La parrucca purpurea

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Gilbert Keith Chesterton - La saggezza di Padre Brown (1914)
Traduzione dall'inglese di Gian Dàuli (1930)
La parrucca purpurea
VI VIII

Mister Edward Nutt, l'industrioso editore del The Daily Reformer, sedeva allo scrittoio aprendo lettere e segnando bozze fra l'allegro ticchettìo di una macchina da scrivere adoperata da una vigorosa giovane donna.

Era un uomo biondo e robusto e stava in maniche di camicia; aveva movimenti risoluti e la bocca ferma dai toni decisi; ma i rotondi occhi celesti piuttosto infantili avevano uno sguardo sbalordito e pensoso che contrastava alquanto col resto della persona. Nè per verità l'espressione era del tutto fallace. Poteva veramente dirsi di lui, come di tanti giornalisti autorevoli, questo: che la sua solita preoccupazione era un continuo timore di processi di diffamazione, timore di inserzioni perdute, timore di errori di stampa, timore di licenziamento. La sua vita era una serie di disordinati compromessi fra il padrone del giornale e padrone suo, un vecchio saponaio, e l'abilissimo personale che egli aveva riunito nel servizio del giornale, del quale personale alcuni erano uomini brillanti di esperienza e (quest'era il peggio) entusiasti sinceri del carattere politico del giornale.

Una lettera di uno di loro era posata proprio davanti a lui, che, pur essendo rapido e risoluto, sembrava esitante prima di aprirla. Infatti prese una bozza, la scorse con un occhio blù ed un lapis blù, sostituì alla parola «adulterio» la parola «sconvenienza» e a «ebreo» «forestiero»; suonò il campanello e la mandò al piano di sopra.

Poi guardando con occhio più pensieroso aprì la lettera di uno dei suoi più distinti collaboratori, una lettera col timbro postale di Devonshire e dal seguente contenuto:

«Caro Nutt. Siccome veggo che vi state occupando di spettri e di spiriti nello stesso tempo, desidero sapere che cosa pensereste di un articolo sopra quello strano affare degli Eyres di Exmoor, o, come le vecchie donne di qui lo chiamano, l'Orecchio del diavolo di Ayre. Sapete che il capo della famiglia è il Duca di Exmoor, uno dei pochi vecchi Tory rimasti, un vecchio rigido e tirannico, che ottimamente gioverà al nostro sistema di far rumore intorno. E credo di essere sulla traccia di una storia che farà gran chiasso. Naturalmente non credo nella vecchia leggenda intorno a Giacomo I; così come voi, che non credete in nessuna cosa nemmeno nel giornalismo. La leggenda che voi probabilmente ricordate, riguarda il più oscuro dramma della storia inglese... l'avvelenamento di Overbury da parte di quel gatto di strega Frances Howard, e il misterioso terrore che forzò il Re a perdonare agli assassini. Concorsero una quantità di stregonerie e si diffuse la diceria che un domestico ascoltando da un buco della serratura avesse appresa la verità in una conversazione tra il Re e Carr, e che l'orecchio col quale egli ascoltò fosse diventato grande e mostruoso come per magia: così terribile era il segreto. E come, benchè egli fosse stato caricato di terre e d'oro, e divenuto un antenato di duchi, l'orecchio di forma fatata fosse rimasto, riprodotto tale e quale, nella famiglia. Ebbene, voi non credete nella magia nera; e se credeste non la terreste per modello. Se un miracolo accade nel vostro ufficio voi lo fate passare sotto silenzio, allo stesso modo che molti vescovi sono agnostici. Ma questo non è il punto. Il punto è che realmente vi è qualche cosa di sorprendente intorno ad Exmoor ed alla sua famiglia; qualche cosa di perfettamente naturale, oso dire, ma di perfettamente anormale.

E quell'orecchio, credo, della diceria, vi entra in qualche modo, come un simbolo o effetto di delusione o di malattia o d'altro genere. Secondo un'altra versione del fatto, si vuole che i Cavalieri, appunto dopo Giacomo I, cominciassero ad usare capelli lunghi solo per coprire l'orecchio del primo Lord Exmoor. Anche questo è senza dubbio fantastico. La ragione per la quale vi faccio osservare ciò è questa: a me sembra che noi sbagliamo ad attaccare l'aristocrazia per il suo champagne ed i suoi diamanti. La maggior parte degli uomini ammirano i nobili piuttosto perchè fanno una buona vita, ma io credo che esageriamo troppo quando noi ammettiamo che l'aristocrazia abbia aristocratici felici. Bisognerebbe scrivere una serie di articoli che mostrassero quanto tetri, quanto immani, quanto davvero diabolici siano persino l'odore e l'atmosfera di varie di queste grandi case. Vi è un'abbondanza di esempi; ma voi non potreste cominciare con uno migliore di quello dell'Orecchio di Eyre. Per la fine della settimana credo di potervi mandare la verità intorno a ciò.

