La regola di san Benedetto/Capitolo 31
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Traduzione dal latino di Francesco Leopoldo Zelli Jacobuzi (1902)
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Del Cellerario del Monastero, quale debba essere.
CAP. 31.°
Il Cellerario del monastero si scelga
dalla comunità, savio, maturo di
costumi, sobrio, non molto vorace, non
prosontuoso, non turbolento, non
ingiuriatore, non tardo, non prodigo; ma
timorato di Dio; il quale sia siccome
un padre a tutta la comunità. Egli si
prenda pensiero di tutto: senza il
comando dell’Abbate non faccia mai
nulla: mantenga quanto gli viene
ordinato; e non contristi i fratelli.
Se qualche fratello chiede a lui alcuna cosa irragionevolmente, non però lo rampogni con disdegno; ma nieghi la cosa ragionatamente e con umiltà a chi male la chiede. Custodisca il Cellerario l’anima sua, memore sempre di quei precetto Apostolico: Che il buono amministratore si procaccia un gran merito. — Abbia cura con ogni sollecitudine degl’infermi, dei fanciulli, degli ospiti, dei poveri, sapendo che nel giorno del giudizio renderà conto di tutti costoro. Riguardi tutti ì vasi e le sostanze del monastero, come se fossero i vasi sacri dell’altare. Niuna cosa permetta che vada a male; non proceda da avaro, e non sia prodigo o dilapidatore della sostanza del monastero; ma tutto faccia misuratamente e sotto gli ordini dell’Abbate.
Innanzi tutto abbia grande umiltà, e risponda dolcemente a colui al quale non ha che dare; perocché sta scritto: Il parlare soave vale più di qualsivoglia dono. — Tutte le cose che gli avrà commesse l’Abbate, egli le abbia in governo; e checché gli sarà proibito, non ardisca di farlo. Somministri ai fratelli il cibo stabilito, senza parzialità e senza mala grazia, per non dare occasione di peccato; ricordevole della parola di Dio, che terribilmente minaccia a chi avrà scandalizzato uno di questi meschini: Meglio sarebbe se gli fosse sospesa al collo una macina da mulino, e fosse sprofondato in mare! —
Se la comunità fosse grande, se gli diano degli ajuti; dai quali sostenuto, egli equamente adempia l’officio commessogli. Alle ore fissate diasi ciò che è da dare, e chiedasi ciò ch’è da chiedere; onde niuno sia turbato o rattristato nella casa di Dio.