La poesia cavalleresca e scritti vari/Nota/Pagine Sparse

Nota - Pagine Sparse

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PAGINE SPARSE

i. Lorenzo Borsini. Lettera a Luigi di Larissé. — Nel giornale «Il Piemonte», di Torino, 29 dicembre i855, poi raccolta da Vittorio Imbriani, in Scritti critici di F. d. S., Napoli, Morano, i886. Anche qui abbiamo rilevato alcuni errori del testo Imbriani.

2. Sulla «Viola mammola» di Nannina Amata. — In «La Donna, foglio settimanale di scienze morali e naturali, letteratura e arti belle», III, n. i9, pp. i45-i48, Genova, 9 maggio i857; poi raccolto dal Croce nel volume F. d. S., Pagine sparse, Bari, Laterza, i934. Nel suddetto periodico lo scritto è preceduto da queste parole del De Sanctis: «Caro Mercantini, ti mando la mia prima lezione. Come vedi, essa ti appartiene, avendomene data occasione il tuo giornale». Il testo datoci dal Croce, che egli dice fornitogli «dal collega senatore Galimberti», è una rielaborazione o un sunto della lezione del De Sanctis, accorciata della prima parte: infatti il Croce (op. cit., pp. 9-i0) afferma che «la rivista La Donna non si pubblicava piú... sin dalla fine del ’56»; e che la lezione, pubblicata in qualche altra rivista, non si era potuta rintracciare. Il testo della rivista fu invece ritrovato e correttamente pubblicato dal Cortese, nel citato voi. XIII della sua edizione desanctisiana (p. 337 sgg.)1. [p. 361 modifica]

3. La scuola. — Nella «Nuova Antologia», agosto i872; indi in opuscolo, Napoli, Morano, i897, e poi dal Croce in Scritti vari, cit. (pp. i89-i97). Ecco il lavoro dell’Arcoleo:

Pulcinella dentro e fuori di teatro.

Non se ne offendano le orecchie esercitate alle forti argomentazioni o i cervelli malati di filosofiche malinconie, accanto agli Amleti, ai Faust, ai Prometei, anche Pulcinella ha il suo posto: è la stessa realtá della esistenza che a lui si affaccia come un giocattolo, a quelli come una lotta; è la stessa scala sociale, alla cui sommitá sta l’uomo dal pensiero concentrato, dall’affetto profondo, dalla cosciente azione, e alla cui base resta l’uomo gettato quasi fuor di se stesso, alle porte del Nosce te ipsum vacuo come una spuma e galleggiante com’essa sulle difficoltá della vita, beato come un padre priore, fanfarone come un cerretano, facile e versatile come un birichino, insensibile, o solo commosso meccanicamente ai dolori altrui come il telegrafo che segna la disfatta di Sadowa o di Sédan, o come un ministro di finanze che con una punta di penna getta la desolazione in mille famiglie. Ogni medaglia ha il suo rovescio, anche il fulmine ha la sua parodia; cosí ogni teatro, anche 1 ’ Indiano, ha avuto le sue Maschere, perché sotto a una societá che pensa ed opera ce n’è un’altra che ciancia, spensa e gingilla, e se un filosofo che si chiama Diogene cerca con la lanterna del pensiero la veritá, un altro chiamato lazzarone cerca la sera in via Toledo i frusti dei sigari.

Da questa dissonanza, da questo riscontro nascon quei tipi popolari che lo istinto crea e la ragione abbatte man mano che il pensiero si sgomitola dalle sue fasce; tipi che sfuggono a qualsiasi accurata analisi, perché l’arte non li ha improntati del suo forte stampo, e son rimasti qualche cosa che non è tutto reale né tutto ideale, mezzo uomini e mezzo burattini, idoli della plebe quando vive di latte e miele, giocattoli che spezza quando si addentra nella intimitá della coscienza.