«Sempre vostro Francis Finn».

Mister Nutt riflettè un momento guardando fisso la sua scarpa sinistra, poi ordinò con voce forte, alta e del tutto inespressiva nella quale ogni sillaba risuonò uguale: «Miss Barlow, rispondete a Mister Finn, vi prego».

«Caro Finn, credo che ciò si possa fare: lo scritto dovrebbe pervenirci colla seconda posta di sabato. Vostro E. Nutt».

Questa elaborata lettera egli la dettò senza interruzione, come se pronunziasse una sola parola; e miss Barlow fece risuonare tutte le parole come se fossero una parola sola. Poi prese un'altra striscia di bozze ed un lapis blù e sostituì alla parola «soprannaturale» la parola «meraviglioso», e alla parola «fucilare» la parola «reprimere».

Queste felici salubri attività divertivano Mister Nutt e lo trovarono pronto il sabato seguente allo stesso scrittoio, a dettare alla stessa dattilografa e usando lo stesso lapis blù la prima serie delle rivelazioni di Mister Finn. Incominciavano, esse, con un sonoro brano di taglienti invettive contro i malvagi segreti dei principi e la disperazione della gente altolocata di questa terra.

Benchè l'articolo fosse violento era scritto in eccellente inglese, ma l'editore, come di solito, aveva dato ad altri il compito di spezzarlo in sottotitoli piccanti: «Mogli di Pari e Veleni», «L'orecchio stregato», «Gli uccelli da preda nel loro nido» e così di seguito in un centinaio di felici cambiamenti. Poi seguivano la leggenda dell'Orecchio amplificata dalla prima lettera di Finn, e poi la sostanza delle sue ultime scoperte così compendiata: «So che è pratica dei giornalisti mettere la fine del racconto al principio e chiamare questo il capolinea. So che il giornalismo per esempio consiste molto nel dire: «La morte di Lord Jones», a gente che mai seppe dell'esistenza di Lord Jones. Però il vostro attuale corrispondente pensa che questa, come molte altre abitudini giornalistiche, sia del cattivo giornalismo; e che il Daily Reformer abbia a dare un migliore esempio in simili cose. Egli si propone di riportare il suo racconto come è avvenuto, passo per passo. Citerà i nomi veri delle persone, che nella maggior parte dei casi sono pronte a confermare la sua testimonianza. Quanto ai capolinea; i titoli sensazionali... verranno alla fine».

