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I. Il punto di partenza per una storia della letteratura italiana - Prolusione a un corso su Dante

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Prolusione a un corso su Dante.

Ho assistito, giorni fa, a una festa ben singolare, celebrata a Zurigo, con quella viva impressione che prova uno straniero ad uno spettacolo inaspettato. Parevami che quasi tutti i popoli della terra si fossero dati convegno in Zurigo, e, vedendo sfilarmeli davanti nella bizzarria delle loro fogge e costumi, io risi molto di cuore di questa mascherata del genere umano, concepita con tanto spirito, eseguita con tanto brio. Signori, questa festa della Primavera, che Zurigo celebra in un giorno solo dell’anno, noi qui la celebriamo tutti i giorni; poiché che cosa sono o esser debbono queste nostre lezioni se non una immagine vivente dei piú grandi popoli del mondo, che voi vedete sfilarvi davanti in tutto lo splendore del vero?

Cominciando la storia della letteratura italiana del secolo XIV, noi ci dispensiamo dal volgere lo sguardo piú indietro. Onde cominceremo noi? Gli scrittori di simil genere, spingendo l’occhio indietro indietro, si gettano a capo in giú [p. 186 modifica]nei piú remoti secoli, ed affrontano con mirabile sicurezza due quistioni difficilissime, su cui si sono scritti volumi, senza venire ancora ad una conclusione positiva: l’origine della lingua, e l’origine di tutte le idee che costituiscono la vita intellettuale e morale del medio evo. Non disprezzo questi lavori, che hanno la loro utilitá, anzi ammiro l’ardire, la pazienza e l’erudizione di uomini, che spesso sono costretti a lavorar di fantasia per supplire al difetto di dati sufficienti, e ad innalzare un maestoso edificio sopra fragili basi. Ma questi lavori rimangono fuori del mio disegno.

Io voglio, o signori, presentarvi la letteratura nel secolo ch’ella è letteratura, cioè nel secolo XIV, quando la lingua e il pensiero acquistano una forma fissa. Prima di quel tempo trovi quasi nella stessa strofa latinismi, provenzalismi e municipalismi, tre elementi diversi ed astratti, che stanno gli uni accanto agli altri crudi, grezzi, disarmonici, tre lingue o tre frammenti di lingue, che si urtano e s’intralciano senza venire ad unitá. Ma dal 1250 questi elementi cominciano a trasformarsi, a fondersi insieme come parti armoniche d’un tutto: le desinenze si fissano, la sintassi‘diviene piú regolare, l’uso delle particelle piú preciso, i suoni piú musicali. Vi citerò ad esempio Cino da Pistoia, molti sonetti del quale sembrano scritti ieri, tanta è la freschezza e morbidezza di questo scrittore chiamato giustamente il precursore del Petrarca. L’arte progredisce insieme con la lingua. Gli antichi rimatori lavorano sopra un fondo d’idee vecchie, tolto ad imprestito dai Provenzali, e o cadono in un sensualismo plebeo, come Ciullo d’Alcamo, o in un cavalleresco astratto.

Rappresentano la donna come un ente astratto anch’esso, dotato di certe qualitá convenzionali, ed esprimono sentimenti fittizi che non trovano nel loro cuore né nella loro natura. La poesia è in loro piú un affare di moda e di cortigianeria che un’espressione dell’anima. Quale è il fondo di questa poesia? Analisi e metafisica dei sentimenti. In luogo di sentire, i poeti analizzano i fenomeni amorosi, in luogo di rappresentare l’amore, essi lo spiegano, lo commentano, lo definiscono, ne dichiarano [p. 187 modifica]la natura, la qualitá. Dalla quale falsa base nasce la falsitá della forma. Perché essi non rappresentano i loro sentimenti, ma i fenomeni generali dell’amore, la loro forma è astratta ed allegorica, i pensieri scuciti, sentenze, proverbi, paragoni, allegorie. E poiché lavorano sopra idee cantate e ricantate, essi vi lavorano su e le raffinano e le assottigliano, specie di seicentismo prematuro che spunta nella stessa culla della poesia italiana. Fra Guittone d’Arezzo, per esempio, abbonda di questi giuochi di parole e d’idee. Ma nel secolo XIV da una parte trovi giá una certa veritá in quell’analisi, una certa profonditá in quelle speculazioni, e dall’altra parte l’astrazione comincia ad essere vinta e le forme cominciano giá a comparire vaghe creature poetiche ed individue, come Selvaggia, Mandetta, Beatrice, che irradiano di viva luce l’aurora della poesia italiana, le cui canzoni filosofiche annunziano un pensiero giá adulto e conscio di sé e le cui liriche amorose sono profondamente sentite. Le poesie anteriori noi le leggiamo talora con attenzione ed amore, ma col cuore freddo. Qui il cuore comincia a palpitare; qui troviamo l’amore in tutta la sua ebbrezza, l’esilio con tutte le sue amarezze.

Questi concetti generali sulla poesia anteriore a Dante non sono che un sommario. Che farò io? Lo svilupperò? Vi parlerò per disteso di Brunetto Latini e di altri? Mi propongo di farlo nelle lezioni consacrate all’analisi degli autori italiani. Non fo una storia della letteratura nel suo senso assoluto: fo una storia «ad usum Delphini». Ed il mio «Delfino» siete voi, o giovani. A scaldare in voi l’amore di questa bella letteratura io voglio allontanare dai principi delle mie lezioni tutto ciò che è aspro e noioso; io voglio introdurvi nel piú ampio, nel piú splendido mondo poetico che abbia avuto fantasia umana, nella Divina Commedia.