E oramai le maschere come i miti, come i trastulli infantili dei popoli, son passate, pur lasciando qualche vestigio nella grande commedia umana. Esse rappresentarono un lato comico della vita, del quale se cangiò il colorito resta sempre il disegno, e se Pulcinella ancor vive tra noi, vuol dire che la Maschera, oltre ai suoi rapporti con T indole particolare della gente che l’há fatta, dee in sé tener qualche cosa che rimane aspettando nuove trasformazioni dall’arte. Io dubito che il contenuto delle Maschere possa in tutto finire. La vita non ha sempre la posa di una statua greca o le rigide linee di un’architettura romana; essa non è solo l’aforismo del filosofo, è anche lo sdrucciolo motteggio del cantastorie: la vita ha un midollo e una scorza; ha i suoi antipodi come la terra, le sue tèsi e antitesi [p. 362 modifica]come la logica, i suoi piú e meno come la matematica. Quale espressione di un lato di tale realtá i Pulcinelli non nascono solo a Napoli; anche l’arte, anche la storia hanno i lor Pulcinelli: è una forma, per la quale ciascun di noi dee passare; e domando se non abbia alcunché di quella natura il Cinese che fa la sua musica coi fuochi d’artifício, alza una torre di porcellana alta 200 piedi e larga 6, e si difende dai Tartari con una muraglia lunga mezza Asia e alta pochi piedi di altezza; domando se la parola pulcinellata non sia degna di entrar nella lingua per esprimete quella non so qualcosa che il buon senso sa comprendere e applicare alla sciocchezza nella mente e alla mancanza di dignitá personale nella vita.

Ma io non parlo di cotesto Pulcinella quasi universale che sorge spesso improvviso in coda a un sillogismo nel pensiero del filosofo, o tra le pieghe di due rime nella fantasia del poeta. Cotesto Pulcinella è nato con l’uomo, ha percorso come T Ebreo tutte le etá e tutti i popoli e come un tempo cooperò alla fabbrica degli imperi universali, lasciamo che oggi si domicilii nello immenso sogno della repubblica cosmopolita.

Io parlo di un essere piú modesto, del Pulcinella napoletano, che vive del nostro cielo, della nostra aria, della nostra luce, che ci regala parte della sua natura, e che brioso compagno ci trastulla e ci aiuta a scivolar sulla vita in mezzo a tanto fracasso di uomini e di bestie, in tanto vertice di azione e di frascherie e in tanto brulichio di grandi uomini e di moscherini che fanno caratteristica questa bella e popolosa cittá. Né tal Pulcinella è leggero argomento: innanzi alle grandi catastrofi che hanno agitato l’Europa, alle lotte del suo paese con la Prussia uno scrittore francese (Marry-Leson) lottava col difficile tèma di un ’opera che costa 60 franchi quanto costano insieme appena un comento di Dante e della Bibbia, e dubito che, come molti altri suoi connazionali, non abbia indovinato quel tipo che sfuma in mezzo a tanta varietá di colori e di forme. Questo Pulcinella ha pur la sua storia; e se la sua culla non va contesa tra pili cittá come quella di Omero e di Tasso, perché è negli stessi costumi del popolo, pur non è ben certo donde nascesse o quando la prima volta apparisse ai facili spettatori che lo chiamaron fratello. Fu detto ch’egli traesse origine da un Paolo Cinella tre secoli fa, origine ristretta e non adottabile, parmi, in tanto progresso di un’epoca che per decifrare una genealogia risale all’etá di pietra o di bronzo, e per segnare la fede di nascita di un’idea, cava e studia i fossili del pensiero umano. Pulcinella è una di quelle figure che sorgono dallo istinto popolare, non dallo ingegno di un uomo; quasi spuma di onda per improvviso movimento venuta su, o conchiglia che appartenga a un infimo strato di terra: e però la sua carta di battesimo non può prodursi incontestata; ma il blasone di lui plebeo è forse piú antico che quello della nostra dinastia, e fu rispettato dalla rivoluzione dell’89 e da quella del i860 fermo ed eguale sempre come la forma del suo cappello.