«Camminavo lungo un viale pubblico che immette in un parco privato di Devonshire e sembra dirigersi verso il sidro di Devonshire, quando mi trovai di fronte a un edificio intonato appunto al viale. Era una lunga bassa osteria consistente in realtà di una capanna e due capannoni coperti tutti di paglia che sembrava una bruna e grigia capigliatura. Al disopra della porta era una scritta che indicava il nome del posto, il Dragone Blù, e sotto la scritta era una di quelle tavole rustiche che si usavano fuori della maggior parte delle libere osterie inglesi prima che gli astemi ed i birrai d'accordo ne distruggessero la libertà. Ed a quella tavola sedevano tre signori che parevano di cento anni fa. Ora che li conosco tutti meglio, posso chiarire le mie impressioni; ma allora essi apparivano proprio tre spettri. L'uomo che dominava, per la duplice ragione che era più grosso in tutte tre le dimensioni e che sedeva al centro della lunga tavola, di fronte a me, era un uomo alto pingue completamente vestito di nero con faccia rubiconda quasi appopletica, ciglia spelate e sopracciglia aggrottate. Guardandolo più attentamente non seppi dire con esattezza in che cosa consistesse quell'aspetto di antichità, salvo l'antico taglio della bianca cravatta da prete e le rughe attraverso la fronte. Mi fu ancor meno facile precisare l'impressione che suscitava l'uomo che era all'estremità destra della tavola, il quale, per dire la verità, pareva una persona ordinaria come avrebbe potuto vedersi dovunque, con una testa rotonda dai capelli castani ed un naso rotondo camuso e, inoltre con un vestito da prete, nero, d'un taglio severo. Solamente quando vidi il suo largo ricurvo cappello giacente sulla tavola, concretai la natura di quel senso di antico che mi suscitava. Era un prete cattolico romano. Forse il terzo uomo all'altra estremità della tavola dava questa impressione di antichità più degli altri, benchè fosse nello stesso tempo più leggero di persona e più trascurato nell'abito. Le sue membra risecchite erano più che coperte, direi quasi imprigionate, da maniche e calzoni strettissimi e grigi; egli aveva una lunga scialba faccia, dal profilo aquilino che appariva in qualche modo quanto di più fosco si possa immaginare, perchè le gote infossate erano imprigionate in un colletto con cravatta che formava una specie di vecchio collare da prete; e i suoi capelli che dovevano esser stati castani scuri erano di un bizzarro indistinto colore rossiccio che in relazione con la faccia gialla pareva piuttosto purpureo che rosso. Questo modesto benchè insolito colore era oltremodo notevole se si aggiunge che la capigliatura era quasi non naturalmente sana ed arricciata e intera. Ma dopo tutta questa analisi, io inclino a pensare che la causa della prima impressione di foggia antica fosse semplicemente in una serie di alti antiquati bicchieri da vino e due limoni e due pipe lunghe di gesso, ed anche forse l'incarico del vecchio mondo, pel quale io ero venuto. Essendo un intrepido reporter e quella essendo all'apparenza un'osteria pubblica, non ebbi bisogno di farmi forte d'impudenza per sedere alla lunga tavola ed ordinare del sidro.

«Il grosso uomo vestito di nero sembrava molto istruito specialmente intorno alle antichità locali; il piccolo uomo vestito di nero, benchè parlasse molto meno, mi sorprese per una cultura ancora più larga. Così stemmo molto bene insieme, ma il terzo uomo, il vecchio signore dai calzoni stretti, pareva alquanto distratto ed altero, finchè io feci cadere la conversazione sul Duca di Exmoor e suoi antenati.

«Mi parve che il soggetto imbarazzasse un po' gli altri due; ma esso ruppe l'incanto del silenzio del terzo uomo, col maggiore successo. Parlando con ritegno e con l'accento di un uomo finemente educato, e fumando ad intervalli nella sua lunga pipa di gesso, passò a raccontarmi alcune delle più orribili storie che io abbia mai udite nella mia vita: come uno degli Eyre un tempo avesse impiccato il proprio padre e un altro avesse flagellato la moglie legandola dietro un carretto e facendole attraversare il villaggio; e come un altro avesse appiccato il fuoco ad una chiesa piena di bambini... e così via.

«Qualcuno di questi racconti veramente non è adatto alla pubblica stampa, come la storia delle Monache Scarlatte, l'abominevole storia del Cane Macchiato e ciò che si faceva nella casa. E tutto questo sanguinoso repertorio di empietà proveniva dalle sue sottili eleganti labbra in modo alquanto sobrio, mentre egli sedeva sorseggiando il vino dal suo bicchiere alto e sottile.

«Notai come il grosso uomo di fronte a me cercasse qualche argomento per interromperlo: ma egli teneva il vecchio gentiluomo in considerevole rispetto e non poteva arrischiarsi a far ciò in modo brusco. Il piccolo prete all'altra estremità della tavola, benchè libero da ogni aria di timore o di imbarazzo, guardava fisso la tavola e mostrava di ascoltare la narrazione con grande pena... come meglio poteva. «Voi non sembrate – dissi al narratore – molto tenero per la stirpe degli Exmoor».

«Egli mi guardò un momento serrando le labbra sino a sbiancarle; poi deliberatamente ruppe la lunga pipa ed il bicchiere sulla tavola e si alzò: pareva il vero ritratto d'un gentiluomo mosso dalla fiammeggiante collera di un demonio.

«— Questi signori, – disse – vi diranno se io ho motivo di amarla. La maledizione degli Eyre per lungo tempo ha pesato su questo paese e molti ne hanno sofferto. Ma sanno che nessuno ne ha sofferto quanto me –. E ciò dicendo egli schiacciò un pezzo del bicchiere rotto sotto il suo tallone e se ne andò a grandi passi tra il verde crepuscolo dei meli scintillanti.

