; e per questo lo feci cadere sul morbido.

Presa una piccola chiave della porta d'entrata dalla ragazza e la moneta da Hawker, Flambeau entrò egli stesso col suo amico nella casa e passò nel salotto più interno.

C'era una persona. L'uomo che Padre Brown aveva visto oltrepassare la taverna era in piedi contro il muro come in guardia; non era mutato in nulla, senonchè s'era tolto il suo nero abito ed indossava ora una veste da camera color marrone.

— Noi siamo venuti – disse Padre Brown cortesemente – per rendervi questa moneta di vostra proprietà. – Ed egli riconsegnò la moneta all'uomo dal naso finto.

Gli occhi di Flambeau apparvero stralunati.

— Quest'uomo è un collezionista di monete? – chiese egli.

— Quest'uomo è Mister Arturo Carstairs – disse il prete, con sicurezza – ed è un collezionista di monete in una maniera alquanto singolare.

L'uomo mutò colore in modo così orribile, che il naso storto risaltò sulla faccia come una cosa estranea e comica. Tuttavia parlò con una specie di disperata dignità.

— Voi vedrete allora – egli disse – che non ho perduto tutte le qualità di famiglia. – Si voltò all'improvviso ed andò a grandi passi in una stanza interna sbatacchiando la porta.

— Fermatelo – gridò Padre Brown, saltando e quasi cadendo sopra una sedia; e dopo uno o due scossoni, Flambeau riuscì ad aprire la porta. Ma era troppo tardi. In un silenzio di morte, Flambeau corse dall'altra parte e telefonò per il medico e per la polizia.

Una bottiglia vuota era rotolata sul pavimento. Attraverso la tavola, il corpo dell'uomo dalla veste da camera color marrone giaceva in mezzo ai suoi sfondati e spalancati pacchetti di carta da imballaggio, fuori dei quali si rovesciavano e rotolavano, non monete romane, ma monete inglesi molto moderne.

Il prete prese la testa di bronzo di Cesare.

— Questo – disse – è tutto quanto resta della Collezione Carstairs.

Dopo un silenzio aggiunse con una eccessiva gentilezza:

— Fu un crudele testamento che il suo triste padre fece, e voi vedete che egli ne ha risentito un po'. Egli odiò le monete romane che aveva e divenne più appassionato della moneta attuale a lui rifiutata. Non solo vendette la collezione pezzo per pezzo, ma s'abbassò ricorrendo ai mezzi più vili per far denaro... sino al punto d'accusare la propria famiglia, dopo essersi travestito. Egli accusò suo fratello dell'Australia, del piccolo dimenticato delitto (e perciò prese la vettura a Wagga-Wagga in Putney); accusò sua sorella del furto che solamente egli poteva svelare. E appunto per questo, essa ebbe quella soprannaturale visione quando egli apparve sulle dune. La sola andatura di qualcuno, per distante ch'egli sia, serve a rammentarcelo più facilmente che non una faccia vicina ma ben truccata.

Seguì altro silenzio.

— Bene – borbottò il detective; – e così, questo grande numismatico e collezionista non era altro che un volgare avaro.

— Vi è dunque tanta differenza fra i due? – domandò Padre Brown con lo stesso strano tono indulgente. – Che si può dir di male di un avaro che non si possa parimenti dire d'un collezionista? Che cosa c'è di male tranne questo che tu non farai di te stesso nessuna immagine incisa, tu non ti prostrerai davanti ad essa nè la servirai perchè io... ma noi dobbiamo andarcene, e guardate un po' come quei poveri giovani se la intendono.

— Io credo – disse Flambeau – che a dispetto di tutto, se la intenderanno molto bene.