Ma Pulcinella non può studiarsi che nel teatro dove egli ancora domina, [p. 363 modifica]mentre le altre Maschere italiane da tempo immobilizzate caddero o in luogo piú basso o nell’obblio, cacciate da quella stessa forza che ha abbattuta la ipocrisia, il servilismo, la ignoranza e la schiavitú. In mezzo alla continua trasudazione di commedie che l’istinto popolare versa sulle scene, egli è quasi il Deus ex machina, e stando ancora coi principii del dritto divino non ammette reggenza, e governa sempre in persona. La sua figura esterna è tutto un costume, né farebbe disperare qualsia scultore, che deve oggi porre il mantello alla statua di un grande contemporaneo, sia pur vestito di está, e lasciarlo a capo scoperto, sia pur vestito d’inverno, perché l’arte non ammette i cilindri. La forma del cappello di Pulcinella non è stata, è vero, discussa nei Ministeri come quella dei nostri soldati, ma è nientemeno che un cono, la figura piú perfetta in matematica e che, modificata, ha prodotto i capolavori dell’architettura gotica. Al poeta non si può guardar nella camicia, fu detto, forse perché non l’ha sempre netta, o perché lá entro oltre al suo genio c’è la sua bestia: ma il nostro eroe l’ha irreprensibile, almeno finché non venga la tassa sopra i tessuti; che anzi arieggia alla tunica romana come il calzone ricorda la foggia araba; perno cosí la sua veste tra due civiltá come il suo carattere tra due nature, l’animale e l’uomo.

La maschera gli copre il volto, non l’anima, e il suo naso se non è in tutto dantesco, pur grosso e aperto accenna un po’ al galantuomo e al tipo napoletano, su cui i Greci hanno impresso l’amor della natura, i Fenici la credenza al misterioso e all’arcano, gli Osci la facile e scurrile parola e le voluttuose abitudini della vita.

Non so se Maccus sia Pulcinella o se lui rappresentino i bassorilievi e le figure di molti vasi antichi; ma certo è ch’egli sta impresso nel carattere della classe infima del popolo napoletano, accovacciata ancora nelle sue strette e luride strade, sostrato a questo edificio strano e magnifico fabbricato di pezzi greci, romani, spagnoli e francesi. L’arte, il lusso, la industria sua e dei suoi antenati si studiano negli scavi di Pompei e nel Museo Nazionale: ma quell’indole, quei costumi, quella vita non si apprendono che in un altro Museo, la plebe di Napoli, e in un tipo che lo compendia, Pulcinella. La esterioritá, l’obblio di se stesso, lo accidentale, il fuggitivo, il presente, è la sfera, è tutto il mondo di questo personaggio; nella frase il cicaleccio e la parafrasi, nel dialogo l’equivoco, nelle azioni il chiasso, dappertutto la sciocchezza spontanea o mentita.

La sua casa è fuori delle pareti domestiche, è sulla strada; la fede è fuori della religione, nella liturgia; l’amore fuori dell’anima, nel senso; la vita fuori della coscienza, nella forma. Le sue tendenze sono sempre al materiale; i suoi problemi gastronomici; crede alla illusione, alle apparenze, ai morti resuscitati, alla magia, al lotto, al diavolo, a tutto fuorché un poco a se stesso; ha la chiacchiera, non il fatto; l’affaccendarsi, non l’operositá; l’imprecazione, non la bestemmia. Pulcinella insomma è il plebeo naoletano che va superbo di una vacua e trista ereditá, i ciondoli [p. 364 modifica]della dominazione angioina, spagnuola, borbonica; vago di ammirare i superbi palazzi dei suoi re, e non curante di fracassarsi le membra tra i ciottoli spostati delle sue strade, irrisore del cittadino o del soldato che veste alla buona, ammiratore del birro purché abbia un bel pennacchio al cappello; memore sempre e piagnone della vecchia dinastia che facea tirar sue carrozze da sei cavalli, mentre egli trottava sul somaro, e avviticchiato ancora a un culto che gli accompagnava il Viatico con una fanfara di campanelle, e si espandeva in un alveare di cappelle, illuminate con l’olio negato alle strade, perché chi aspirava al cielo avea il dovere di rompersi il collo per terra.