«— Ecco un tipo insolito di vecchio gentiluomo, – dissi agli altri due. – Conoscete per caso che cosa gli abbia fatto la famiglia Exmoor? Chi è egli?

«Il grosso uomo vestito di nero mi guardò con un'aria selvaggia di toro frustato: sulle prime sembrò non comprendere. Poi alla fine disse: – Non sapete chi è?

«Io confermai la mia ignoranza, e vi fu un altro silenzio; allora il piccolo prete, seguitando a guardare la tavola disse

«— È il duca di Exmoor.

«Poi, prima che potessi dare ordine ai miei sentimenti sconvolti, egli aggiunse sempre tranquillo, ma con l'aria di mettere a posto le cose:

«— Il mio amico qui è il dottor Mull, bibliotecario del Duca. Il mio nome è Brown.

«— Ma, – balbettai, – se egli è il Duca perchè maledice così tutti i vecchi Duchi?

«— Sembra che egli realmente creda, – rispose il prete di nome Brown, – che abbiano lasciata una maledizione sopra di lui. – Poi soggiunse con qualche indifferenza. – Ed è per questo che porta una parrucca.

«Passò un momento prima che io comprendessi il suo pensiero.

«— Non intendete alludere a quella favola intorno all'orecchio fatato? – domandai. – Ho sentito naturalmente discorrere di ciò, ma certo dev'essere una superstiziosa storiella semplice all'origine e poi esagerata. Io ho pensato qualche volta che fosse la versione fatta da ignoranti, di una di quelle storie di mutilazioni di quando si usava mozzare le orecchie ai criminali, nel XVI Secolo.

«— Credo fermamente che sia così, – rispose l'ometto pensieroso. – Ma non è un fenomeno scientifico ordinario, nè effetto di legge naturale, il fatto che una famiglia abbia qualche deformità tra i suoi membri e che essa sia tramandata in questa forma: un orecchio più grande degli altri.

«Il grosso bibliotecario aveva nascosto la grossa fronte spelata nelle sue grosse mani rosse, come uno che si sforzasse di pensare, contrariamente alle sue abitudini.

«— No, – brontolò, – voi fate un torto a quell'uomo, dopo tutto. Capirete che non ho nessuna ragione di difenderlo o di conservargli la fedeltà. Egli è stato un tiranno con me come con gli altri. Non immaginate, perchè lo vedete seduto semplicemente qui, che egli non sia un gran Lord nel peggior senso della parola. Egli sarebbe capace di far venire un uomo da un miglio di distanza perchè suoni un campanello che si trova a un metro dalla sua mano.... o di far venire un altro uomo da tre miglia di distanza perchè gli vada a prendere una scatola di fiammiferi che si trova a tre metri da lui. Egli deve avere uno staffiere che gli porti il bastone da passeggio e un servitore del corpo che gli regga il binoccolo...

«— Ma non un valletto che gli spazzoli i vestiti, – disse in maniera strana e secca il prete, – perchè il valletto gli spazzolerebbe anche la parrucca.

«Il bibliotecario si voltò verso di lui e parve dimenticare la mia presenza: era fortemente agitato e credo un po' riscaldato dal vino. – Non so come sappiate questo, Padre Brown, – disse – ma avete ragione. Egli vuole che il mondo intero faccia qualunque cosa per lui... eccetto che vestirlo. Ed in questo egli è fermo, giacchè egli si veste letteralmente in solitudine, come in un deserto. Ognuno che sia trovato vicino alla porta del suo gabinetto di toeletta è cacciato a pedate dalla casa, senza benservito.

«— Sembra un bel tipo di vecchio, – osservai io.

«— No, – replicò il Dottor Mull, molto semplicemente. – Confermo ciò che intendevo dire, cioè che siete ingiusto verso di lui, dopo tutto. Da gentiluomo, il Duca sente realmente l'amarezza della maledizione, che egli palesava appunto ora. Egli nasconde con sincera vergogna e terrore sotto quella parrucca purpurea qualche cosa che egli pensa fulminerebbe i figli dell'uomo a vederla. So che così è e so che non è dovuto a un naturale deturpamento come una mutilazione criminale o una sproporzione ereditaria nei lineamenti. So che è peggio di questo, perchè un uomo mi raccontò di essere stato presente ad una scena che supera ogni immaginazione, e della quale un uomo più forte di ognuno di noi tentò di svelare il segreto e ne fu sgomentato.