Io narro, non accuso: i documenti di questa storia non stanno nelle biblioteche, sono viventi a San Carlino. Campano antico e moderno, genio osco personificato, facile e allegro personaggio, sempre docile e preoccupato, pieno di bonarietá e spesso di malizia, doppio a un tempo e semplicione; credulo e furbo, miscuglio di cinismo e di sensibilitá; poltrone e attaccabrighe, custode fido, e, se gli capita, ladro: ma amabile, eguale di umore, ottimista, carezzevole; tale è Pulcinella, anima della scena, idolo della plebe che vi si riconosce. La sciocchezza è il suo fondo, ma egli qualche volta lo sa e la commercia, e sorpreso col vostro taccuino guarderá con faccia di cartapesta, e voi direte: è uno sciocco! Amministratore infelice, vende il suo bosco per far negozio di cenere, evita di pagare il dazio sul macinato comprando pane invece di farina, e cittadino equivoco fará una rivoluzione se si tratta di salvare non la sua libertá, ma il suo stomaco. Non gli domandate ch’entri un poco a veder quel che fa, che rifletta sulle sue condizioni, che cavi una giusta conseguenza: sarebbe Io stesso che far rinculare la Francia dalle petizioni cattoliche al 4 agosto i879.

Non gli domandate una reminiscenza o un’aspirazione; egli pensa solo al presente e se ha mangiato e bevuto rifiuta qualsiasi offerta di guadagno e di lavoro: è il lazzarone che empita la pancia si rannicchia al sole ravvolto nei suoi cenci e c’intima «levati di lá», è il contadino spagnuolo che vedendoti passare gitta la sua zappa e proclama son caballeros.

Pulcinella celia su tutto, fin sulla sventura, e trova le sue orgie anche nel dolore, come questa gente improvvisa religiosamente, il df dei morti, le sue taverne accanto al Camposanto. Gli confidate un segreto? giurerá a sette suggelli e lo pubblicherá dopo sette minuti, perché è pubblicista soprattutto, e meglio che i Fluh, i Crisostomi, gli Analbah, che avendone la natura han temuto assumere il nome di lui, simili agli scrittori che non citan mai quelli, dai quali piú rubano.

Facile ad accendersi, Pulcinella si offre primo a un’impresa; ma se corre rischio la pelle, è il primo a fuggire; vi avverte che si batterá e torna con peste le spalle. E come un capitano siciliano di volontarii al i848, rodomonte in 64° che tuonava: «avanti, la vittora è nostra», e visti i nemici: «chi può salvarsi si salvi». È come i popoli decaduti e corrotti che sudano a fabbricar proclami ed inni di guerra invece di istituzioni e [p. 365 modifica]cannoni per raccoglier poi Custoza e Sédan, o «restar padroni delle acque di Lissa».

Bisogna un servo? Pulcinella è ai vostri ordini; ei c’è nato. La livrea l’ha nell’anima; ma non vi scandalezzate se è sintetico, se accettato da due padroni ne serve due: qui non sa farsi altrimenti, sia che questa plebe accetti il Sillabo come lo Statuto, o reciti un’orazione a San Gennaro mentre attenta alla vostra borsa; sia che 1 ’ Italia, che ha pur sempre bisogno di tutori, si affretti a studiare la lingua tedesca per unirla alla francese nelle tabelle delle sue locande o nelle quarte pagine de’ suoi giornali.

Né fate rimprovero a Pulcinella se minuzioso indagatore origlia, spia, e dimentica i suoi affari per correr disperatamente dietro a un cane che ha tutti i suoi quattro piedi, ma si è fermato un poco a guardarlo. Fermatevi cosí voi in mezzo a una strada di Napoli e avanti un sasso: voltandovi, vi troverete attorno una folla attonita, curiosa che sta a guardare. Che cosa? O voi o il sasso o nulla, e che si scioglie dignitosamente come un meeting inglese che abbia discusso una grande questione sociale. Né accusate di leggiero Pulcinella se bada piú alla forma che alla sostanza, al fiocco che al berretto, e se vedendovi con un fascio di carte sotto vi giudicherá un avvocato, se con una grossa canna d’India un dottore. Si avanza Championnet alla conquista del Regno? Pulcinella non domanda se i Francesi rechino libertá o servaggio, ma se abbiano grande statura o vestano bello uniforme.

Pulcinella qui non è solo nel teatro, fa capolino nei giudizii che si formano alla buccia. Quel tale ha intercalata la parola come un calcolo trigonometrico, o a lui dal labbro distilla gravida di sentenze? È un pensatore. Ha idropico il periodo? È un oratore. Ha lunga la chioma, malato l’occhio? È un poeta. Un alto funzionario ha gli abiti rattoppati? È un uomo onesto: come in Francia nel secolo passato doveasi avere le scarpe rotte per esser filosofi come Francklin. È vero, potrebbe risponder Pulcinella, che le orecchie lunghe son dell’asino, ma si può esserlo anche con piccole; ché altrimenti una giusta misura di orecchie sarebbe condizione di eleggibilitá da aggiungersi nel nostro Statuto. È vero che non si può esser grand’uomo senza soprabito lungo, ma questo l’hanno anche i portinai e i cocchieri. Ciò sarebbe un saggio del buon senso di Pulcinella, il quale ha pur la sua logica che lo fa tirare innanzi come ogni altro galantuomo. Non sostengo giá ch’egli sia un filosofo; ma certo è che ha il merito di ravvicinare due scuole che han diviso la scienza e l’umanitá. È Eraclito insieme e Democrito, ride e piange nello stesso tempo e perpetuamente folleggia. È l’antica vena anacreontica, è l’Arcadia, è la facile vacuitá della vita che indora l’infingardaggine, l’indolenza e la superstizione di questa plebe, i cui buoni germi restano soffocati sotto un immenso cumulo di pregiudizii che, pur liberata dalla tirannide politica e in parte dalla religiosa, la fanno ancora schiava di se stessa e contenta del suo [p. 366 modifica]Pulcinella. Il quale ritrae appunto questo impasto di privilegiata natura e di cattive abitudini, di fango e di luce, di lazzarone e di nobile che si riproduce anche spesso in certe classi piú alte: perché plebe non è solo quella che abita a pian terreno. Epperò Pulcinella è un panteon di professioni: è medico, è soldato, è ciabattino, ecc., ed è anche studente e giornalista, di tutt’altro però che di notizie politiche per non offendere alcuni suoi colleghi che lo rappresentano cosí bene nella realtá. Insomma è un’enciclopedia, simile a quella che trovasi nelle botteghe dei villaggi, o nel cervello di giovani meridionali a vent’anni (o spero di me solo), viaggiatori di mondi immensurati senza aver prima misurato i pochi palmi del nostro piccolo me, che trinciamo epoche, fabbrichiamo sistemi e sugli ardui problemi che il pensiero incontra nell’arte, nella scienza, nella storia, nella vita versiamo la luce dello zolfanello che ne accende il sigaro o della lucerna che illumina i nostri scarabocchi sulla carta; pronti a star sulle barricate e a tremar per gli esami, a comprender tutto, ad esser tutto fuorché qualcosa, fuorché noi. Pulcinelli inosservati in maschera di filosofi, di letterati, di poeti, di artisti.

Finché la vita non si fa seria, Pulcinella stará bene al suo posto: San Carlino avrá ragione di esistere. E la vita non si fa seria con lo scetticismo o col dubbio sforzato, ma con quella fede che salva dall’equivoco in che, come oggi la plebe, ci siamo cullati indifferenti e oziosi per tanti secoli di nostra storia. Pulcinella ha tratto dallo equivoco tutto il suo arsenale di motti, di lazzi, di frizzi. Volevo dubitare che egli fosse stato una caricatura della dominazione spagnuola, una sfida fatta col riso alla tirannide; ma le caricature e le sfide non si fanno con l’equivoco a spese della moralitá, della istruzione e del buon senso.

Questo mondo di Pulcinella facile e furbesco, non altro che questo, passione un tempo e frenesia di due plebi, quella del trivio e quella della corte, oggi, tale qual è, mi pare un anacronismo. Ci sia pure la realtá del presente che mi rida sul muso: il dritto storico non l’ammetto neppure per Pulcinella.

Questo mondo allor potea. stare che la inerzia era pace, lo stagnamento tranquillitá: e la Maschera e il buffone avean soli il dritto di muovere le acque di quella palude.