«Aprivo la bocca per parlare, ma Mull proseguì, dimentico di me, parlando fuori dal cavo delle sue mani.

«— Non c'è nulla di male a raccontarvela, Padre, perchè così non faccio che difendere, anzichè tradire il povero Duca. Non avete mai sentito dire che c'è stato un tempo in cui egli fu vicino a perdere tutte le sue proprietà?

«Il prete scosse la testa ed il bibliotecario continuò a raccontare la storia quale egli l'aveva sentita dal suo predecessore nel medesimo ufficio, che era stato suo padrone e suo istruttore, e nel quale egli sembrava avere senz'altro fiducia. Fino ad un certo punto era un racconto abbastanza comune della decadenza di una grande famiglia; la storia di un avvocato di buona famiglia. Questo avvocato del resto aveva il criterio di imbrogliare onestamente, se l'espressione è esatta. Invece di usare i capitali egli si insinuò nella fiducia e prese vantaggio dalla trascuratezza del Duca per spingere la famiglia in strettezze finanziarie in causa delle quali potesse essere necessario per il Duca lasciare a lui il reale possesso dei suoi averi.

«Il nome dell'avvocato era Isacc Green; ma il Duca lo chiamava sempre Eliseo; presumibilmente pel fatto che l'avvocato era completamente calvo, benchè certo non avesse più di 30 anni. Egli si era innalzato molto rapidamente ma con espedienti molto sporchi, facendo prima la spia o l'informatore, poi l'usuraio: ma come procuratore degli Eyre egli ebbe il buon senso, per così dire, di mantenersi formalmente corretto finchè non fu pronto a vibrare il colpo finale. Il colpo cadde a pranzo; ed il vecchio Bibliotecario diceva che egli non avrebbe dimenticato mai l'aspetto dei paralumi e delle caraffe quando il piccolo avvocato con un sorriso fermo propose al grande proprietario di dividere per metà i possedimenti fra loro due; tanto meno poteva dimenticare ciò che seguì, perchè il Duca in silenzio mortale frantumò una caraffa sulla testa calva dell'uomo così improvvisamente come io lo avevo visto frantumare il bicchiere quel giorno nel frutteto. Il colpo produsse una rossa cicatrice triangolare sulla pelle del cranio e alterò gli occhi dell'avvocato, ma non il suo sorriso. Egli si alzò barcollando in piedi e ribattè come simili uomini ribattono:

«— Io sono contento di questo, – disse, – perchè ora posso prendere la proprietà intera. La legge la darà a me.

«Exmoor era bianco come cenere; ma i suoi occhi fiammeggiavano ancora. – La legge ve la darà, – disse, – ma voi non la prenderete...

«— Perchè mai?

«— Perchè questo sarebbe il colpo decisivo per me e se voi la prenderete, io mi leverò la mia parrucca... Voi spennaste un misero pollo e ognuno può vedere la vostra testa scoperta; ma nessun uomo che vedrà la mia vivrà.

«— Bene, potete dire quel che vi piace, e fare intendere ciò che vi pare. Ma Mull giura che avvenne questo fatto importante: che l'avvocato, dopo avere agitato per un momento i suoi nodosi pugni nell'aria, corse fuori della camera, e giammai ricomparve nel paese. E da allora Exmoor è temuto più come stregone che come proprietario o magistrato.

«Ora, Mister Mull raccontò la sua storia con gesti alquanto furiosi e teatrali e con una passione che credo almeno partigiana. Io ero completamente persuaso della possibilità che tutto provenisse dalla stravaganza di un vecchio spaccone e pettegolo. Ma prima di arrivare al termine delle mie scoperte credo mio dovere verso Mister Mull dichiarare che le mie prime due inchieste hanno confermato la sua storia. Io ho appreso da un vecchio farmacista del villaggio che un uomo calvo in abito da sera, che diede il nome di Green, andò da lui una notte per farsi medicare una ferita triangolare sulla fronte. Ed ho appreso da referti legali e da vecchi giornali che vi fu un processo intentato o almeno cominciato da un Green contro il Duca di Exmoor».

Mister Nutt, del The Daily Reformer, scrisse alcune parole sconnesse in testa allo scritto, fece alcuni segni molto misteriosi in margine e disse a Miss Barlow con la solita voce alta e monotona: «Scrivete una lettera a Mister Finn».

«Caro Finn. Il vostro manoscritto sarà pubblicato ma ho dovuto modificarlo un po'; il nostro pubblico non tollererebbe mai un prete papista nel racconto... dovete tener d'occhio i sobborghi. Ho sostituito a Mister Brown uno Spiritualista. Vostro E. Nutt».

Uno o due giorni dopo, l'attivo e giudizioso editore esaminava con occhi blù che parevano divenire sempre più rotondi la seconda parte del racconto di Mister Finn, sui misteri dell'alta società. Esso cominciava con queste parole:

«Ho fatto una sorprendente scoperta. Confesso lealmente che è del tutto diversa da qualunque altra mi aspettassi di scoprire e che scuoterà molto il pubblico. Oso dire senza nessuna vanità che le parole che scrivo ora saranno lette in tutta l'Europa e certamente in tutta l'America e Colonie. Eppure ho udito tutto ciò che racconterò, prima di lasciare la stessa piccola tavola di legno nello stesso piccolo pometo.

Debbo tutto ciò al piccolo prete Brown; uomo straordinario. Il grosso bibliotecario aveva lasciato la tavola, forse mortificato per la sua lingua lunga, forse ansioso per la burrasca nella quale il suo misterioso padrone era sparito; ad ogni modo si era messo pesantemente sulle tracce del Duca attraverso gli alberi. Padre Brown aveva preso di sulla tavola uno dei limoni e lo guardava con uno strano piacere.

«— Che bel colore ha il limone! – disse egli. – Vi è una cosa che non mi piace nella parrucca del Duca... il colore.

«— Mi par di comprendere, – risposi.

«— Oso dire che egli ha delle buone ragioni per coprirsi le orecchie come Re Mida, – soggiunse il prete con una graziosa semplicità, la quale del resto appariva piuttosto petulante in quelle circostanze. – Posso benissimo comprendere che sia più acconcio coprirle con capelli che con piastre di ottone o lembi di cuoio. Ma se egli vuole usare capelli perchè non lo fa in modo che sembrino capelli? Non vi sono stati mai capelli di quel colore in questo mondo. Sembrano una nuvola del tramonto vista attraverso il bosco. Perchè non nasconde meglio la maledizione della famiglia, se è realmente così mortificato di essa? Devo dirvelo? Perchè egli non è mortificato di ciò. Egli ne è orgoglioso.

«— È brutta la parrucca perchè se ne possa essere orgogliosi... e anche la storia è brutta, – dissi.

«— Comprendo, – replicò quel curioso ometto – quali possono essere i vostri sentimenti al riguardo. Non insinuo che voi siate più rustico o più morboso di tutti noi; ma non sentite in una maniera vaga che la maledizione di una genuina vecchia famiglia è cosa alquanto elegante? Sareste voi mortificato o orgoglioso se l'erede dell'orribile Glamis vi chiamasse suo amico o se la famiglia di Byron avesse confidato a voi soltanto le perverse avventure della sua razza? Non bisogna essere troppo rigorosi verso gli aristocratici se le loro teste sono deboli come sarebbero le nostre se fossimo sul loro caso, e se essi fanno dello snobismo sui loro dolori.

«— Per Giove! – gridai – anche questo è abbastanza vero. La famiglia di mia madre aveva una fata irlandese: ed ora ricordo che questo fatto mi ha confortato in tante ore tristi.

«— Pensate – proseguì – a quella corrente di sangue e di veleno che schizzò dalle sue labbra sottili il momento in cui faceste accenno ai suoi antenati. Perchè farebbe mostra ad ogni forestiero di un simile museo di orrori se non ne fosse orgoglioso? Egli non nasconde la sua parrucca, nè il suo sangue, nè la maledizione della sua famiglia, come non nasconde i delitti della famiglia ma...

«La voce del piccolo uomo cambiò così improvvisamente, ed egli chiuse la mano così forte, e i suoi occhi divennero così rapidamente più rotondi e brillanti come quelli di un gufo in allarme, che tutto ciò fece l'effetto di una piccola esplosione sopra la tavola.

«— Ma, – concluse – in realtà egli nasconde la sua toeletta.