Allora un cortigiano sguinzagliava un picchetto di soldati alla carica contro a una Maschera, perché entrata in teatro in contravvenzione ai regolamenti; e un re (Carlo Felice), che credea decapitare il pensiero tagliando le teste ai liberali, intercedea per la Maschera dicendo: Ebbene, se fa ridere a che servono i regolamenti?» Allora un altro re creduto gigante in vita e trovato in morte alto sei palmi e mezzo; che entrava proclamando vittoria nelle cittá nemiche, quando i suoi soldati ne avevano occupato fin le cantine, potea rizzare un monumento a una Maschera, che dovea dirsi anche fatto a se stesso, perché Luigi XIV sentiva nella sua grandezza qualche cosa dell’Arlecchino. [p. 367 modifica]Ma la gente che un tempo barattava tutto per la libertá di ridere vuole oggi un’altra libertá e chiede anche un po’ di logica al riso. Oggi il buffone non è piú Arlecchino o Pulcinella, che restan sempre plebe: il buffone è Triboulet o Rigoletto che sono stanchi di ridere e di far ridere, è Ruy-Blas o la plebe che si riabilita e torna ai posto ond’era scaduta. Giá le Maschere in Italia son tutte cadute prima ancora dei suoi sette Stati; ché il rifarsi delle popolazioni le avea rese forme vuote di senso: resta solo Pulcinella sostenuto da tradizioni tuttora viventi. E resterá finché questa plebe non ritrovi la sua coscienza e si appaghi della scorza della vita: sia che foggiata alla Napoleone I imbocchi per le strade la tromba facendo appello alle battaglie di Bacco; sia che unta e bisunta in parvenza di Carnevale faccia della miseria spettacolo, e incoronata d’alloro domandi l’elemosina; sia che nelle feste adori Dio e i Santi sciupando il poco guadagno del suo lavoro, negato ai figli, in bombe onde spesso resta vittima infelice; sia che il suo spirito divaghi frivolo di cosa in cosa, come avviene delle famiglie e dei mobili nell’annua metempsicosi del 4 maggio.

La mancanza del perché — ecco il tarlo: bisognerebbe distribuire a questa plebe un sillabario di punti interrogativi: prime armi le occorrono gessetti e lavagne. Ella si crederá democratica quando arrivi a dar del tu al barone o al principe; ma la sostanza non è qui: parlategli pure di eccellenza e di lustrissimo, purché non abbiate serva o pensionata l’anima. E il caso di Pulcinella; egli non ha compreso l’89, né gli fo torto; ci son tanti anco che non l’hanno compreso!

E qui finisco il raffronto che forestiero, giovine, inesperto, ho potuto schizzare tra Pulcinella e la plebe napoletana che gli ha consacrato la maggior parte dei suoi teatri. Cattivo segno; quando si moltiplicarono gli Olimpi, Giove cadde. E Pulcinella cadrá, che l’alfabeto lo uccide; e man mano che il vulgo si sente popolo, egli scende e scava sempre piú fondo i suoi teatri. Ma cadrá piú glorioso di Giove, abdicando pel nuovo tipo comico nazionale che sorgerá nella commedia italiana.

Come ora i re si sostengono facendosi i primi tra i cittadini, il Papa lasciando il dominio temporale, Pulcinella resterá facendosi di dottore burattino, passando dalla scena alla baracca, dove lo aspettano i suoi antichi consorti (piú affratellati dei politici). Calandrino, Meo Patacca, Stenterello, Gianduia, il dottor Pantalone, Graziano, Arlecchino, e dove potrá consolarsi della sua Colombina che gli sará piú fedele perché mutata di carne in legno.