«E, ciò che in certo modo accrebbe l'eccitamento dei miei nervi e della mia fantasia fu in quel momento la ricomparsa del Duca silenzioso nella debole luce fra gli alberi, con il suo soffice passo e con la capigliatura color del tramonto, all'angolo della casa, in compagnia del bibliotecario. Prima che egli fosse a portata dell'udito, Padre Brown aveva aggiunto con molta calma

«— Perchè nasconde il segreto di ciò che fa, con la parrucca purpurea? Perchè non è quel segreto che noi supponiamo.

«Il Duca girò l'angolo e riprese il suo posto a capo della tavola, con tutta la sua innata dignità. Per l'imbarazzo il bibliotecario rimase sospeso come un gigantesco orso sulle gambe posteriori. Il Duca si rivolse al prete con grande gravità.

«— Padre Brown – disse – il Dottor Mull mi informa che siete venuto qui per rivolgermi una domanda. Io non professo da tempo l'osservanza della religione dei miei padri, ma per riguardo a loro e ai nostri precedenti incontri sono molto desideroso di ascoltarvi. Però penso che forse preferiate parlarmi in privato.

«I miei sentimenti di gentiluomo mi fecero alzare in piedi; quelli del giornalista mi fecero stare fermo. Prima che questo contrasto potesse esser superato, il prete aveva fatto un rapido gesto per trattenermi.

«— Se – disse – vostra Grazia vorrà permettermi la domanda o se io ho qualche diritto di consigliarvi, pregherei perchè sia presente quanta più gente è possibile. In tutto questo paese ho trovato centinaia di persone, anche della mia fede e del mio gregge, le cui immaginazioni sono avvelenate dall'incanto che io vi imploro di rompere. Desidererei che noi potessimo avere qui tutto il Devonshire, e che tutti vi vedessero far ciò.

«— Vedermi fare che cosa? – chiese il Duca aggrottando le sopracciglia.

«— Vedervi togliere la parrucca, – disse Padre Brown.

«La faccia del Duca non si mosse, ma egli guardò il suo interlocutore con uno sguardo vitreo fisso che aveva la più spaventevole espressione che io mai abbia vista di faccia umana.

«Potei vedere le grandi gambe del bibliotecario vacillare sotto di lui come ombre di tronchi in uno stagno; e sentii viva nel cervello l'impressione che tutti gli alberi intorno a noi si fossero pian piano nel silenzio coperti di diavoli invece che di uccelli.

«— Ve ne faccio grazia, – disse il Duca con una voce di pietà inumana. – Mi rifiuto. Tutto il peso dell'orrore, cui ho appena accennato, lo sopporterò da solo, giacchè voi giacereste gridando ai miei piedi, ed implorando di non voler conoscere di più. Voi non pronunziereste neppure la prima lettera di ciò che è scritto sull'altare del Dio ignoto.

«— Conosco il Dio Ignoto, – disse il piccolo prete con una impassibile e solida certezza che si innalzava come una torre di granito. – Ne conosco il nome. Esso è Satana. Il vero Dio divenne Carne e dimorò fra noi. E vi dico che dovunque voi trovate uomini dominati solamente dal mistero, quello è il mistero dell'iniquità. Se il diavolo vi dice qualche cosa che è troppo spaventevole a guardare, guardatela. Se egli dice qualche cosa troppo terribile a udire, uditela. Se voi pensate qualche verità insopportabile, sopportatela. Io supplico Vostra Grazia di porre termine a questo incubo ora e qui, a questo tavolo.

«— Se lo facessi, – disse il Duca a bassa voce, – voi e tutti voi, io credo, con tutti quelli vicino ai quali vivete, sareste i primi a raccapricciare e perire. Avreste un solo istante per conoscere il gran Nulla, e poi morireste.

«— La Croce di Cristo sarà tra me e il maleficio, – disse Padre Brown. – Togliete la vostra parrucca.

«Chino sulla tavola, io ero in uno stato di invincibile eccitamento; nell'assistere a quello straordinario duello un barlume era apparso nel mio cervello. – Vostra Grazia – gridai – dichiaro che la vostra è una millanteria. Levatevi quella parrucca, altrimenti la faccio saltare. Anche se dovessi essere processato per violenza, sarei veramente lieto di aver fatto ciò.

«Quando egli disse con la solita voce dura «Rifiuto», io, senz'altro, mi slanciai sopra di lui. Per tre lunghi minuti fece forza contro di me come se tutto l'inferno lo aiutasse. Ma io spinsi indietro la sua testa finchè quel berretto di capelli si staccò. Riconosco, che, lottando, chiusi gli occhi quando essa cadde.