Perocché oggi il popolo cominciò a dividersi da lui, a non rafifigurarvisi piú; il suo riso è meccanico, è patologico; comincia a sentire che il castigat ridendo mores messo in fronte al San Carlino è un’ironia; che oramai è tempo di sollevarsi dalla maschera alla grande commedia; che il Pulcinella rappresenta la vecchia e piú brutta parte di lui. E lo negherá quando giunga a comprendere che la vita non è suono soltanto, immagine [p. 368 modifica]voluttá o frase smagliante di frizzi, di equivoci, di pulcinellate: ma è realtá tormentosa, angolosa, che bisogna smussare non chiacchierando o cantando come il lazzarone, ma col martello della volontá e con le potenti gioie del lavoro, come l’operaio inglese che ha rifiutato il suo Clown o il tedesco che si è fastidito del suo Hans-Wurts. Cosi possa sparire dai nostri costumi il Pulcinella, che fa anche oggi capolino in mezzo alle nostre granitiche serietá! Questo punto ammirativo mi avverte che il mio elogio si è volto in una orazione funebre: epperò mi rifaccio con un punto interrogativo. Ho io delineato il vero carattere di Pulcinella? Parmi che no: ma è troppo tardi.

Volendo fare il critico e guardare da un alto punto di vista, l’ho dapprima osservato col cannocchiale; e vidi un’immagine fluttuante, vaga, un Pulcinella universale. Spaziato un po’ per l’universo all’uso dei giovani di nostra etá, sentii il bisogno di avvicinarmi un po’ piú al concreto: prima, per evitare, al possibile, una severa critica della mia critica; secondo, perché, convinto che il tipo e il costume di una popolazione si studia attraverso le cose, non attraverso le idee. Ma qui un intoppo, la miopia; epperò ho visto, a volte ho svisto, ho travisto e infine ho dubitato che la troppa vicinanza con Pulcinella non mi abbia partecipato un po’ della sua natura.

4. Discorsi per le Feste Ariostee a Ferrara. — Nella «Gazzetta» di Torino, 4 giugno i875, nel «Roma» del 6 giugno, poi dal Croce in «La critica», 1912, pp. i55-i58, e infine dal Cortese.

5. Il Circolo Filologico di Napoli. — In foglio volante, Napoli, Mormile, i876, la prima parte; nel «Pungolo» di Napoli, 9 aprile i876, la seconda; nel «Roma» di Napoli, 26 maggio i876, la terza. Poi raccolti dal Cortese.

6. L’Ideale. — Nel «Roma» di Napoli, 19-2i novembre i877; abbiamo preso il testo del giornale, ma abbiamo accettato una congettura del Cortese, che raccolse questo scritto nel suo volume, lá dove, a p. 3i3 r. 6, abbiamo accettato «idealitá» dove il giornale ha «realitá» («la nuova realtá debbe giungere a formarsi essa pure la sua realitá»: cosí R).

7. Il quarto Congresso degli Orientalisti. — Nel volume Nuovi saggi critici, seconda ed., i879, inserito dall’editore a insaputa e contro il volere dell’autore (cfr. B. Croce, Gli scritti di F. d. S., cit., p. i0). [p. 369 modifica]8. Sul programma del «Fanfulla della Domenica». — Nel primo numero del «Fanfulla della Domenica», Firenze, ii luglio i879, poi raccolto dal Croce negli Scritti vari, II, pp. 259-260.

9. Le Strenne. — Nella «Strenna dell’Associazione della Stampa», I, Roma, i88i, e poi in Scritti vari, cit., II, p. 206.

i0. Il darwinismo nella vita e nell’arte. — Nel «Capitan Fracassa», Roma, ii marzo i883 (come è noto, il D. S. tenne anche una seconda diversa conferenza sullo stesso argomento; si può vedere nei Saggi critici, in questa ed., vol. III, pp. 3i5 e sgg.). Raccolta dal Cortese.

ii. Il di lá. — In «Album per il IV Centenario di Martin Lutero», Napoli, Morano, i883; poi in Scritti vari, II, 209-i0.

  1. II Croce, in una nota del volume F. d. S., Lettere dall’esilio, cit., p. i54, del i938, dá la stessa lezione come pubblicata nella «Donna», senza però precisare il numero e la data della rivista in cui essa sarebbe apparsa, rimandando anzi alle Pagine sparse, del i934, dove invece, a proposito della rivista in questione (interpretando male una lettera del De Meis del i6 novembre i857), faceva l’affermazione su ricordata. E sempre il Croce, in Aneddoti di varia letteratura, III, p. 209, Napoli, Ricciardi, i942, ripete la notizia da lui data nel i934, benché nel frattempo fosse uscito il volume del Cortese.