Fui richiamato da un grido di Mull rimasto anche durante quel tempo a lato del Duca. La sua testa e la mia erano tutte due chinate sopra la testa calva del Duca privato della parrucca.

«Poi il silenzio fu rotto da una esclamazione del bibliotecario:

«— Che cosa significa questo? Perchè l'uomo non ha niente a nascondere. Le sue orecchie sono proprio come quelle di qualunque altra persona.

«— Sì, – disse Padre Brown, – questo egli voleva nascondere.

«Il prete andò diritto verso di lui, ma, particolare abbastanza strano, egli non diede nemmeno un'occhiata alle orecchie. Egli guardò fisso con una quasi comica gravità la fronte calva ed indicò una cicatrice triangolare da tempo risanata ma ancora visibile.

«— Questi è Mister Green, – disse cortesemente. – E si è preso l'intera proprietà, dopo tutto.

«Ed ora permettetemi di dire ai lettori del The Daily Reformer che cosa è secondo me più notevole in tutta questa faccenda. Questa scena piena di cambiamenti, la quale vi parrà disordinata e purpurea come un racconto persiano di fate, è stata strettamente legale e costituzionale sin dalle sue prime origini.

«Quell'uomo dallo strano sfregio e dalle orecchie comuni non è un impostore. Benchè (in un senso) egli abbia presa la parrucca di un altro uomo e si sia assunto l'orecchio di un altro, egli non ha rubato la corona di nessuno. Egli è realmente l'unico Duca di Exmoor. Come è successo questo? Il vecchio Duca aveva realmente una leggera deformità d'orecchio, di tendenza ereditaria. Egli realmente era urtato da tale fatto ed è naturale che lo invocasse come una specie di maledizione nella violenta scena (che indubbiamente avvenne) nella quale ferì Green con la caraffa. Ma la contesa terminò molto diversamente. Green intentò causa, sostenne le sue pretese e prese i beni; e il Nobile uomo spossessato si uccise e morì senza eredi. Dopo un certo tempo, il grazioso Governo Inglese riconobbe il titolo dell'estinta discendenza dei Pari di Exmoor e l'accordò, come è uso, alla persona più importante, a quella che aveva presa la proprietà.

«Quest'uomo teneva alle vecchie leggende feudali... Probabilmente, nella sua bassa anima, veramente le invidiava e le ammirava. Così migliaia di poveri inglesi tremavano davanti a un misterioso capo dal destino antico e dal diadema di stelle malefiche... come realmente tremano davanti a un farabutto, uno che fu leguleio ed usuraio meno di dodici anni fa.

«Ora io penso che questo sia un caso veramente tipico dei tanti che mostrano la nostra aristocrazia quale è e quale sarà finchè Dio non manderà al mondo uomini più coraggiosi».

Mister Nutt buttò giù il manoscritto e ordinò con insolita asprezza:

— Miss Barlow, vi prego scrivete una lettera a Mister Finn.

«Caro Finn. Siete matto! Noi non possiamo toccare questo tasto! Avevo bisogno di vampiri e di storie che mostrassero la superstizione dei vecchi giorni perversi e l'accordo dell'aristocrazia con la superstizione. Queste son le cose che vanno. Ma voi dovete sapere che gli Exmoor non mi perdonerebbero mai ciò. E mi piacerebbe sapere che cosa direbbe allora la nostra gente. Perchè Sir Simon è uno dei più grandi compari di Exmoor; la cosa rovinerebbe quel cugino degli Eyre che si è schierato con noi a Bradford. Inoltre il vecchio Soap Suds era abbastanza disgustato l'anno scorso di non essere compreso nell'elenco dei pari. Egli mi congederà per telegramma se lo rovino con stramberie come queste. E che cosa ne pensate di Duffey? Egli ci sta facendo degli articoli eccellentissimi sul «Tallone del Normanno». Ma come può scrivere intorno ai Normanni se è soltanto un procuratore? Siate ragionevole.

Vostro E. Nutt»


Poichè Miss Barlow rideva d'un riso scrosciante e gaio, egli gualcì il manoscritto e lo gettò nel cestino della carta straccia, dopo avere automaticamente e per vecchia abitudine sostituita alla parola «Dio», la parola «circostanze».